Luche Malammore 2016 - Rap

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Il suono di Luché "nasce gangsta e muore gangsta" ma, per fortuna, in mezzo ci sono un sacco di altre cose.

Non serve scomodare i classici della filosofia tedesca per star lì a spiegare che in un sistema dialettico ad una tesi si succede un'antitesi e che queste spesso culminano in una sintesi, capace di mettere tutti d'accordo prendendo il meglio da entrambe le parti: basta questo nuovo disco di Luché.
Se nei precedenti "L1" ed "L2" l'ex-Co'Sang ha preso dimestichezza con l'italiano (scelta per cui ha spesso ricevuto critiche) e si è costruito un sound che lo caratterizza grazie a D-Ross, Star-T-Uffo e Geeno, è con questo "Malammore" che Luché ha modo di mostrare tutte le sue potenzialità.

Diciannove tracce capaci di strizzare l'occhio alle sonorità più attuali (in una dimensione che è sempre personale) e di regalare delle ballate sentimentali che rappresentano un vero e proprio inedito per il rapper di Marianella. Luché evita così ancora una volta di svolgere il compitino e ci presenta un lato di sé inedito, fatto d'insicurezze e voglia di stabilità, paternità.
Così come Napoli non è solo Gomorra, allo stesso modo questo disco di Luché non è soltanto "O' primmo ammore", storia d'amore tra un malavitoso e la strada presente all'interno della fortunata serie televisiva. La realtà che viene raccontata è molto più complessa: fatta di riscatto individuale ("Bello"), amarezza ("Quando non ero nessuno") e una maturità nello scrivere e nel comunicare per immagini non indifferenti ("Il mio ricordo").

Poche voci ad accompagnare quella del rapper partenopeo: Guè Pequeno, fresco fresco di "Santeria", in una strofa tipica del suo repertorio con metriche on point e l'ottimo flow che lo contraddistingue; Coco (già Corrado) che firma due strofe molto diverse tra loro, allineandosi perfettamente al mood di complessità e autenticità attorno cui l'album ruota; Da Blonde e Baby K, che firmano dei cantati niente male. La voce protagonista, però, rimane quella di Luché: la sua città e il suo vissuto fanno da cardine, intrattenendo benissimo per l'intero disco grazie alla fluidità e alla disinvoltura con cui è in grado di passare dall'italiano al napoletano, dal rappato al cantato, omaggiando (ed è quasi un inedito per il rap in Italia) Vasco Rossi in una cover di "Non mi va".

"Malammore", nonostante qualche ripetizione qua e là nei topòi (più che naturale in 75 minuti di strofe fittissime), si piazza di diritto tra le uscite più rilevanti dell'anno: è un disco coeso, dalle produzioni sempre fresche e che non delude mai per il flow e il carisma che Luché continua ad avere davanti al microfono.

 

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La recensione Malammore di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2016-08-08 00:00:00

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