Bebawinigi Mao 2021 - Sperimentale, Acustico, Minimal

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La ricerca di colori in musica, di suggestioni, di immagini...una continua evocazione di ricordi di un passato mai vissuto e di un presente che sembra solo un'illusione, dove la comunicazione non esiste più e forse...non se ne sente la mancanza.

Mao è l'ultimo lavoro discografico di Bebawinigi (Virginia Quaranta), un ep composto da cinque brani di cui uno in inglese e gli altri quattro in "grammelot", una lingua che non esiste e che vede tra gli utilizzatori più di spicco un premio Nobel, l'indimenticato Dario Fo.

Si tratta di un lavoro difficile da recensire, perché al livello arrangiativo non c'è altro che una chitarrina sgangherata ad accompagnare la voce e i testi. Altro problema non da poco, i testi. Già, perché non si possono spiegare dei testi che si sono liberati di qualsiasi significato per lasciare spazio e importanza ai suoni, ai fonemi, agli stati d'animo che scaturiscono dall'incrocio talvolta cacofonico ma sempre sapientemente dosato, tra voce e chitarra.

Si può procedere, dunque, per impressioni, per citazioni, retaggi culturali e suggestioni, col rischio di trovarsi a recensire la propria esperienza allo specchio, le proprie percezioni e il proprio bagaglio musicale. Sicuramente questa è la chiave di volta e la prova del nove che l'obiettivo comunicativo è stato raggiunto, perché quando l'ascoltatore pensa di rivedere qualcosa di conosciuto e di rivedersi dentro una canzone, vuol dire che il messaggio emotivo è passato, anche se non per forza se ne deve distinguere razionalmente il significato.

Sicuramente l'impostazione vocale usata da Bebawinigi è quella di una bambina, il travestimento che utilizza è quello di una bambina, con tutta la sua leggiadria e contemporaneamente goffagine, con la sua spontaneità e il suo rifuggire da qualunque dogma o imposizione.

C'è tanto della musica popolare cantilenante del Sol Levante, quelle canzoni che senti riecheggiare nelle campagne cinesi, cantate dalle donne che ancora lavano i panni a mano, quella civiltà a due passi dal futuro, eppure così antica e legata alla tradizione. Troviamo tanto di queste suggestioni in Yukiyay e in Cluvù.

Stessa impostazione vocale, ma orecchio che punta verso melodie da musica popolare francese in Cronachette dove l'utilizzo di onomatopee riconoscibilissime sembra invece portarci in Italia proprio nel centro del movimento futurista, quello ancora libero da ogni appartenenza squisitamente politica, dopo una Love che invece si presenta molto meno armoniosa e dove la lingua inglese utilizzata ci parla di mostri, uomini neri e minacce sottolineate dagli accordi scuri di chitarra.

Lucernaria, ultimo brano di questo ep, suona come un carillon il cui finale rivela che le voci a bocca chiusa che tanto sembrano frizzanti e zuccherine, in realtà senza lo xilofono che le accompagna, sono un vento minaccioso e sinistro.

Mao è un lavoro certamente particolare e innovativo nella sua semplicità. Si tratta di un lavoro para teatrale, di una ricerca di colori e immagini, più  che di un linguaggio preciso e stringente. L'ascolto di questo piccolo gioiello risulta molto leggero e lascia incuriositi e affamati di altre pennellate e canzoni. Se l'intento era quello di ingolosirci, di aprirci l'appetito in vista di un pasto completo - fuori di metafora, di un Lp - ancora una volta l'obiettivo è stato pienamente raggiunto e l'attesa è iniziata non appena è finita l'ultima traccia di Mao.

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La recensione Mao di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2021-11-22 17:00:15

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