Francesco di Bella Nuova Gianturco 2016 - Cantautoriale, Indie, Acustico

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Sul tema della "nuova periferia", di ciò che accade lontano dalla luce, Francesco Di Bella costruisce un nuovo sé artistico, fatto di tradizione e innovazione

Inutile nascondersi dietro un dito: chi non riesce a lasciarsi alle spalle l’incendiario mix di dub, post punk e musica partenopea che sono stati i 24 Grana, e magari ha problemi anche con alcuni dei loro ultimi lavori, difficilmente riuscirà ad apprezzare questo Francesco Di Bella. E sarebbe anche legittimo; chiedere a un artista di ripetersi vita natural durante sarebbe inaccettabile tanto quanto obbligare i suoi fan a seguirlo nel suo percorso musicale e/o personale. Chi non ha un rapporto possessivo con il sound alternativo della Napoli anni ‘90, invece, in “Nuova Gianturco” troverà un musicista cresciuto che, liberatosi di quella rete di sicurezza che nella sua prima uscita solista con “Francesco Di Bella&Ballads Cafè” erano stati i classici della sua band riarrangiati, è approdato con questo lotto di brani inediti ad una dimensiona artistica nuova, ma coerente con la propria storia.
Una dimensione che è quella del cantautore/cantastorie, quella uscita fuori appunto in “Ballads”, con “Kevlar”, “Introdub” e altri classici tornati all’essenzialità intima e raccolta del melodia+accompagnamento, ma che in questo primo lavoro di inediti parte da lì per approdare nuovamente ad arrangiamenti più complessi. Ci sono più chitarre, più elettronica, in generale una sezione ritmica più incisiva. Sarebbe miope parlare di “ritorno al passato”, ma una buona pietra di paragone potrebbe essere il penultimo album dei 24 Grana, “Ghostwriters” del 2008, che con l’esordio di Di Bella condivide la produzione di Daniele Sinigallia.

Nei dieci brani troviamo echi blues-rock neri a metà nella dichiarazione d’amore problematica di “Blues Napoletano”, il pop alternativo (in mancanza di definizioni migliori) alla Tiromancino di “Non ho più tempo”, lo stile inconfondibile di Neffa su “Progetto”, il dub nascosto fra le righe di “Aziz”, scritta con i 99 Posse e benedetta da un’ottima prova di Luca “O’Zulù” Persico . C’è anche un bell’omaggio alla nuova generazione di cantautori napoletani, con Dario Sansone dei Foja e Claudio “Gnut” Domestico ospiti (come spesso accade dal vivo) su una versione vagamente patchanka di “Brigante se more” dei Musicanova. Soprattutto però, in brani come “Gina se ne va”, “‘Na bella vita” o la title-track ci sono tutta la sensibilità melodica e la scrittura tipiche di Di Bella; musica inevitabilmente contemporanea in cui, senza diventare cliché, si leggono sempre chiaramente le radici partenopee.

Anche le tematiche del disco si collocano su coordinate familiari, c’è uno sguardo attento alle dinamiche sociali e c’è ovviamente Napoli, la sua periferia come simbolo di tutte le periferie del mondo. Precisamente c’è Gianturco, quartiere che Francesco ha frequentato intensamente, intercettando quel fermento controculturale fortissimo che negli anni ‘90 girava intorno all’Officina 99 e che è stato fondamentale per la nascita dei 24 Grana.
Officina a parte, Gianturco è soprattutto un quartiere periferico; neanche tanto distante dal centro della città, ma tagliato fuori dal Centro Direzionale, una schiera di grattacieli e uffici che al tramonto muore rimanendo come una barriera inerte che divide la periferia est dal resto della città, dal suo cuore pulsante e dal mare.

Su questo palcoscenico si muovono i protagonisti di storie difficili, ma che ci arrivano senza scadere nel patetico. C’è chi sogna di scappare in un rifugio in mezzo al mare (“Progetto”) e chi, affannando dietro alla corsa della vita nella metropoli, per i sogni neanche ha quasi più tempo (“Non ho tempo”), ci sono sullo sfondo figure solitarie sul viale del tramonto (“Gina se ne va”), vite in ostaggio di errori (“‘Na bella vita”) e ragazzi che affrontano la condizione dello straniero in terra straniera con l’orgoglio di non avere niente di cui “da’ cunto” (“Aziz”). C’è la voglia di lottare, nelle parole di “Brigante se more”, canto di lotta per eccellenza al Sud ormai assurto al rango di canzone popolare pur essendo stato scritto da Eugenio Bennato e Carlo D’Angiò negli anni ‘70. Soprattutto, c’è molta malinconia in questi ritratti; è una parola che torna più volte, come anche “scuro”.
L’attenzione per quello che accade lontano dalla luce è sempre stata una delle cifre stilistiche di Francesco Di Bella, ma le visioni dark ed allucinate di “Loop” e "Metaversus” hanno lasciato spazio ad uno sguardo che senza perdere quella vena è allo stesso tempo più sereno, forse maturo. Lo sguardo di chi in fondo pensa che all’ombra dei grandi palazzi del Centro Direzionale e dei magazzini possa nascere qualcosa.

Perché in fondo il tema non è la miseria della vita in periferia, di narrazioni patetiche e pietistiche ne abbiamo abbastanza quanto di quelle monocromatiche e demonizzanti; il tema qui è la rivalsa degli esclusi, è appunto la “nuova” periferia: quella inneggiata dalla title track, dove “qualcosa se po’ cagnà” nonostante la sfiducia e la rassegnazione generali, quella che a Gianturco ha iniziato a lottare attraverso esperienze come Officina 99 (quello del “pezzo politico” con i 99 Posse ad alcuni potrà sembrare un cliché, ma qui rappresenta molto di più) e che forse sta vedendo la luce da più parti, almeno in città come Napoli dove l’impegno sociale dal basso sta aprendo orizzonti che l’azione istituzionale ha spesso lasciato chiusi. In fondo potrebbe bastare solo la rabbia di “Brigante se more“ e la fiducia di “guardà fore” e iniziare a crederci. O almeno potrebbe essere un inizio.

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La recensione Nuova Gianturco di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2016-10-03 09:00:00

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