Jennifer Gentle - telefono, 23-02-2005

Dalla provincia alla Sub Pop (bastano i nomi di Nirvana e Mudhoney per capire di che etichetta stiamo parlando?). I Jennifer Gentle con “Valende” stanno conquistando il mondo. Eppure al telefono la voce di Marco Fasolo non si spezza ma nemmeno eccede. Rimane gentile, certo non baritonale, con il potenziometro puntato sulla cortesia. Evidentemente non basta avere pubblicità su tutte le riviste del mondo per riempirsi di boria. Meglio così.



Sarai ormai assuefatto a questa domanda, ma va fatta. Togliamoci dunque subito il dente: comè nato il rapporto con la Sub Pop?
Tutto è iniziato lentamente, a partire da “The Wrong Cage”, il disco live con Kawabata Makoto (2002). Da quel momento il nostro nome è incominciato a girare all’estero: ci sono state recensioni, feedback, passaggi in radio eccetera, e infine la ristampa da parte dell’etichetta australiana Lexicon Devil dei nostri primi due album, chiamata "Ectoplasmic Garden Party". Contemporaneamente, noi siamo stati a suonare a New York, e poco dopo siamo stati contattati via mail dalla Sub Pop: “ci siete piaciuti molto, possiamo collaborare? Teniamoci in contatto”. Fecero sentire il disco al resto dello staff, piacque a tutti e si firmò il contratto.

E un contratto per un solo album o si potrà protrarre?
Si può protrarre, assolutamente. Ma devi pensare che è una cosa nuova sia per loro che per noi. Loro non hanno mai lavorato con nessun gruppo europeo, forse soltanto una band francese verso la fine degli anni ’80, ma non ne sono nemmeno sicuro. Non è una cosa regolare per loro, ma sono molto curiosi di vedere come andrà. Ovviamente lo siamo anche noi.

La vostra potrebbe sembrare la storia di una grandissima rock band piena di soldi, fama, successo. Invece tu sei appena tornato da lavoro e Alessio, in questo momento, sta lavorando.
Eh, si. Adesso come adesso, grandi entrate non ci sono. Per ora c’è la promozione fatta bene, ma è prematuro dire qualsiasi cosa. Siamo contenti del fatto che il disco giri e abbia, ovunque sia andato, raccolto ottime impressioni. A gennaio il nostro è stato il disco più trasmesso a Wfmu, la radio più grossa circuito universitario newyorkese. Inoltre abbiamo avuto ottime recensioni ovunque. Siamo soddisfatti, insomma.

Valende” è un album a mio avviso molto bello, capace di impazzire la matrice pop in una chiave assolutamente lisergica e psichedelica. So che, nonostante il blasone delletichetta, avete lavorato come per i precedenti dischi, nel vostro studio casalingo. Avete avuto pressioni? Comè andata?
Pressioni no, anche se ovviamente eravamo lusingati dal fatto che il disco sarebbe arrivato altrove. In realtà la nostra priorità era quella di creare uno studio nuovo, cosa che poi abbiamo fatto. Volevo una cosa più curata nel dettaglio, una cura che portasse non tanto all’aggiungere quanto al valorizzare gli arrangiamenti. Qualcosa che permettesse ai nostri dischi di suonare bene e meglio dei precedessori, con un suono più scarno ed essenziale. Creare insomma qualcosa che andasse oltre, un suono più nostro. Al di là della differenza dei mezzi del nostro studio, non è cambiato nulla.

So che invece è cambiato qualcosa nella vostra formazione.
Si, in studio ora siamo io e Alessio (Gastaldello, batterista e percussionista, NdR). Dal vivo, invece, facciamo un po’ di numeri. Isacco, che era il chitarrista, si dà i cambi con Paolo, perché entrambi hanno problemi di tempo. Al basso e alla tastiera, abbiamo inserito due ragazzi di Trieste conosciuti qualche tempo fa, e siamo molto contenti. Abbiamo le stessa capacità e la stessa sensibilità musicale, e in più c’è il fatto che ci siam trovati. Loro poi sono appassionati e contenti di andare a suonare in America esattamente quanto noi. In cinque sul palco riusciamo finalmente a ricreare tutte le sfaccettature di alcuni pezzi che prima addirittura non suonavamo neppure. Io, poi, mi sono costretto a portare sul palco sia elettrica che acustica.

Nonostante la vostra chiara vocazione pop, dal vivo avete sempre prediletto la vena lisergica, come ad esempio nel tour fotografato su disco (lacido “The Wrong Cage”) con Makoto. Oggi, invece?
Oggi portiamo tutte le nostre sfaccettature. Sono rimaste le jam, ancora potenti ed acide, però con la nuova formazione e con gli arrangiamenti più curati ci avviciniamo al pop del disco, e riusciamo a performare molto bene i pezzi acustici. La scaletta si apre pop, con un cuore acustico, poi attraverso una jam pop più elettrica si arriva ad un’altra jam conclusiva. Oggi insomma siamo molto vari, e riusciamo a portare sul palco tutti i nostri elementi.

A proposito di tour. Quello che partirà a metà marzo non è il primo tour che fate in America. Cosa vi aspettate?
Si, negli US ci siamo già stati due volte, ma questo è il primo tour serio di un mese e mezzo. Siamo molto eccitati, non lo nego. Gireremo tutti gli Stati Uniti: partiremo da Austen, in Texas, con tre showcase, e poi andremo a Baltimora, Philadelfia, e New York, Chicago, Toronto, Montreal, Vancover, Seattle. Stiamo a vedere, visto come sono andati i nostri concerti in Italia, sono molto fiducioso.

Ma girerete da soli?
No, suoneremo assieme ai Dead Meadow, della Matador.

Mi dicevi che anche in Italia i vostri live sono andati bene.
Si. Siamo stati al Freemuzik, a Brescia, sabato, e ci è piaciuto. Anche al Covo di Bologna la gente stava attenta… all’Interzona poi è stato impressionante. Ho notato che la gente è molto interessata: nei momenti acustici, per esempio, c’è silenzio assoluto. E’ bello suonare e vedere che la gente è lì per ascoltare.

Vorrei ora, visto che siete stati il motore di questiniziativa, che mi parlaste del tributo a Franco Battiato (“Whats yor function?”, Sillyboy, 2004) che ha visto coinvolto il meglio della scena sperimentale internazionale. Comè nato?
Anche questo è nato da Kawabata. Marco (Damiani, il manager della band, NdR) si è reso conto che Battiato – soprattutto nella sua fase più sperimentale - è molto conosciuto all’estero, in Giappone, America, Inghilterra. Ci siamo detti: se lui entra in un negozio e compra tutta la discografia di Battiato, forse si può fare qualcosa. Da lì abbiamo contattato un sacco di gruppi – dagli Oneida, agli Acid Mother Temple, agli Zu, ai Volcano The Bear - e hanno tutti partecipato ultraentusiasti. Il risultato è a mio avviso molto fluido, per le compilation che si ascoltano oggi. Sembra non dico il prodotto di un unico gruppo… ma c’è un unico spirito.

Siete sempre stati un gruppo distaccato dalle piccole mode del piccolo mondo indipendente italiano. Avete sempre fatto quello che vi piaceva fare senza mettere troppo attenzione al resto. In Italia, siete una magnifica anomalia. Negli US, invece, so che in questo momento la psichedelia è quasi “di moda”…
Si, c’è molto interesse verso certe sonorità. Ma io credo che la cosa importante da sottolineare sia questa: un gruppo deve seguire i suoi intenti senza porsi troppi problemi riguardo ciò che interessa agli altri ascoltare. Noi ci siamo autoprodotti per le prime uscite: questo rende chiaro che noi volevamo portare avanti le nostre idee. Questo, assieme ad un pizzico di fortuna, ha fatto la differenza. Non sarà l’unica cosa, ma essere convinti di ciò che si fa aiuta. Così come battere la testa in continuazione.

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L'articolo Jennifer Gentle - telefono, 23-02-2005 di Carlo Pastore è apparso su Rockit.it il 2005-03-08 00:00:00

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