The Hormonauts Hormonized 2006 - Rockabilly

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Spargimenti limpidi. Minimali. Dritti nel foro discografico, a volte schiacciato e a volte troppo ampio, convivendo in un sistema di dischi eiacul-indie e dischi urinedelici. Questi ultimi fanno comunque parte della peccaminosa dilatazione liquida, ma sono più ingialliti. Avvizziti e acidi, in un chiaro subset diafano: quelli fuori dal cerchio, quelli perfettamente allineati e quelli nel cesso turco. Invece i primi sono la categoria più ambita da ogni dischivendolo. La specie ben riuscita dei rockettari presi d'amore per il passato, un po’ revival e un po’ birra moderata, anche loro estratti da accademici sottogruppi: precoci, spediti e proliferi. In questo gli Hormonauts sono sicuramente tendenti al fecondo, ma con tratti di sconfortante intempestività come in “My Sharona” dei Knack. E dopo la restaurazione di “Tainted Love” e “Stain’ Alive”, si accreditano scommesse per “Johnny B. Good ” nel prossimo album. La nota distintiva glorificante, quell’esaltazione incontrastabile per un disco che ambisce al rimborso illimitato tanto quanto quell’emissione di stella della stella è la sua collocazione ultima. Rigidamente in utero e non in distorsioni tipo battendolemaniedicendoyeah. Quella è un’altra storia, a livelli dissonanti, che si chiama auto-erotismo indipendente. Tra diversi mesi, passando per i live europeisti e soundtrack filmiche, alloggiando anche nelle radio supreme, si avranno notizie legate alla gestazione kitch. Passerà del tempo e si percepirà oltre che la piacevole curiosità suonata (e chi li ha visti dal vivo lo sa), anche una crescita con adorazione tutt’altro che impotente. E’ il miglior giudizio per un disco, dal punto di vista sessuale.

Per di più, benché il booklet sia caliginoso, l’aspetto tossicomane (il secondo più importante dopo quello carnale per un disco r’n’r) è indubbiamente erboso. E poi non dite che l’erba ha effetti esclusivamente riposanti, escludendo chi si regala le 23 volte al giorno, che fan quasi una per ora. Ad esempio date musica alla Purple, dondolata perbene, in modo da sentir pungere le dita come lo sperone dello stivale che incide il cavallo, su uno sfondo country, un po’ folk e un po’ Texas che suona “Greasy Black Hands”(traccia #5), e poi cintate la parte superiore. Senza fumarla subito. L’album in questione va così. Se disteso è devastante. Il disco canna va gustato lentamente, e in questo il surf alla Dick Dale, che gli Hormonauts conoscono benissimo, fa scuola. L’esito indiscutibile, nonostante le aride tensioni allo speed, spande soprattutto in quegli angoli rocksteady come la title-track, ma anche in “ A Bundle of fun”, o nella giocata finale “Any Normal Super Hero”. “Hormonized” non è un tentativo di riesumare l’antico. No. E’ anzi un deciso disco canna che sputa semi di rock’n’roll vivo.

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La recensione Hormonized di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2006-04-05 00:00:00

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