Leroy s/t 2004 - Rock, Hardcore, Grunge

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Sincopati, possenti, eccessivi. Tanto da far sperare bene per il futuro. Ma ancora non del tutto smaliziati. Chitarra, basso e batteria violenti e veloci come si deve, power trio figlio di chi si è sporcato bene con la variante grunge dell’hard rock, senza disdegnare puntine di noise alla Helmet e soprattutto l’hardcore. Non a caso, prima si chiamavano Raptus. E mi piace intenderlo non solo come l’essere improvvisamente violenti e aggressivi (almeno in musica… e ci azzecca in pieno con lo spirito hardcore), ma pure come “rapito”, preso (con rabbiosa ammirazione) da altrove. E difatti fanno capolino i pionieri in queste dieci tracce ancora senza titolo (brevi, sì, ma senza mai arrivare allo storico minuto dell’hardcore puro): Melvins, ma anche Malfunkshun, Misfists e Fugazi. E dici nulla. Stravinskij era convinto che “Chi ama, ruba”. E quando questo serve a trovare la propria strada sonora va benissimo. I Leroy mi piacciono per questo. E per questo aspetto di capire come si muoveranno poi. Perché pare che le varie influenze del trio stiano per confluire in una voce personale. C’è ancora un po’ di confusione, gli stili altrui dettano legge. Ma a due anni dalla loro formazione, questo non è per nulla un fatto negativo. Sempre meglio che rimanere indefiniti. I punti di forza, a questo punto del loro viaggio, sono senz’altro: una buona tecnica, capace di creare atmosfere claustrofobiche e catastrofiche; il canto psicotico ed invasato, instabile ma anche melodico; la batteria che ben alterna pause a tempi epilettici ed irregolari e le distorsioni feroci. Dove però (come nella traccia 10, che fa l’occhiolino in certi momenti al post rock), c’è voglia di mischiare di più, bisogna farlo senza paura. Sennò poi chi glielo dice a Stravinskij?

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La recensione s/t di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2004-10-09 00:00:00

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