Il secondo disco dei Brucherò nei pascoli è strutturato come un passage parigino. Una vetrina dove sono esposti personaggi dall'umanità viva e compromessa, cantati con quella dose di arroganza irresistibile, che mescola post punk e rap
Si può odiare Milano anche senza dirlo. Si può cantare la politica anche senza dirla. Un racconto si può scrivere anche senza la narrazione, ma solo coi ritratti dei suoi protagonisti e uno stralcio di dialoghi. I Brucherò nei pascoli sono andati molto al cinema in questi due anni, e hanno scritto un disco molto diverso da Palo, molto più semplice nell'assemblaggio, molto più difficile nelle sue singole - grandi - canzoni. Si chiama Umana, un aggettivo declinato al singolare femminile, chissà come mai, e chissà come mai è così giusto.
Se c'è una cosa che detesto di Milano è che la gente non si lascia più guardare, sfugge allo sguardo, e quindi al racconto di sé. E se in mezzo agli aperitivi e alle cariche della polizia ci si sente alienati da far schifo, ecco che mostrarsi potrebbe essere la soluzione, ecco che raccogliere una serie di biografie, più o meno fittizie, può essere un’operazione davvero importante. Discutibile, sempre imperfetta, come l’umanità che viene cantata nel secondo disco dei ragazzi di Via Padova.
Umana inizia con TVB, che già dal titolo dimostra come anche l’amore sia diventato necessariamente una sigla, un suffisso alla fine di un messaggio che suona come una musica distorta dentro al traffico e al silenzio delle persone. I personaggi che popolano il nuovo lavoro dei Brucherò nei pascoli sono in vetrina, sono oggetti di collezionismo, perché nella disumanizzazione delle nostre vite siamo gelosi di conservare i dettagli drammatici e poetici di quelle altrui, per rifugiarci in essi e trovare un briciolo di umanità.
Non c’è una morale di fondo, tanto meno moralismo da voyeurista, ma una reale azione di empatia narrativa dentro un attraversamento ancora più entusiasmante di generi e stili musicali. Davide e Stefano si passano il microfono, sono due facce ben riconoscibili di un modo di scrivere materiale e compromesso con la bassezza delle strade sporche, compromesso con la marginalità di chi guarda i bar alla moda con disgusto, e se c’è bisogno bestemmia. Sembra di conoscerli tutti questi protagonisti, un ragazzo a disagio con gli altri, un corpo trans che combatte in un mondo dove regna la transfobia, l'amica filippina, in un disco strutturato come un passage parigino.
Anche la forma di Umana è inusuale, perché accompagna con suoni anche dolci fino quasi a metà, per poi incontrare l’esplosione lirica e sonora dopo il dramma famigliare cantato in Africa. A quel punto il rumore, il post-punk, il rap, si fanno strada tutti insieme con quell’arroganza che si fa voler bene senza ritegno, e i sintomi della psicosi si palesano tutti in una volta. L’ideale seconda parte del disco si apre con "ieri ho avuto un down come Andrea", è tutto molto chiaro, diventa mano a mano tutto riconoscibile:il bruciore caustico che è diventato marchio di fabbrica dei Brucherò nei pascoli, quella distorsione vocale, quella totale mancanza di ritegno che fa sembrare ogni brano così vivo, reale e presente. E per questo spaventoso.
E a proposito di paura, tra i vari feat. sbucano due penne che sono un'incarnazione politica di pulsioni paurose. Lamante ed Edda, voce, anima e distruzione di Tua da far paura e Serafino, stanno all'inizio e alla fine di Umana, come due colonne che indicano la strada e la delimitazione di questo tempietto sfigurato di Milano Est. Accompagnano all'ascolto in questa giungla di volti e suoni, di grande scrittura cantautorale sporcata con tutto ciò che si trova nella spazzatura. I Brucherò nei pascoli si fidano solo dell'umanità a loro vicina, e la cantano con tutto il dolore e l'asciuttezza possibili. Che male far rumore così.
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La recensione Umana di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2025-10-24 10:18:00

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