Le Feste AntonacciUomini cani gabbiani2025 - Pop, Funk, Dance

Disco della settimanaUomini cani gabbianiprecedente

In meno di mezz'ora di disco Le Feste Antonacci segnano un punto di arrivo fondamentale per la loro carriera di cantori scalcinati, con groove irresistibili e follie memorabili. Uomini cani gabbiani è il disco dell'estate che non tormenta nessuno

Come possiamo essere sicuri che l'estate non sia solo la voglia di ballare un reggae in spiaggia oppure di mettersi un cappio al collo per la calura e la solitudine? Come possiamo gioire dei mesi che vanno dal sesto al nono dell'anno senza essere invasi da una fomo insensata e un affanno esistenziale tremendo? Le Feste Antonacci vorrebbero insegnarci - senza presunzione - questo e altri trucchi di sopravvivenza, in un catalogo di metafore e danze sfrenate chiamato Uomini cani gabbiani, che è anche il loro primo disco, anche se sembra strano da dire perché Giacomo Lecchi D'Alessandro e Leonardo Rizzi, duo irresistibile della direttissima Genova-Siena, sono in giro da più di sette anni.

Le Feste Antonacci ci insegnano anche che il groove non significa necessariamente buon umore, anzi. Perché i loro pezzi sono dei trattori, delle carovane di ritmo accattivante che non richiedono con la forza di tirare fuori il finto sorriso di chi deve far vedere che si sta divertendo, ma fanno battere una malinconia latente, sotto le linee di basso devastanti, sotto la sfilza di coretti in falsetto e movimenti sinfonici totalmente inaspettati.

E inaspettato è un po' tutto in questo disco, a partire dai numeri, sette tracce per quasi mezz'ora di musica, un qualcosa che è parecchio anni '70 nei modi, ma che suona come il 2040, o almeno noi ci auguriamo che se tra quindici anni ancora esisterà la musica italiana potrà avere un suono molto simile a questo. In Uomini cani gabbiani ci sono due momenti di follia memorabili, che sono anche la chiusura del disco. Siena/Firenze, un martello pneumatico di ritmi frenetici e riff su cui una voce dissennata scandisce parole incomprensibili. E poi la title track, un take di improvvisazione per chitarra e voce che canta solo i nomi delle tre creature animali che titolano l'album. 

Uomini cani gabbiani è un punto di arrivo importantissimo per Giacomo Lecchi D'Alessandro e Leonardo Rizzi, il compimento di una fase di carriera splendente all'insegna della demenzialità non demente, e tanto meno rassicurante. All'insegna della cristallizzazione sempre più perfetta di un pop che si sporca di funk ogni volta che può, che risente in modo vitale del french touch, che vive di ironie evolute in sarcasmi nei confronti della vita, che un po' fa schifo davvero, ma può essere riempita di feticci e filastrocche per farla trascorrere un po' meglio.

E dunque evviva questa mancanza di aspettative, questo non farne mai un grosso dramma perché forse non ne vale la pena, evviva questa assunzione di nudità e ridicolaggine sotto la giacca. Evviva queste svirgolate di stile, che non sfociano in inutili virtuosismi, ma in goliardate romantico-sportive, da consumare su furgoni scalcinati, illudendoci - o convincendoci - che ora è meglio di prima.

 

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La recensione Uomini cani gabbiani di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2025-06-27 10:22:00

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