Un lavoro dal respiro internazionale quello di Ekat Bork: il gelo della Siberia, sua terra di origine, si fonde col calore di trame sonore che esplorano i frutti dell’elettronica declinata in molti modi. La voce profonda, che non manca di insinuarsi in insenature soul e giochi di luce trip-hop, si presta comodamente all’introspezione come al dancefloor: dall’incedere scuro e potente di “Fear” alla dance sofisticata di “My Planetany”, tra ballad dove il coraggio batte agevolmente la tristezza (“When I Was”) e soluzioni più sperimentali che non disdegnano approcci acidi (“Krakoin” come pure “Legal”), questo disco è una rappresentazione a 360 gradi di un’artista dall’enorme potenziale, con un carattere che viene prepotentemente fuori da ogni brano.
Un variegato quadro di contemporaneità e forza, un angolo di raffinata esecuzione dove l’attenzione per i dettagli è fondamentale, per un risultato davvero convincente e denso di fascino: segnatevi questo nome, ché certamente sentiremo parlare di lei.
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