Il Surtùm di Massimo Silverio è un prato acquitrinoso dove l'elettronica e gli archi fanno da sottofondo a laiche preghiere nella lingua delle Alpi Carniche
Ci aveva visto lungo, Iggy Pop, quando nel 2023, all’interno del suo programma radio Slow Sunday, decise di trasmettere un brano di Massimo Silverio. Si trattava di Nijò, brano che dava il via al viaggio di Hrudja, il primo album. Oggi, due anni dopo, è uscito il suo secondo disco, Surtùm.
Così come era stato per l’esordio, Massimo Silverio, ancora una volta, si affida nelle canzoni alla lingua dei suoi luoghi, il dialetto delle Alpi Carniche, idioma in cui sono cantati tutti e sette i brani. Massimo Silverio è infatti nato e cresciuto a Cercivento, un comune di seicento abitanti in provincia di Udine, e tuttora continua a scegliere di abitare queste geografie. In un’intervista che feci con lui qualche mese fa, mi raccontò che la Carnia è un posto dove, in senso stretto, ci si arrangia con quello che si ha. E che è proprio questo il punto di partenza della scrittura sua e dei suoi fedeli compagni Manuel Volpe e Nicholas Remondini. Le tracce prendono vita con stratagemmi rudimentali e artigianali (ne è un esempio la guzla, uno strumento sloveno che l’artista ritrovò in casa utilizzato come souvenir, sistemò e iniziò a suonare). Le canzoni sono però impreziosite da arrangiamenti curati e sinestetici. Oltre ai due compagni di cui sopra, Massimo Silverio ha coinvolto, tra gli altri, Mirko Cisilino dei C’Mon Tigre al corno e alla tuba e Flavia Massimo al violoncello. Surtùm nasce in luoghi remoti e a tratti isolati, ma non è affatto un disco eremitico.
Surtùm si traduce come prato acquitrinoso, e nell’album diventa un luogo metaforico dove canti e preghiere laiche si depositano. Il dialetto carnico assume i connotati di un esperanto che possa portare amore e fratellanza universale in un periodo storico che va nella dimensione opposta. Cavalca l’onda linguistica dei Sigùr Ros o di Daniela Pes, artisti che negli anni hanno affidato i propri messaggi più alla fonetica che alla verbalizzazione. Con la differenza che Massimo Silverio ha compiuto un lungo lavoro di ricerca testuale per i brani, che rimangono onirici nel loro significato letterale per chi proviene da altri luoghi. Le sette tracce del disco non sono esattamente dei brani radiofonici. Sono canzoni lunghe (il pezzo di apertura dura addirittura dieci minuti), elaborate, complicate. Possiedono però una grande potenza immaginifica. Sono canti di pace pieni di brina e umidità, proprio come il clima di una palude dopo una grande pioggia. Sono la colonna sonora di passeggiate invernali tra stagni e boschi, dove regna il silenzio e non si incontra nessuno.
Apre il disco Sorgjâl, “un canto per questo mondo amputato”, come l’ha definito l’artista. È una canzone di dieci minuti, in cui l’elettronica si insinua pian piano fino a fare da padrona alla fine, in dialogo con gli archi. È stato rilasciato come singolo prima della pubblicazione, ed ecco, a meno che tu non ti chiami Taylor Swift e un brano da dieci minuti è proprio quello che ti serve per fare rebranding, non è proprio una scelta usuale o discografica. Avenâl, il secondo pezzo, è il manifesto del disco, dove il surtùm viene citato: è tra tutti forse il brano che più rispetta alcuni dei canoni della musica pop nella composizione e nella produzione, pur rimanendo etereo e mistico. In Prin, le atmosfere dark ricordano i Massive Attack, sormontate da tenui vocalizzi che via via si fanno sempre più lontani. Nell’intro del brano si sentono degli scricchiolii che ricordano i riverberi sporchi di certe canzoni registrate in casa in cui il suono non è stato isolato completamente; ma appena subentra la chitarra acustica, diventano la cassa armonica che scandisce il ritmo del brano, accompagnandolo anche quando entrano tutti gli strumenti. In Grim, Massimo Silverio svela il lato di sé più melodico, cantando qualcosa che sta a metà tra una ninna nanna e una preghiera rivolta all’acqua, affinché ritorni ad essere il grembo (grim, appunto) di tutti noi.
Surtùm è un disco complesso, e non solo per una questione di lingua. Lo è anche nei significati sottesi, nelle metafore utilizzate, nella costruzione. È un disco che rafforza un modo di fare musica in cui i dischi richiedono tempo, attenzione e concentrazione, e però in cambio ti danno qualcosa di più della semplice serotonina delle belle canzoni che escono. La voglia di fare un viaggio in Carnia, o magari qualche nuovo punto di vista per ponderare la realtà.
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La recensione Surtùm di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2025-10-10 15:26:08
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