Paolo F. Bragaglia The Man from the Lab 2021 - Strumentale, Psichedelia, Elettronica

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L’elettronica cupa di “The man from the lab” arriva dal futuro a svelarci la follia dell’uomo contemporaneo

Da una parte il legno, la tradizione, la cultura della propria terra, e un legittimo orgoglio di appartenenza. Dall’altra il metallo, la crisi del mondo contemporaneo senza più radici, la sensazione di straniamento dalla realtà, e un legittimo senso di angoscia. Al centro c’è Paolo Bragaglia col suo ultimo album, “The man from the lab”, che usa l’elettronica come una clava contro l’incedere cupo di un futuro inquietante.

Bragaglia è un compositore di colonne sonore per film, televisione, spot pubblicitari, collabora da sempre con musicisti noti ed è lui il direttore di Acusmatiq, festival di musica elettronica ad Ancona, e il fondatore del museo del synth marchigiano. Con “The man from the lab” rivela un nuovo progetto e pretende orecchie aperte su sonorità cold wave anni ’80 e sull’elettronica più contemporanea; lo spirito che vi aleggia è quello di un film di fantascienza o di un racconto di Philip K. Dick. Si tratta di una manciata di canzoni senza voce, legate da una storia che il titolo ci anticipa: in un laboratorio di biologia sperimentale, un virus arriva dal futuro a minacciare gli esseri umani.

Parte la musica. Paesaggi bidimensionali si aprono all’ascolto mentre il cervello macina pensieri sovrapposti; un respiro cinematografico, tra passaggi sintetici, pause e ritmi, sembra svelare l’inquietante condizione delle scimmie da laboratorio. I primati prima dell’uomo e l’uomo dentro alla macchina ("Monkey"). L’atmosfera sulfurea di “The Mixture” ci conduce al pezzo centrale dell’album (“The man from the lab”), un esperimento di antropologia musicale in cui ogni suono, trattato come installazione, è il risultato di ricerca e incrocio di linguaggi. “Black swan” è un tributo all’elettronica di John Foxx mentre i successivi “Bat” e “Stirrers” si fanno più arditi e convulsi, sprigionando inquietudine. Il disco si chiude con l’elegia enigmatica di “Dawn of the mouse”; quando la prima luce dell’alba si riflette sulla gabbia di un topo di laboratorio, capiamo che la vita scorre sull’orlo dell’abisso.

The man from the lab” è una colonna sonora mentale, portatrice di un mood notturno che punta verso territori wave e sinfonico-dark, sprigionando la follia di un futuro minaccioso.

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La recensione The Man from the Lab di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2021-11-05 17:30:00

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