Il primo disco di Lumiero è un diario di sopravvivenza alla disillusione, dentro un mondo sonoro che rimanda alle grandi estati del boom economico
Potrebbe sembrare di aver messo nel lettore cd una di quelle compilation della Fonit Cetra in cui si raccoglievano grandi canzoni per ogni annata. In questo caso si tratterebbe del biennio 1962-1963. Si cantavano le spiagge con una malinconia contagiosa, con giri melodici appiccicaticci, il disincanto che mostrava la consapevolezza che l’amore si sarebbe dissolto come un granello di sabbia. Nico Fidenco, Paul Anka, Gino Paoli, oppureLumiero. Classe 1997, da Milano-Barona, la voglia di mettere in discussione quell'amore tanto cantato, una dannata voglia di studiare i canoni musicali di quelle estati infrante sulla riviera del boom economico, per rielaborarli e dagli luce con un'anima contemporanea.
Nel primo brano del suo primo disco - Il primo grande disco di Lumiero, titolo che parla da solo con grande ironia, perché parliamo di un lp di appena 21 minuti - Lumiero gioca con la fragilità del sentimento, con la sua caducità, sul fatto che se non si sta troppo attenti la freccia del nostro amore potrebbe puntare un metro più in là rispetto a chi già stiamo amando. E allora si ricomincia da capo, pur col dubbio di aver lasciato qualcosa di buono da dove ce ne siamo andati. Abbastanza geniale come incipit, una separazione cantata in modo dolcissimo, con la sigaretta accesa che si lascia fumare dal vento.
La cosa più sorprendente de Il primo grande disco di Lumiero è l'inerzia con cui Lumiero si lascia spostare dalle storie che canta, immerso in un mondo sonoro creato in modo geniale da Marquis. Tutta la polvere degli arrangiamenti di sessant'anni fa è stata tolta, tutto il vecchiume è stato verniciato di nuove tinte, ed ecco che l'operazione diventa autentica, rifuggendo ogni ossessione meramente estetica. Può sembrare paradossale, ma la voce di Lumiero in tutto questo rimane la protagonista, alla mercé di tutto e tutti, nuda e limpida, elemento di pulizia e sincerità.
C'è una vena di disperazione, autentica e commovente, in questa manciata di brani, che ad ogni ascolto somigliano sempre di più a un diario di sopravvivenza alla disillusione, più che a un'operazione discografica. L'arrivederci è dato con un brano splendido, Come Fossi Estate, un tripudio di malinconia da riviera, infarcito di buoni propositi e previsioni autodistruttive. Gino Paoli è diventato dark non solo nell'animo, ma anche nelle parole, la morte si sta avvicinando con l'incombere dei trent'anni, e la musica sta arrivando ancora una volta a salvarci, o almeno ci sta provando.
La grande dote di Lumiero sta - oltre che nella sua penna raffinata - nel trattare male chi ascolta i suoi pezzi, dandogli l'illusione del comfort delle vacanze coi nonni, per poi triturare le speranze in una discesa danzata verso le oscurità del cuore. Forse è il caso di pasticciare la copertina di quelle compilation Italian Graffiti, Come nasce un amore è diventata Un letto per tre, Nico Fidenco è diventato Lumiero, il futuro per quando tremendo diventa molto interessante. Alla prossima estate!
---
La recensione Il primo grande disco di Lumiero di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2025-12-05 00:24:00

COMMENTI