Me:t Leros en genolmen 2004 - Blues

Immagine non trovata precedente precedente

Decisamente post rock questa produzione del terzetto M:ET, composta da otto pezzi strumentali più tre interludi per un totale di 33 minuti e qualche spicciolo.

Leggendo i titoli saltano subito all'occhio due parole dallo stesso campo semantico : "meat (is murder)" e "flesh". Il collegamento mentale ( Grazie Tony H ) avviene ancor prima di aver alloggiato il CD nel lettore, aiutato forse dalla dicitura "No samplers nor keyboards" in voga tra i gruppi rock durante i ruggenti anni '70.

Analizzando ancora meglio il packaging siamo ulteriormente predisposti ad un ritorno al passato : la copertina ed il retrocopertina sono la stessa foto ieri ed oggi, con una bimba divenuta adulta, un nonno che inizia e finisce la sua terza età ed una sveglia rotta : il tempo si sarà fermato ?

Dalle prime note ci si accorge però di aver sbagliato ambito : il pop rock degli Smiths non c'entra molto e nemmeno c'entrano i Pink Floyd di "The Wall": per certi versi si ritorna al periodo precedente il punk e ad un approccio compositivo mentale.

Tutto il disco risulta infatti un po' ostico ed incentrato su tempi spesso dispari e poliritmici, scelta azzeccata potendo usufruire dell'apporto di un batterista capace di divisioni complesse e di un controllo del tocco così fine, sebbene in certe occasioni risulti quasi una forzatura ( Introducing the flesh ). Chitarra e basso passano leggermente in secondo piano, lavorando poco a livello armonico e melodico, ma sfornando comunque riff incazzati che non sfigurerebbero in un album dei Pantera ( Addio Dimebag ), parti più pacate nonchè suoni inaspettati ( Cosa sarà quel tappeto verso la fine di "Word/Flesh " ? Un hammond ? Pas possible, adesso sono curioso. ). Insomma, ripudiano la fruibilità ad ogni costo, ma l'hard rock anni '80 ce l'hanno comunque dentro.

Peccato per la mancanza di una voce o comunque di uno strumento che svolga parti puramente melodiche, i repentini cambi di tempo non sono sempre sufficienti a mantenere viva l’attenzione.

Questo se si analizzano solo le otto tracce portanti : le altre sono infatti decisamente più sperimentali, lasciano da parte la ritmica classica e creano dei contesti, degli ambienti, con l'ausilio di pedalini in loop ed oggetti amplificati. Notevole il risultato ascoltabile nell'incipit di tape.II, sembra quasi di ascoltare del glitch, anche se senza grosse pretese architettoniche.

Tutto questo popò di sperimentalismi per introdurre una storia divisa in tre parti : una nonna ed un bambino mentre giocano con un registratore a nastro.

"La tua voce si incide, rimane impressa sul nastro" - "Che cos'è?" - "Una sveglia rotta" dicono i due.
E' la prima informazione sulla musica che il bambino in questione avrà mai avuto in vita sua, probabilmente. Un ritorno all'infanzia quindi per un disco un po' più stripped to the bone e bastardo rispetto al solito post rock. Come se il chitarrista di un gruppo nord europeo incazzato per le eclissi di sole entrasse in sala prove tacciando i Tortoise di essere delle fighette.

In definitiva un’opera che non stende nulla di nuovo sotto al sole, aderendo a stilemi ormai incisi su steli di basalto. Fortunatamente non è stata dimenticata una certa piacevolezza nell’ascolto, qualità ormai rara in un genere che fa dell’isolazionismo il proprio punto di forza.

---
La recensione Leros en genolmen di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2005-01-07 00:00:00

COMMENTI

Aggiungi un commento avvisami se ci sono nuovi messaggi in questa discussione Invia