Niccolò Fabi
Una somma di piccole cose 2016 - Cantautoriale, Folk

Una somma di piccole cose
05/05/2016 - 10:00 Scritto da Teresa Bellemo

Alla soglia dei cinquant’anni Niccolò Fabi è di nuovo - o ancora - alla sua maturità artistica

Quando si tira in ballo il concetto di maturità artistica viene sempre da storcere il naso perché non si capisce mai se poi da lì si può andare oltre se non facendo del manierismo (o sempre la stessa cosa). Con Niccolò Fabi la maturità artistica è un termine che era già stato utilizzato quando si trattava di parlare dei dischi precedenti. In “Ecco”, per esempio, la completezza sia dal punto di vista dei testi che musicale dava l’impressione che Fabi avesse trovato la quadra, la sua cifra espressiva. Il 22 aprile esce “Una somma di piccole cose”, l’ottavo disco solista di Niccolò Fabi, e ascoltandolo sembra quasi di trovarsi davanti a un concept album, uniforme, raccolto. Viene da spostarsi in America, viene da pensare a Sufjan Stevens o a Bon Iver, sia per l’uso folk della chitarra e dell’uso intimo della voce, sia per la gestione del progetto (Fabi ha suonato da solo tutto l’album e molte delle registrazioni sono provini, come ci ha raccontato in questa intervista). Il tema è quello caro al cantautore romano: la vita, privata e pubblica. Ma quella quadra già individuata in “Ecco” del 2012, in “Una somma di piccole cose” sembra essere toccata dalla mano di Re Mida. Testi che come un balsamo arrivano al cuore ma che riescono anche ad arrivare alla testa per l’immediatezza e la semplicità che hanno sempre certe frasi perfette, rotonde.

Niccolò Fabi esce da esperienze di volontariato in Africa e da lunghe tournée con i soci romani Gazzè e Silvestri, anch’essi fuori con un album solista dopo “Il padrone della festa”, il disco che dal 2014 li ha visti tutti e tre insieme. Per incidere la sua fatica Fabi ha scelto di ritirarsi in un casale lontano dalla città, per trovare il silenzio e per riuscire a tornare vicino a quella natura che infatti sembra entrare senza chiedere il permesso nell’artwork e in quasi tutte le tracce del disco ("Ha perso la città", "Filosofia agricola", "Una somma di piccole cose"). Come quando inverdisce la campagna in primavera: senza vergogna travalica tutto, senza confini. Ma c’è anche l’amore, quello che cambia ("Una mano sugli occhi"), quello delle parole banali che ripetiamo distratti ("Le Chiavi di casa"), quello che rimane anche se è finito tutto e qui non poteva che assomigliare al gioco che si fa con i bambini ("Facciamo finta"). E poi c’è la vita, quella là fuori ("Non vale più", "Le Cose non si mettono bene").

Alla soglia dei cinquant’anni Niccolò Fabi è di nuovo - o ancora - alla sua maturità artistica. Una maturità che evolve, che sposta l’asticella e non si ferma, dove entrano ispirazioni e contaminazioni ma che non cede mai alla ripetizione, alla copia e alla banalità dell’inseguire i gusti di quello che ormai è il suo pubblico. Un pubblico che anche grazie ai sold-out con i soci de Roma si è di certo allargato e che avrebbe potuto spostare il baricentro su qualcosa di più corale, collettivo, meno personale e intimo. Fabi non rinuncia alla sua cifra e soprattutto non rinuncia a crescere e arriva a concepire un album quasi perfetto che convince anche quelli che lo avevano - erroneamente - visto come uno dei tanti della brigata romana senza un quid troppo definito. Senza il pop cantereccio se non agli esordi, senza l’anthem generazionale, senza i ritmi balcanici, senza i giochi di parole. In questo “Una somma di piccole cose” Niccolò Fabi ci mette cuore, cervello e un momento creativo davvero luminoso. E stavolta parlare di maturità artistica è come aggiungere la lode.

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