Voina
Alcol, Schifo e Nostalgia 2017 - Rock, Indie

Alcol, Schifo e Nostalgia
27/03/2017 - 09:00 Scritto da Marco Del Casale

"Alcol, schifo e Nostaglia", tre parole che tornano spesso in un disco in grado di riassumere e raccontare benissimo una crisi personale in corso d'opera

"Alcol, schifo e nostalgia" è il secondo lavoro in studio degli abruzzesi Voina, dopo che già nel 2015 si erano conquistati una buona fetta di pubblico e di attenzione critica grazie all'esordio con "Noi non siamo infinito"

Il disco riprende i temi che già avevano caratterizzato il disco precedente, descrivendo la crisi esistenziale tipica vissuta da chi, in questo decennio, ha tra i venti e i trent'anni. La band lancianese lo fa in maniera intima e personale, sottolineando in meniera evidente quelle che sono le costanti, ovvero la perenne incertezza e la paura del futuro visti come una corsa a ostacoli, una montagna da scalare senza mai riuscire a scorgerne la vetta, una mission impossible apparentemente senza via d'uscita che asseconda l'idea diffusa di sentirsi inadatti al mondo contemporaneo e alla società. Il personaggio che ne viene fuori è un'icona del decennio in corso, è un pronipote degli inetti pirandellani, sveviani, kafkiani. I Voina avevano già rilanciato la questione con il singolo che anticipava il disco, l'orecchiabilissima "Io non ho quel non so che", ma si ripetono nel lavoro per lunghi tratti, come ad esempio in "Welfare", pezzo d'apertura carichissimo e veloce in uno stile a metà tra Fask e Ministri. Nel testo troviamo i "lauti stipendi da cameriere", i "concorsi che per fortuna sono tutti truccati", ironici e crudeli riferimenti a una realtà che esclude i meriti e cerca di farci autoconvincere che la colpa è nostra, gli inadatti siamo noi. La band è in grado di affrontare le tematiche più complesse utilizzando parole semplici, frasi dirette che arrivano immediatamente al cervello senza indossare vesti troppo eleganti. Tra i pregi da evidenziare c'è senz'altro quello di esporre la riflessione in maniera personale e imparziale, non buttandola mai in caciara politica.

Nella narrazione del disagio, non può mancare il tema amoroso, presente in diversi brani come ad esempio la bellissima "Ossa", una ballad che nel testo richiama tutto quell'immaginario catastrofico tanto caro a un artista come Vasco Brondi ("io e te siamo come l'oceano indiano e due galassie nel pieno di un collasso e nuvole gonfie d'alcol, chissà se questo cuore tiene, ti prego andiamo a fare schifo insieme e vorrei fare un disastro con te, spaccare questo stupido locale. le nostre ossa che sbattono....il rumore che fanno quando si abbraciano i nostri disturbi mentali, ridiamo mentre ci guardano, le nostre ossa che sbattono"). 

C'è la voglia di fare schifo quindi, il desiderio di abbandonarsi alla catastrofe, all'universo che crolla intorno a noi, come ne "Il futuro alle spalle" dove l'immaginario accennato poco fa ricorre e insiste ("Ben vengano i disastri, ce li siamo meritati tutti, come queste stragi, questi palazzi che non ti spaventano più. Svegliamoci con calci e pugni per essere certi di stare attenti quando qualcosa ci colpirà. Un asteroide, un terrorista, una tragedia, che differenza fa?")  e ancora "E chissà se un giorno poi andremo a sbattere o forse come sempre non avremo il coraggio. La mancanza di coraggio in un ricordo la chiamano rimpianto, io la chiamo nostalgia, quella grandissima stronza". Mi soffermo ancora poche righe su questo pezzo, per sottolineare anche le influenze melodiche e testuali dei concittadini Management del dolore post operatorio che, nel loro recente lavoro "Un incubo stupendo" ricorrono al tema dell'amore attribuendogli una funzione salvifica, come se fosse una cura, una campana di vetro che favorisce l'isolamento dal disastro esterno. I Voina gli fanno eco nel ritornello "Vorrei stringerti e dirti solo che andrà tutto bene e che alla fine andremo via da qua con il futuro alle spalle". Per chiudere non può mancare un accenno a quello che considero uno dei pezzi migliori dell'album, "Il Jazz", un brano in stile e attitudine tipicamente anni '90, a partire dalle note iniziali. Nel testo è presente la ribellione, il rifiuto di cedere alle lusinghe e alle convenzioni dell'età, la maschera di Peter Pan che non vuole proprio cadere dal volto ("E il sabato sera a fare una cena con gli amici ascoltando un disco jazz, ma riesci a pensare a una cosa più triste di noi che iniziamo ad apprezzare il jazz? Quanto fa schifo il jazz")

"Alcol, schifo e Nostaglia", tre parole che tornano spesso in un disco in grado di riassumere e raccontare benissimo una crisi personale in corso d'opera. Un lavoro terapeutico, che spoglia i luoghi comuni dell'attuale situazione sociale e li lascia scheletri, immobili, fuori dagli armadi e con tutta la loro debole consistenza.

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