Nicolaj Serjotti Milano 7 2020 - Lo-Fi, Rap

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Chi l’avrebbe mai detto che, a Milano come a Kingston, essere un monster hunter vuol dire essere fottutamente contemporanei?

Partiamo da questo presupposto: su Rockit, per quanto possibile, cerchiamo sempre di mantenerci freddi, quantomeno equilibrati nei confronti del treno dell’hype. Di base ci facciamo guidare dal nostro gusto, magari sbagliato, quando realizziamo un focus su questo artista o quell’altra band. Ma il caso di Nicolaj Serjotti è, al tempo stesso perfettamente in linea con questa condotta e in controtendenza.

È in linea, perché Milano 7, il suo disco d’esordio, non solo ha riempito questi pomeriggi così brevi di luce e così densi di pensieri, ma è anche in controtendenza perché di hype attorno al nome dell’artista, che ha appena pubblicato per Virgin/La Tempesta, ce n’era un botto. Ascoltando Milano 7 mi è venuta voglia di (ri)leggere uno dei romanzi di fantascienza più innovativi e sui generis degli ultimi anni, ovvero Leopardo Nero Lupo Rosso di Marlon James. Vi starete chiedendo: perché abbiamo osato accostare un romanzo scritto dal vincitore del Booker Prize a un disco di un talentuoso esordiente milanese? Beh, la risposta è semplice: entrambi parlano di mostri, di mostri belli e contemporaneamente inquietanti. E quei mostri, naturalmente, siamo noi. Uno lo fa con il rap, l’altro con la letteratura, ma insomma, il cielo sotto cui si muovono è lo stesso.

Mostri. “Io drizzai l’indice e il mio dito si trasformò in una lama. La feci penetrare qui, sotto le costole, e mi tagliai il ventre”. Leggendo Leopardo Nero Lupo Rosso, abbiamo subito pensato alla prima traccia di Nicolaj. Un po’ perché l’assonanza era chiara e evidente, un po’ perché i mostri che nascono dalla testa di Serjotti, anche se spaventosi, finiscono, più ci pensiamo e più li ascoltiamo, a farci sempre meno paura. Esattamente come i poteri di mutazione evocati nel romanzo di James, le creature inquietanti di Serjotti sono molto simili a quell’essere che, ogni mattina, fa capolino nel nostro specchio del bagno.

Tetrapak. “Nessuno ama nessuno. Ricordi? È una massima che ho imparato da te. So di guerrieri, mistici, eunuchi, principi, capi e i loro figli, tutti a struggersi di futile amore per il Leopardo”. La fredda logica relazionale, che evoca quasi gli usi e i costumi di Sparta, del romanzo è la medesima del romanticismo ruvido di Tetrapak. Tetrapak, con un arrangiamento per altro sontuoso, è una canzone d’amore/di non amore, in cui il giovane cantastorie milanese si mette a nudo, ma sempre restando a quel metro di distanza che non è timidezza quanto vera e propria raison d'être. Caratteristica intima di un modo di fare le canzoni che, almeno in un disco d’esordio, era un botto di tempo che non sentivamo.

Scarabocchi e Ottobre. Coppia di due canzoni che parlano di tempi, di tempo che (s)fugge e frenesia difficile da controllare. Argomenti ricorrenti in Milano 7 che trovano una corrispondenza anche nel romanzo di fantascienza dello scrittore giamaicano, in particolare quando si legge: “Tu non sprechi tempi e non lo farò nemmeno io”. Perché in questo libro l’ossessione del tempo, la necessità di fare presto e fare bene è una costante, la stessa di Serjotti che “brucia di necessità” nonostante si trovi spesso e malvolentieri attorcigliato dal laccio dei suoi pensieri. Stasi e movimento sono le due più grandi forze che governano Milano 7 e Leopardo Nero Lupo Rosso.

Senza fiato. “Sparavamo ogni notte alla luna/ Sperando che il cielo non controllasse”. La canzone numero cinque di Milano 7, ve lo confesso, è stata quella che ci ha fatto scaturire l’idea di affiancarci la lettura del romanzo di Marlon James. Un po’ per il riferimento alla luna e agli spari nella notte, un po’ per il mood che ci ha ricordato questa verso che, ben prima di ascoltare il lavoro di Serjotti, ci aveva dannatamente colpito: “Adesso le bestie cercano la felicità? Sii meno uomo e più Leopardo, se è questo il tuo modo di essere uomo”. Ora non veniteci a dire che anche voi non avete avvertito le stesse vibrazioni.

Mitra e Pepsi Cola giocano sull’antinomia. La prima svela la parte più vulnerabile dell’artista, la seconda, quella più leggera. Quando le abbiamo ascoltate siamo ritornati in maniera rabdomantica a questo passaggio del libro nel quale si dice: “C’è mai stato un campione tanto malinconico fratelli miei? Quando verrà battuto? Quando verrà fermato? Chi lo fermerà? E di chi sarà la morte ? Ho detto la morte fratelli miei”. Ecco, l’antinomia dei significati è la stessa: un campione che è tanto più malinconico quanto più invincibile, tanto più forte quanto destinato a perire. Proprio da questa coppia di canzoni e di sensazioni si può affermare, senza possibilità di smentita alcuna, che quando abbiamo letto nel comunicato stampa che “Nicolaj Serjotti utilizza taglienti lame della propria arte retorica per affrontare il vissuto quotidiano con un realismo alla Jonathan Franzen, l’ironia di un David Foster Wallace, la dimensione surreale di Charlie Kaufman” leggevamo il vero. Anzi quasi una versione ridotta di quello che le sue liriche esprimono e trasmettono. Roba forte, roba da fantascienza appunto.

Latitudine. Anche in questo caso il gioco dei rimandi è evidentissimo. Serjotti canta “questo mio vuoto non si riempie, ma tanto ormai ci ho fatto l’abitudine/ Appena posso prendo un volo, cambio latitudine” e Marlon James “gli risponde” così: “Quando ero piccolo, mia madre mi diceva che dormiamo perché la luna è timida e non le piace che la guardiamo quando si spoglia”. Avete capito adesso di cosa stiamo parlando, di come la prosa dello scrittore giamaicano e il flow dell’artista di Milano si continuino a ritrovare: il misto di dolce malinconia e di incubi “a fin di bene” scaturiti dalla propria mente sono davvero molto simili e tutte le volte che li leggiamo o li ascoltiamo ci conquistano ancora e ancora.

Colpa mia. “Irruppe dalla finestra, buttando giù un pezzo di muro che si sgretola e colpì Mestogo alla testa e al collo. Dietro di me, la sua lunga ala nera diede una botta a Venin-Jakwu, facendoli volare contro la parete”. Al termine della nostra analisi ci manca solo un tassello: il ritmo. E così se si racconta una storia di guerrieri mistici, come in Leopardo Nero Lupo Rosso, il ritmo è importantissimo. Beh ascoltate Colpa mia e leggete, ancora una volta, il pezzo di James che vi abbiamo proposto. Avete notato anche voi l’assoluta eleganza e perizia di Serjotti di mostrare/disvelare tecnicismi e assonanze? Questo suo modo di creare canzoni è lo stesso nel creare racconti di Marlon James e si traduce in una scrittura fluida che però, a tratti, dimostra una straordinaria capacità di cambiare passo e trasformarsi in sperimentazione, nell’utilizzo di schemi metrici inusuali e pattern ritmici innovativi.

Chi l’avrebbe mai detto che, a Milano come a Kingston, essere un monster hunter vuol dire essere fottutamente contemporanei?

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La recensione Milano 7 di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2020-11-27 13:45:00

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