Il 2020 è stato per Alberto Nemo un anno da record, almeno dal punto di vista della produzione musicale. Se il conteggio non mi inganna, nel primo anno del nuovo decennio l’artista veneto ha messo fuori l’incredibile cifra di trentatrè album, di cui questo “Diandra” è il capitolo numero trentuno, nonché il quarantatreesimo della sua carriera.
Ancora una volta alle prese con la sua personale sperimentazione, fatta di contaminazioni elettroniche, musica sacra, antichi miti e suoni rarefatti, in questo disco Nemo offre elementi interessanti (la scomposizione ritmica di “Sindrome”, le atmosfere tribali e mistiche della title track, il cantautorato moderno e ben focalizzato di “Plena Libera”) ma allo stesso tempo espone i limiti della ripetitività di una formula troppo abusata nel corso del tempo.
Certo, Alberto Nemo ha provato nel tempo a non essere mai uguale a sé stesso, percorrendo una gran quantità di direzioni nel suo percorso, cercando di spostare in avanti il punto di saturazione verso la sua musica; inevitabilmente però con il tempo e con una produzione così mastodontica, il suo stile finisce per perdere di appeal, senza aggiungere nulla a quanto già espresso.
L’incredibile lavoro fatto fino ad oggi diventi allora per Nemo un nuovo punto di partenza: pubblicare di meno ma non smettere mai di sperimentare.
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