Davide Van De Sfroos Akuaduulza 2005 - Cantautoriale, Rock, Folk

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C’è verosimilmente un labile confine tra poesia e racconto, tra fantasia e verità, tra tradizione popolare e spirito universale quando musica e parole s’intrecciano ispirate dalla viva natura e da coloro che la popolano, uomini, donne, ombre, streghe o fantasmi che siano. Proprio questo è “Akuaduulza” (“Acqua Dolce”) di Davide Van De Sfroos, un suggestivo intreccio di musica e parole che parte da molto lontano, dalle tradizioni e dalle leggende delle sponde del Lario – sul Lago di Como – per arrivare fino a noi, ad arricchire il nostro patrimonio di cultura popolare, nonostante il freddo e la nebbia, nonostante le montagne e la diversità di lingua. Già, perché l’ultimo album dell’artista lombardo – premiato dal “Club Tenco” nel 2002 per l’album “…E semm partii” – è stato scritto in Lagheè, la lingua-dialettale delle riviere comasche, come a voler omaggiare quelle terre con un proprio atto d’amore con la vivida speranza, però, di riverberarne al contempo l’intensità emozionale anche a coloro che quelle zone non hanno mai visto né tanto meno vissuto.

Accompagnato da una milizia ben addestrata di versatili musicisti D.V.D.S. diversifica con artigiana maestria i tappeti sonori sui quali adagiare le sue liriche dialettali con l’intento – ben comprensibile per chi usa una lingua metricamente poco addomesticabile – di renderle assimilabili attraverso la musica che, mai come in questi casi (mi riferisco ad album interamente cantati in lingue-dialettali), diventa efficacissimo veicolo di traino delle parole, il dolce zucchero che va ad indorare la pillola. Quasi come a voler saltellare da un sasso all’altro sopra la superficie dell’acqua D.V.D.S. alterna sapientemente gli sfondi musicali dove ambientare le storie dei suoi personaggi, talvolta insistendo su arrangiamenti blueseggianti come ne “Il Paradiso Dello Scorpione” e “Rosanera”, talaltra ricorrendo al country vecchio stile come in “Nona Lucia” o a zoppicanti atmosfere balcaniche come in “Madame Falena” fin poi a lambire superbamente le vette del celtic-folk più cupo e suggestivo con la splendida ballata “Akuaduulza”, malinconicamente vicina a certe cose di Nick Cave e Michael Nyman.

Ogni accordo è magicamente al posto giusto – senza forzature e sterili virtuosismi tecnici – volutamente messo lì ad esprimere la necessaria funzionalità evocativo/didascalica per i surreali personaggi narrati dal nostro cantore lombardo, come una sorta di nota a piè di pagina a completamento di un’illustrazione romanzesca; e tutto sommato “Akuaduulza” non è poi così lontano dall’essere un romanzo musicato – dove ogni canzone è una pagina da sfogliare più che da ascoltare (e la curatissima confezione del cd è molto invitante sotto questo profilo) – con le sue donne fatali, i suoi barcaioli traghettatori di streghe, i suoi fantasmi dalla faccia color zafferano, i suoi corvi che cantano senza rancore e i suoi prigionieri che respirano libertà grazie a un soffio di vento che filtra tra le sbarre di una cella.

Indubbiamente un album completo e suggestivo che ha tutti i meriti per oltrepassare gloriosamente i confini padani e conquistare – anche commercialmente, perché no? – territori spesso restii alla musica popolare che non sia di chiara matrice mediterranea, come hanno già fatto in passato prestigiosi colleghi come Modena City Ramblers, Lou Dalfin e Mazapegul.

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La recensione Akuaduulza di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2005-09-02 00:00:00

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