“Da qualche parte c’è una festa, da un’altra un funerale”
Nel verso iniziale di Problema, traccia d’apertura di Everything Hurt, c’è già condensata l’intera idea di musica e di poetica che gb Hurt ha deciso di perseguire nel suo esordio. Gli ingredienti sono per la verità abbastanza sdoganati di per sé nell’attuale panorama pop italiano: un’attitudine emo, dolente e melensa, e una ballabilità sommessa tra urban e trap.
Quello che funziona nella ricetta di gb Hurt è la combinazione che riesce a fare di questi mondi in apparenza agli antipodi. Beat mutuati dalla nuova scena urban pop italiana fanno da base a racconti di disperato dolore, nei quali è difficile trovare anche una pur minima scintilla di positività e speranza, tra immaginari dark vampireschi e solitudini inevitabili. A salvare il disco dal cadere in una tanto estrema quanto stucchevole arci-disperazione giovanile ci pensano proprio le sonorità urban, riuscendo ad alleggerirne il carico emotivo e a rendere i brani meno musoni.
Everything Hurt non è certo un titolo che trasuda ottimismo; e tuttavia è un disco che sembra indicare, con le sue scelte musicali, che la soluzione a questo onnipresente dolore sia una paradossale leggerezza da trovare in noi. Eccoci ballare in una stanza fumosa, con poche luci dimesse, a piangere lacrime che nessuno riesce a vedere, ma che non fermano i movimenti del nostro corpo. Chi l’ha detto che non si può ballare per disperazione?
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