Micevice Experiments on the duration of love 2008 - Pop, Indie

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Diceva bene Faustiko nel 2000 quando, nel recensire il secondo disco dei Micevice, scriveva che l’esordio della band, "uscito in sordina, meriterebbe di essere ripescato per gustare le qualità nascoste di un lavoro prodotto magistralmente da Hugo Race. E a distanza di anni il “ripescaggio” c’è stato. L’etichetta My Honey records ha, infatti, ristampato quella magnifica partenza datata 1999. Un disco registrato tra Catania e Melbourne da Norman Fagg (fonico dei Dirty Three). Dietro i Micevice c’è quel Giovanni Ferrario che Pj Harvey ha reclutato per le registrazioni del nuovo album. E ci sono anche Marta Collica (Sepiatone/True Spirit/John Parish) e la bassista australiana Cat Hope. “Experiments on the duration of love” è una perla di bellezza e semplicità. Un disco dolce e malinconico, diretto, elegante ma senza tanti orpelli. Che brilla di luce pop e brucia di dissonanze indie. Che tesse melodie morbide e spazia nelle sperimentazioni. Che elimina il superfluo per concentrarsi sulla voce e i singoli strumenti, e creare canzoni che incantano fin dalla prima nota. Da quando la voce di Marta entra e penetra con intensità in “True”, disegnando insieme a flauto e chitarra acustica un’atmosfera sognante. Ed è subito amore. Il passo verso la passione, poi, è breve. Basta il fascino dark di “Degenerate me”, avvolto da note di basso profonde e destabilizzanti. La trepidazione di “Queue for sedatives” è accentuata da una chitarra elettrica e due voci. “Sun” si innalza delicata trafitta da magici violini e corde pizzicate. Loop elettronici inquietano in “The velvet palace”; sonorità pacate ed essenziali ma grevi si ritrovano in “Denise”. Una chitarra ritmata e la bellissima voce di Marta risaltano luminosi in “Silver coat”, dove l’innesto della batteria e le distorsioni producono un brano mozzafiato; in “Ridge” più vicina è la somiglianza di Marta alla voce di Beth Gibbons e anche le sonorità sono un po’ Portishead. “Red fish” insegue note meste ma di assoluto splendore. “Sick”, del tutto spoglia di artifici, è un sussurro partecipato infranto da basso e chitarra che si trascinano dolenti. Chiude il canto spontaneo di una bimba e un umile basso in “Jazmine song”. Tra lo spleen di Nick Cave e i Sonic Youth più tenui. Valeva proprio la pena rispolverarlo.

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La recensione Experiments on the duration of love di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2008-04-09 00:00:00

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