Flavio Giurato
Il manuale del cantautore 2007 - Cantautoriale

Il manuale del cantautore

Se è vero – ed è vero, potete starne certi – che la freccia è diversa dall’arco e che il bersaglio si muove continuamente, allora inutile perdere tempo nel cercare nel ritorno di Flavio Giurato qualche seria assonanza con i colpi di vuoto di “Per futili motivi”, nella quadratura del cerchio de “Il tuffatore” o nella geniale schizofrenia di “Marco Polo”. Sarebbe tempo perso, un’inutile rincorsa verso il passato, il disconoscere il presente di chi, dopo 23 anni di lontananza dall’industria discografica, ha ancora la forza di sciorinare un’insperata vivacità, quella rinchiusa ne “Il manuale del cantautore”. Un disco impietoso, una radiografia di un’Italia superficiale aggrappata al saio di Padre Pio quanto ai suoi misteri irrisolti, quelli di Ustica, di Pier Paolo Pasolini o di Wilma Montesi. Non un disco politico nell’accezione più immediata del termine, tanto che i testi delle canzoni hanno poco di didascalico (con l’eccezione di “Praga”, descrizione, con spunti autobiografici, dell’invasione sovietica del ’68) o di sloganistico e si lanciano verso un tenero minimalismo (“Silvia Baraldini” ne è l’esempio più lampante) o a un gioco di rimandi e di piani di lettura diversificati, come ne “Il caso Nesta”, poco più di quattro minuti che valgono almeno quanto un intero trattato di teoria e tecnica delle comunicazioni di massa. Ed è forse questo l’unico punto di contatto con il passato, peraltro evocato anche nella parte finale della già menzionata “Praga”, chiusa con la citazione di un verso di “Notte di concerto”. Poco più di un vezzo in un disco dominato per lunghi tratti dalla chitarra del fido Piero Tievoli, un punto fermo della vita artistica di Flavio Giurato, da arrangiamenti a volte rabbiosi, altre appoggiati a delicati quadretti acustici (il violoncello suona da dio), come nel caso della (ironica) title-track. Peccato per l’invadenza chitarristica presente in “Centocelle” o per qualche lieve difetto in fase di registrazione, il che non toglie comunque valore a un disco che rimane bellissimo nella sua visionarietà e che possiede tutti gli elementi per trasformarsi nell’ennesimo culto della produzione del cantautore romano. Sarà anche vero che non ci sono più i rematori di una volta e che i cantautori non se li fila più nessuno, ma non vorremmo che da “Il manuale dei cantautore” al prossimo disco passino altri 23 anni. Sarebbe un colpo durissimo per lo zoccolo duro di tutti i giuratiani sparsi per lo stivale.

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