Romina FalconiRottincuore2025 - Pop, New-Wave, Alternativo

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Anatomia sentimentale di un corpo a pezzi.

C’è qualcosa oltre il pop, oltre la musica, oltre il cinema in Rottincuore: il nuovo progetto di Romina Falconi è un abisso intimo e affilato, un discofilm che sbrana il concetto stesso di album concettuale e si trasforma in confessionale, altare sacrificale, palcoscenico tragico e cabaret crudele insieme.

Falconi, che già da tempo si muove ai margini di un cantautorato queer e disilluso, torna con un’opera che non solo sfida le regole del mercato, ma rifiuta persino quelle dell’identità artistica univoca. Qui non c’è una Romina sola: ci sono tutte. La ragazzina cresciuta a Torpignattara tra i fumetti di Alan Moore e i dischi di Mina, la donna che canta l’abbandono come un sacramento sporco, la performer che balla sul dolore con le scarpe rotte e lo sguardo da Saint Laurent.

Il disco è un teatro anatomico dell’anima: 13 tracce, ciascuna un organo estratto e tenuto fra le mani. Il cuore, certo, ma anche la lingua (tagliente), le vene (incendiate), gli occhi (che non vogliono vedere). Rottincuore è un'opera di chirurgia emozionale: ascoltandolo si ha la sensazione di essere seduti in una sala operatoria dove non ci sono medici, ma solo amanti persi, psicoanalisti stanchi, suore fuori posto e lupi mannari urbani.

“La suora”, uno dei brani più visionari, è un esercizio di irreligiosità catartica in piena estasi dissociativa. In “Disturbo ossessivo”, Falconi danza col demone del controllo fino a cortocircuitarlo, mentre “Maria Gasolina” è una milonga alienata che scorre tra vene tossiche e sussurri elettronici. Ma è con “La solitudine di una regina” che la voce si fa preghiera laica: un canto che esplode in eco tragica, come se Barbra Streisand si reincarnasse nei vicoli di San Lorenzo con addosso le colpe di tutte le Madonne del mondo.

Non si può parlare di Rottincuore senza citare il suo alter ego visivo: un discofilm girato con un’estetica a metà tra il teatro psichiatrico e il videoclip queer-punk. Ogni brano è interpretato da un attore, ognuno un avatar di un vizio o di un dolore, seduti in una sorta di terapia di gruppo collettiva e surreale. Qui il pop diventa psicoanalisi performativa, non come vezzo intellettuale, ma come vera esigenza di salvezza.

Rottincuore è un’opera difficile da contenere: è pop ma non cerca hit, è cinema ma non cerca premi, è letteratura ma non cerca definizioni. È sicuramente uno dei progetti italiani più coraggiosi e ambiziosi degli ultimi dieci anni.

Non per tutti.  

 

 

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La recensione Rottincuore di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2025-08-04 21:18:00

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