Tornano a farsi vivi gli udinesi Banana Co., dopo il buon esordio del 2002 con "The Skeleton EP", con i nuovi sette pezzi contenuti in "Feed The Idiot Box": una piacevole sorpresa, la cui migliore caratteristica è quella di lasciarsi ascoltare con leggerezza e di prenderti già sin dai primi passaggi sul lettore, senza per questo risultare banale e prevedibile, smaccatamente pop.
A voler fissare delle coordinate, potremmo definire il loro sound una sorta di Indie Rock al crocevia tra sonorità brit, su tutti i primi Radiohead di "Pablo Honey" e "The Bends" (il nome Banana Co. deriva peraltro da una loro vecchia B - side), e post-grunge alla Silverchair (il timbro vocale, splendido, riecheggia per alcuni versi quello di Daniel Johns) e Foo Fighters, senza tralasciare un'attitudine spiccatamente emotiva alla Deftones (attenzione, attitudine, non sonorità!).
Atmosfere eteree, impalpabili e soffici, caratterizzate da pregevoli ricami chitarristici (l'intro di "It's not funny", la conclusiva "Broadcasting white leaf") si alternano a momenti più tirati e spigolosi, in cui comunque il caos è sempre tenuto a freno ("Naval"); il livello qualitativo si mantiene costantemente elevato: le linee melodiche sono ricercate e raffinate (sentire la spiazzante "No man's land"), pur senza sfociare in inutili sperimentazioni fini a se stesse, e la voce costituisce il vero valore aggiunto dell'ensemble: seducente e morbida nelle parti tranquille, con un piglio scazzato e annoiato alla Tom Yorke, è capace di diventare un vero e proprio rasoio nelle accelerazioni, a metà strada tra il più ispirato Cobain e la sofferenza degna di un Chino Moreno.
Nonostante alcune scelte non del tutto convincenti e in certi casi fuori luogo, come il noiseggiante assolo finale della già citata "Broadcasting white leaf", e una registrazione che non sfrutta in pieno le potenzialità della voce di Pablo, "Feed The Idiot Box" è una dimostrazione più che discreta di come si possa creare qualcosa di buono e originale pur rimanendo nei confini della consueta forma canzone, senza necessariamente passare alle spesse abusate architetture post-rock, partendo dagli insegnamenti di più note band straniere senza limitarsi a realizzarne copie calligrafiche, ma rielaborandoli per generare sonorità nuove e, soprattutto, personali.
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