Tra rabbia e solitudine, un viaggio sonoro senza compromessi.
C’è un momento, nella traiettoria di ogni band autentica, in cui il suono smette di essere esplorazione e diventa dichiarazione. Con Solo io con me, secondo album dei Diatomea, quel momento arriva con la forza di un pugno e la precisione di un bisturi. Lontani da ogni strategia di mercato, i Diatomea scelgono ancora l’autoproduzione: un atto che oggi, più che mai, è un gesto politico e poetico. Il risultato è un disco che pulsa di verità, che non rincorre, ma afferma.
La cifra stilistica del gruppo si fa qui più compatta, ma non meno irrequieta. L’apertura affidata a Coltelli è un’invocazione oscura, quasi rituale, in cui il rock alternativo si fonde con venature nu metal in un abbraccio stridente e necessario. Il brano affonda nel disagio con ferocia e lucidità, evocando scenari interiori cupi e carichi di tensione. Non c’è catarsi facile, solo il tentativo, a tratti disperato, di stare a galla in un mare emotivo profondo e torbido.
Ma la forza del disco sta anche nella sua varietà emotiva. Brani come Daphne, dalle tinte grunge e dalla struttura più dilatata, mostrano un altro volto della band: meno frontale, più atmosferico, ma altrettanto denso. Altri come Catene, sono esplosioni distorte, pura violenza sonora al servizio della musica e dello spirito della band. C’è qualcosa nei suoni e nella voce che sembra provenire da una distanza siderale, come se la nostalgia fosse una tempesta trattenuta a stento sotto pelle.
Il disco è un crocevia di sonorità che mescolano senza paura il culto noise di Marlene Kuntz e Santo Niente con le architetture nervose e sensuali del metal novantiano, soprattutto quello introspettivo e sensoriale dei Deftones. Ma, se le influenze sono evidenti, lo è ancora di più la voce personale che le rielabora: Diatomea non citano, metabolizzano.
Il titolo, Solo io con me, è più di una dichiarazione d’intenti: è una condizione esistenziale. L’album si muove come un monologo interiore, una lotta costante tra identità e frammentazione, tra rabbia e silenzio. La produzione grezza non leviga ma scolpisce, lasciando che le imperfezioni diventino parte della narrazione, che il suono sporco racconti ciò che le parole non dicono.
Con questo secondo lavoro, i Diatomea cercano verità e identità. E le trovano, tra feedback che graffiano e melodie che, come schegge, si conficcano sottopelle. Un disco che si ascolta con il corpo prima ancora che con la mente, e che dimostra come il rock, quando è sincero, possa ancora far male nel modo giusto.
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La recensione Solo io con me di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2025-04-18 08:03:18
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