Claudio Lolli La Scoperta Dell’America 2006 -

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L’aspetto immutato da trent’anni; un’intransigenza autoriale assoluta, senza alcun ammiccamento al proprio pubblico; i testi complessi, da capire a fondo; il cantar-recitando, personale e austero, in grado di placare anche l’irruenza del Parto delle Nuvole Pesanti. Per questo e altro, Claudio Lolli mi ha sempre intimorito.

Lolli è una figura importante per il cantautorato italiano, una fotografia del “come eravamo” che si scatta a più riprese. “La Scoperta dell’America” è l’ultima istantanea, come sempre in bilico tra ieri e oggi, tra l’urgenza al tempo presente dei testi e lo strato di muffa adagiato sulle musiche. Muffa che nasce in gran parte dagli arrangiamenti, semplicemente imbarazzanti, che rendono ostica una fruizione di per sé non agile (su tutto: il sax che chiude la traccia d’apertura e il finale de “Il Secondo Sogno”). Ed è un peccato, perché la forza dei testi è impressionante. I primi tre brani, in particolare, costituiscono un’analisi spietata e secca del contemporaneo sociale, umano e politico, con un occhio di (carbonizzante) riguardo per la Bologna degli ultimi tempi. “Le Rose di Pantani” inciampa in un ritornello fuori contesto e banale, ma viene riscattata dall’originalità del parallelo con Pasolini e della dedica al ciclista non in quanto campione, ma in quanto sconfitto ed emarginato.

Da metà in poi, purtroppo, il disco si inceppa e inizia a zoppicare. Per la precisione all’altezza di “Poco di Buono”, pezzo appaltato a menti esterne, che pare un brano dei Gang non molto riuscito. Non sono memorabili nemmeno la fin troppo epica “L’Eterno Canto dell’Uomo” e la para-degregoriana “Nuovo Carcere Paradiso”: meglio quindi tornare ai primi brani. In particolare a “Bisogno orizzontale”, splendido volo tra amore e sforzo politico, uno dei migliori pezzi italiani di questo 2006.

Certo, anche in questo caso lo spunto non è nuovo: in quasi mezzo secolo di cantautorato certe cose si sono già sentite, ma non è Lolli la persona cui rivolgersi per chiedere un aggiornamento dei canoni del genere.

A Lolli si può (si deve) chiedere di manovrare sguardo e penna con occhio e mano taglienti. Lolli non si è mai tirato indietro e non lo fa nemmeno in questa occasione. E allora gli arrangiamenti e certi traballamenti vanno presi come una sorta di contrappasso per la lucida mancanza di pietismo che caratterizza la sua visione. E che regala ancora una volta una manciata di brani da ricordare.

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La recensione La Scoperta Dell’America di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2006-12-15 00:00:00

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