Chris Horses Band Dead End & A Little Light 2019 - Rock, Funk, Blues

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Un lavoro virtuoso nato dalla fusione di diversi talenti, “Dead End & A Little Light” è uno dei pochi dischi in grado di conquistare diverse generazioni

Chris Horses (aka Cristian Secco), Mattia Rienzi, Giulio Jesi, Marco Quagliato e Marco Tirenna dovevano avere già le idee molto chiare e un background solido come una roccia quando un giorno qualunque del 2018 hanno deciso di dar vita alla Chris Horses Band. Almeno a giudicare dal loro debut album, “Dead End & A Little Light”, pubblicato qualche giorno fa in seguito ad un’attiva campagna di crowdfunding che ha permesso al gruppo di ottenere (grazie al cosiddetto “zoccolo duro” di aficionados evidentemente già conquistati nella loro zona) il supporto economico necessario alla realizzazione di un album progettato e realizzato con tutti i crismi. Dovevano avere già le idee molto chiare perché solo con le idee molto chiare puoi fondere con tanta naturalezza le lezioni apprese da Neil Young e da Bob Seger, dai Lynyrd Skynyrd e dai Pearl Jam, filtrandole con una lente d’ingrandimento che va a notarne i benché minimi dettagli rielaborandoli con una sensibilità sopraffina che riesce a scongiurare il rischio di sterile plagio.

L’esperienza sonora di questo disco porta inevitabilmente con sé un intenso gusto vintage poiché gli otto pezzi che lo compongono oscillano con convinzione tra classic rock, blues e funk trasportati da un’ardente anima southern, e sono certamente un’eredità tramandata ai cinque artisti trevigiani dai loro nonni, più che dai loro padri (dato che i membri della band hanno tra i 19 e i 25 anni, oltre al fatto che il nome d’arte e il cappello da cowboy sfoggiati dallo stesso Chris Horses sono un dichiarato omaggio a suo nonno materno) ma l’originalità giovane e fresca del combo veneto è pur presentissima, a partire dai trascinanti assoli strumentali e finendo ai testi che, dall’inizio alla fine dell’album, conducono per mano in un percorso salvifico che inaugurandosi con brani più foschi e ruvidi (“In silence” su tutti) si sublima nel finale, prima con gli otto minuti di riflessioni psichedeliche della splendida “This Old Town” (quasi una moderna “Simple man”) e poi con i circa sei minuti della funkeggiante “A Little Light”, il respiro profondo di quando si riemerge dall’acqua dopo una lunga apnea.

Un lavoro virtuoso nato dalla fusione di diversi talenti, “Dead End & A Little Light” è uno dei pochi dischi in grado di conquistare diverse generazioni.

 

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La recensione Dead End & A Little Light di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2019-11-13 13:41:38

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