Castadiva [Lombardia]ep2004 - Noise, Dark, Alternativo

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Probabilmente qualcuno storcerà la bocca di fronte al mio giudizio su questa formazione lombarda. La band in questione ha infatti tutti i connotati importanti per meritarsi una recensione con tanto di cappello: arrangiamenti perfetti, abilità di percorrere con eleganza i diversi generi (risultando ottimi sia nel rock cantautorale che nell’approccio dark pschedelico), tecnica e voce di alto livello e un bagaglio culturale ragguardevole.

Premettendo che un ep di quattro tracce (di cui “No” in doppia versione) ha il potere di abbagliare - e far sbagliare allo stesso tempo, l’opera degli angoscianti Castadiva mi lascia turbata ma col senno del dubbio. O meglio: di qualcosa che manca e che non è venuta del tutto fuori dalla personalità della band. L’ep nel complesso non ha smosso il termometro del mio ‘good vibe’ di molto; uno strano effetto in realtà, considerando la piacevole materia (di genere e influenze) di cui i Castadiva si fanno portatori. La loro musica è pregna di oscure incandescenze, indolenti distorsioni e psichedelia statica - che di più statico c’è solo il Colosseo (tanto per citare l’ode romana in “Nerone”). Una new-wave di fondo contraddistingue l’anima della band visibilmente cresciuta “in abito scuro e inizi anni’ ‘80” (da Cure ai nostrani C.S.I., da cui riprendono le scale vocali e i secondi cori in “Nerone”); tracce di futuro spuntano nell’incalzante “No”, song definita da un timbro vocale a tratti ovattato e tastiere come filo narrante, strutturata ottimamente anche se qualche sintomo di noia non tarda ad arrivare dopo ripetuti ascolti.

E se state pensando ad una stroncatura velata sotto gli eufemismi, vi farò subito cambiare idea: se due brani potrebbero far crescere le angosce di tutti i musicopatici, la sorpresa arriva con “Insopportabile”. Se i Castadiva fossero quelli di questa canzone, allora sarebbero figli della poesia d’autore e avrebbero sangue tristemente - eppur beatamente - inglese; ”Insopportabile” incede infatti con un intro alla Pink Floyd, come una fotografia in movimento annebbiata da “Desert songs” dei Mercury Rev, penetrante nel suo crescendo inquieto che, in qualche modo bizzarro, mi fa pensare al pathos di “Bellissima” della nostra Bertè (lo stesso pianoforte!), solo più spoglia di chitarre e con le pile scariche.

E se questa recensione vi lascia un po’ confusi e contrariati, allora bene: sono così riuscita a rendere il senso dei misteriosi Castadiva.

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La recensione ep di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2004-05-30 00:00:00

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