La Crus Infinite possibilità 2005 - Cantautoriale, Trip-Hop, Alternativo

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Possibilità. Parola multipla in cui plurale e singolare coincidono. Se n’era accorto anche Oscar Milosz. Lui, poeta lituano del secolo scorso, dedicò una sua opera teatrale a Miguel Mañara e la intitolò “Infinite possibilità”. Da quel titolo, i La Crus hanno tratto ispirazione per la loro ultima prova discografica di inediti
A loro, mescolare sangue e carte è sempre piaciuto. Da anni attraversano in chiaroscuro morbido la scena musicale italiana, strizzando spesso l’occhio all’idea corale di “progetto”. Stavolta lo fanno con quello che definiscono “un disco da ascoltare, da vedere e da leggere”. Detto fatto. Doppio supporto, cd e dvd (al prezzo di uno): 10 tracce audio e 10 video, quest’ultime rappresentate da 10 cortometraggi scelti tra 200, dopo una lunga selezione dall’archivio del Milano Film Festival e ri-editati sulle canzoni da Francesco Frongia. Poi un racconto. Parole di Leonardo Colombati (già autore del romanzo “Perceber”) che riempiono a cascata il booklet. Lo scrittore, grazie ad un’immaginaria macchina del tempo, attraversa testi e suggestioni sonore. Racconto che, se preso in sé, è intenso nel suo sfiorare tante e diverse sfumature. Ma che diventa un po’ lezioso e ridondante se considerato, come dev’essere, nell’impianto di un progetto che ha invece tutt’altra connotazione.

“Infinite possibilità” mi ricorda un cerchio. Non la quadratura del medesimo: la sua perfetta chiusura. Parte da lontano, da “Dentro me” per la precisione. Perché sono entrambi album “no concept”, dischi-fratelli (non gemelli) in cui ogni brano spazia tra intimismo e finestre aperte. Il cerchio segue la sua curva perfetta di anni e uscite discografiche, raccoglie quello che serve, cambia quel che c’è da cambiare ed arriva al punto. Se i La Crus guardassero indietro, a quel 1997, si strizzerebbero l’occhio l’un l’altro, beffardi e felici di aver arricchito, con rughe d’esperienza sonora e poetica, la bella e liscia pelle d’allora.

“Infinite possibilità” non è una rivoluzione: è una riforma. Il passo ulteriore, la vera differenza, la ruga finalmente arrivata, è che questo disco suona. E’ un disco-chitarra che abbandona quasi l’elettronica e solletica ritmo e incedere di basso e batteria. Via dal trip-hop alla Portishead, sfiorando un po’ i Cousteau. Disco orfano della tromba di Paolo Milanesi (peccato…), adottato dal piano elettrico Fender Rhodes. Disco di musicisti coinvolti fin dall’inizio e direttamente (dunque non solo in fase d’interpretazione live) nella composizione dei brani. Ci guadagnano ricerca sonora ed arrangiamenti. Se l’intenzione era di renderlo un album che suona “live”, l’effetto è riuscito.

La voce di Joe gioca finalmente con tonalità e registri inediti per lui, meno baritonali e cupi. Carezza addirittura il falsetto (“Su in soffitta”) e si modula duettando con Mario Venuti. Voce più naturale, migliore di sempre. Perché cupo non è sinonimo di caldo. Citazioni famose fanno capolino ogni tanto (Andrea Zanzotto in “Mondo sii buono”, Truffaut in “Buongiorno tristezza”, dall’omonimo romanzo di Francoise Sagan). A proposito di citazioni, però, si poteva evitare di tirare in ballo in modo gratuito (e furbetto) Thurston Moore e per giunta di ucciderlo (decima ed ultima traccia). Non tanto per l’eterno giovane sonico (che in quanto eterno, personalmente, va lasciato vivere eccome), quando per l’impianto testuale del brano, che stona con la poetica complessiva del disco. Poetica che invece si traduce in testi che cantano il mondo e le cose senza implodere su loro stessi, senza bisogno d’invettive o frasi ad effetto. Da sempre questa è la scommessa vinta dai La Crus. Convince infine la sinergia tra immagini e brani, soprattutto in quattro videoclip: “Mondo sii buono”, nell’opener “La prima notte di quiete”, in “Infinite possibilità” (uno dei brani migliori) e ne “I miei ritratti”.

Un progetto che sa dunque regalare varie ipotesi di letture trasversali ed amplificabili. Fascinazioni molteplici che non mancheranno di solleticare chi è ancora capace di ricordare che, a volte, non è ciò che guardi a cambiare, ma i tuoi occhi.

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La recensione Infinite possibilità di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2005-11-17 00:00:00

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