Vanessa Van Basten
La Stanza Di Swedenborg 2006 - Noise, Metal, Post-Rock

La Stanza Di Swedenborg

Ci eravamo lasciati alla fine della puntata precedente con un triplice auspicio: “C’è da sperare che qualcuno si accorga di tutto ciò. C’è da sperare che la vena creativa dei Vanessa Van Basten continui ad essere fertile. C’è da sperare che una vera band porti in giro questi brani”. Una sorta di cliffhanger, come direbbero gli americani, che teneva in sospeso il destino della nostra eroina post metal, Vanessa Van Basten (progetto dietro al quale si cela Morgan Bellini). Perché è vero, il demo eponimo di qualche mese fa – nato come culto massonico per pochi eletti – è riuscito ad espugnare l’inespugnabile fortino di Rockit, facendo man bassa di riconoscimenti, entusiasmi ed applausi a scena aperta. Ma all’esaltazione di un momento fa sempre seguito il suo implacabile contraltare: l’incognita. E quindi la domanda. Riuscirà Vanessa a mantenere le attese che si sono create intorno al suo nome?

La risposta si trova nella “Stanza Di Swedenborg”. Che, come dire, rappresenta un passo avanti e uno indietro. Contemporaneamente. Nel senso che rilegge – ricalca – il passato ma sotto una diversa angolazione. Riprende in mano gli stessi utensili ma ne cambia la destinazione. Una filosofia ben illustrata dall’episodio più controverso di un disco che – sia chiaro – nel suo complesso suona, vibra, spacca. “Giornada De Oro”, infatti, è uno strano frullato di metal, post rock e leggeri fraseggi in acustico, al cui interno c’è spazio persino per un deplorevole massaggio cardiaco ad un cadavere – l’assolo di chitarra – che come Lazzaro non vuole saperne di tirare le cuoia e liberare finalmente la musica moderna dalla sua presenza. E queste novità, a contatto col devastato mondo sonoro di Vanessa, lasciano un po’ interdetti. Forse allora non è un caso se lo stesso brano – dopo aver assaggiato i raggi del sole – nel finale vira nuovamente verso le tenebre. Perché è inutile girarci intorno. Bellini si – ci – trova a suo – nostro – agio quando maneggia l’oscurità, non la luce. Quando pesta le sue ossessioni col piombo sporco e bollente, non quando lucida le sue speranze con l’oro.

Ed oscuro e cinematografico è l’umore che comunque pervade l’intero lavoro. A dimostrazione che se nel particolare il passo è in avanti, nel generale Vanessa ne fa uno indietro, riconducendo le ambizioni dell’album in territori ad esso più congeniali. Lì dove le chitarre sono sature, dense, laviche. Un magma rovente e inarrestabile il cui fluire lascia sul terreno torridi residui di melodia e brutalità. Come i mai troppo lodati Jesu, di cui Van Basten ne circumnaviga le atmosfere solenni grazie allo sconquasso emotivo di “Dole”. Come gli Explosions In The Sky, che lasciano tracce del proprio sperma nei crescendo orgiastici di cui l’album è fiero portatore.

E dunque, Vanessa Van Basten. Qualcuno si è accorto di tutto ciò. La vena creativa continua ad essere fertile. Si dice persino che c’è un gruppo ormai pronto a rappresentare in tutta Italia questo appassionato spettacolo post rock. Per sapere il resto, appuntamento al prossimo episodio.

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