Il Teatro Degli Orrori
Dell’Impero delle Tenebre 2007 - Rock, Noise, Indie

Dell’Impero delle Tenebre

Un viaggio dentro le tenebre dell'esistenza. Profondo come una gola che sputa sangue e vomita fino all'ultimo pezzettino di merda raccolto dalla sporcizia che si coltiva quotidianamente in casa ogni giorno

Allora, come iniziamo? Vi chiedo di sedervi o preferite rimanere in piedi? Brusio in sottofondo. Vociare indistinto e lucidamente consapevole. A cosa stiamo assistendo? Che cosa sta accadendo? Le luci in sala si alzano basse mirano su un palco dove ci sono quattro musicisti. Dietro i tamburi lo sguardo luciferino di Francesco Valente (il post-Dario Perissuti negli One Dimensional Man), alla chitarra le occhiate ammiccanti di Gionata Mirai (voce e chitarra dei Super Elastic Bubble Plastic), al basso dietro i suoi occhiali c'è Giulio Favero (già ODM e ora Putiferio, produttore rock ricercatissimo). Alla voce, infine, Pierpaolo Capovilla (basso e voce dei ODM); che vi guarda.

Partiamo?

Vita mia: a noi due.
Tutto nasce dalla fascinazione del Teatro della Crudeltà di artaudiana memoria e si trasforma in una parodia del teatrino del vivere d'oggi. Una parodia violenta. Che a livello musicale prosegue ciò che sono stati gli One Dimensional Man fino a poco fa (sentite "Compagna Teresa" a tal riguardo), portando però avanti la faccenda. Perchè questa volta il discorso verte in maniera equivocabile sui contenuti, e la scelta dell'italiano come lingua sottolinea questo spirito. C'è moltissimo di Capovilla dentro questo disco, ben più di quanto - tanto - ci fosse in tutti gli altri dischi in cui ha cantato. E c'è molto anche di Giulio Favero: ricordo ancora quando, in un'estate del 2003, mi raccontava di quanto ci fosse bisogno di "dire qualcosa". Ma c'è anche Mirai con il suo tocco pop. Insomma, non parliamo soltanto di un supergruppo creato per una manciata di date live remunerative. C'è un'unità di fondo che fin dalle prime, nervosissime note, cerca una sua dimensione. Basti superare il primo manifesto "Vita Mia" per arrivare a "E lei venne", capolavoro quasi horror dove Capovilla tocca le corde di Carmelo Bene (dello stesso autore è citato l'Amleto in apertura di disco) nell'allitterazione della f, la stessa di Follia, e dove viene fuori esattamente cos'è il TDO oggi: non solo un gruppo bluescore-noise di matrice americana che si ispira a Shellac, Melvins, Birthday Party e Jesus Lizard; bensì un esperimento riuscitissimo al confine fra letteratura, teatralità popolare e bordate rock di zona anni ‘90. Molto italiano, anche, e non è un caso che ci siano citazioni degli Area (c'è anche del prog, in questo disco; oltre che una chiara attitudine politica) e una ricerca alla De Andrè. La sensazione predominante è quella della sconfitta. Quella di una caduta senza paracadute. Tu non sei un santo non sei un eroe, sei piuttosto un vinto, canta Capovilla. Me ne frego di Dio, me ne frego del Demonio, me ne frego dei Sacramenti, me ne frego di te. Ma non solo. Entrare dentro questo disco significa accettare le brutalità del vivere sbattuta in faccia senza alcuna giustizia attraverso la più bella delle arme letali: la poesia. Trasfigurata, liricizzata. Un carrarmato di rock per te (che mi faccia morire di musica e non di paura). Sono come notti passate ad ascoltare l'ubriaco che urla contro il mondo sull'autobus della circolare sinistra (poco prima venti minuti d'attesa a smadonnare contro il freddo, era la creatura che ha svoltato una serata). (?)Racconta storie vere(?) Come se un organismo mutante si deformasse verso un lucido delirio. La solitudine è cosa umana e la socialità è un teatro di posa incarnato da attori in cerca di amicizie strumentali. L'inferno sono gli altri. Sartreiano forse? Certamente c’è anche Baudelaire. Ma non ci sono professorini. "Dell'impero delle tenebre" significa sperimentare il senso del limite e non riuscire ad allearsi con la gente e rimanerne schiacciati dalla potenza dell’indifferenza. Fuori dai coglioni Teresa, lasciami bere in pace; dice. L'inferno sono io. Comunque sia, abbiamo perso. Vita mia, io e te faremo la rivoluzione. Ogni nome chiamato in causa è un appello. Uno sberleffo. Una imprecazione. Alle armi voi stronzi là fuori (ed è per questo che è politico, come quando dichiara la perdita della memoria del 20° secolo). Le parole sgorgano come fossero una colata lavica e si insinuano nei rigagnoli della terra arsi dall'acqua. Riempiono il vuoto d'amore. Perché d'opposto d'amore si muore. E anche d'amore si muore (ma mai del tutto). Come quando nel “Turbamento della gelosia” stillano lacrime di tristezza dopo attimi di follia incontrollabile, il tutto per quel sentimento incontrollabile e totalizzante. Questo è un viaggio dentro le tenebre dell'esistenza. Profondo come una gola che sputa sangue e vomita fino all'ultimo pezzettino di merda raccolto dalla sporcizia che si coltiva quotidianamente in casa ogni giorno. Dio mio, lo sapevi che andava a finire così. Nessuno è escluso. Nessuno ne è fuori. Quella risata truce vi seppellirà. Tutta la violenza del vivere male. Tutto ok, c'è la guerra ma è tutto ok. Ma, soprattutto, ancora un cuore dentro.

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