Marnero Quando vedrai le navi in fiamme sarà giunta l'ora 2018 - Hardcore

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La deflagrazione sonora dei Marnero irrompe decisa, come echi di scontri in un arcipelago al sorgere del sole.

Destati dal sonno mentre infuria la tempesta non abbiamo tempo per realizzare cosa sarà di noi. Non è ancora troppo tardi per la salvezza, non è ancora troppo tardi per la vittoria, ma forse è solo una questione di qualche attimo prima che tutto rimanga per sempre sepolto in fondo al mare. La deflagrazione sonora dei Marnero irrompe decisa, come echi di scontri in un arcipelago al sorgere del sole: ammiragli osservano perplessi il loro piano di battaglia, mentre  le onde si infrangono contro le prue e gli scafi malridotti collidono tra loro carichi di marinai. Sulle rive la battaglia incalza in un cruento ed esponenziale crescendo.

Sancita la chiusura della trilogia del fallimento, i Marnero compiono un ulteriore passo in avanti, ponendosi tetri e propositivi, dispiegando interrogativi a contorno di un’epica dai contorni non delineati, il cui esito è delegato all’interpretazione dell’ascoltatore. La loro già ingombrante anima hardcore è nuovamente arricchita dagli arrangiamenti di violino e violoncello imbracciati da Nicola Manzan e Matteo Bennici, oltre alle incursioni di piano e synth da parte di Mario Di Battista, elementi che combinati tra loro prendono le distanze dalla corrente derivativa del classico prodotto hardcore dalle sonorità abrasive.

Il primo indizio per individuare una chiave di lettura la possiamo trovare nel suo incipit: "Quando vedrai le navi in fiamme quello sarà il segnale, per il momento ascolta il vento, che aspettare non vuol dire rimandare", queste parole urlate con l’anima ci rovesciano addosso l’incombenza di dover essere prossimi a compiere una decisione, o un sacrificio, per far sì che la pioggia torrenziale non lavi tutto via - o ancor meglio, parafrasando il testo - spegnendo quel fuoco che arde di speranza, perché come ci ricorda la band - in conclusione del brano di apertura - "E fra bruciare ed estinguersi la scelta è bruciare per poter dire di essere stati una volta vivi".

Fluendo e defluendo, come in una risacca, la progressione dei Marnero prosegue correndo lungo direttive poliformi, tanto da affermare di poter suddividere l’album in capitoli narrativi, o più romanticamente in una poetica disamina atta ad accentrare il racconto di questa cruenta battaglia nell’entanglement dolore, colpa e sacrificio. Cruciale è la figura del Capitano Achab, e la sua disperata caccia alla grande balena bianca. Un interessante parallelismo con un certo contesto attuale, dove spicca la priorità assoluta di trovare un nemico comune - o capro espiatorio - contro cui combattere: dov’è quasi di prim’ordine il generare infrastrutture nemiche inesistenti per poi abbatterle veicolati da incosciente autolesionismo, facendo così divenire la colpa un anestetico, e di conseguenza una droga.

Si raggiunge l’apice dell’auto-annichilimento con "Detriti" e il dialogo estratto da "L’imperatore di Roma", il dramma neorealista di Nico d’Alessandria, sorretto da uno scheletro di strutturazione post-core. In questo fluente gorgo di chitarre e grida la liberazione arriverà come suggerito dai Marnero combattendo i propri mostri con destrezza, prendendoli per sfinimento in su la parte più alta di un figurato promontorio. Ed è proprio con il brano "Rupe" che tocchiamo il punto più evocativo ed elevato del disco, incroci di parole ci asciugano dalla pioggia, mentre veniamo avvolti da violini e melodie acustiche. Da lassù possiamo scorgere a pieno l’integrità del lavoro compositivo della band bolognese e, anche se la battaglia è quasi conclusa, le navi ardono, mentre la musica infuria ancora. Tutto per chilometri è raso al suolo, sulle acque galleggiano i relitti e lasciamo che sia il prologo capitanato dalla voce di Wu Ming II e dalla chitarra di Egle Sommacal a descrivere lo scenario che si staglia all’orizzonte.

L’epilogo del disco è un luttuoso panorama dal quale, in un primo momento, riusciamo  soltanto a scorgere distruzione. Ciò che rimane da "L’Assedio di Malgrado" trascende l’eterna elementale lotta tra acqua e fuoco, infondendo un’indomita propensione alla battaglia, dove il fine ultimo non è vincere, ma soltanto combattere affinché quel fuoco di speranza che portiamo con noi arda ancora.

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La recensione Quando vedrai le navi in fiamme sarà giunta l'ora di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2018-11-27 09:00:00

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