Barbagallo 9 2017 - Soul, Rock, Psichedelia

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Come la forma del numero 9 che non è chiusa, ma apre al di fuori di sé, così la musica di Carlo Barbagallo si apre in continuazione verso nuovi colori e sentieri

Carlo Barbagallo, per chi non lo conoscesse, è un artista vero, con un’idea di musica ben precisa e definita, che mescola sì generi e influenze diverse, ma le sintetizza in modo magistrale creando brani spettacolari, pieni, ricchi di spunti: brani che sono veri e propri quadri, immagini ricche di linee e di dettagli. 
In questa idea di fare musica, ogni traccia delle nove (più una) che compongono “9”, il nuovo album del cantautore siciliano, rappresenta una porzione più o meno grande di un’unica enorme opera. Ogni porzione ha i contorni indefiniti, perché mescola i colori per crearne di nuovi: così per esempio “Any Girl’s Eyes” è fatta di puro e più classico rock, sussurri di psichedelia, a cui si aggiungono i fiati che riportano al jazz.

Il mescolamento dei generi e la varietà delle scelte è giustificata anche dalle molteplici collaborazioni che conta il disco, e non voglio citarne nemmeno una per non tralasciare le altre: ciò che è importante è che ogni ospite, a sua volta, ha arricchito ogni brano (e indirettamente il disco intero) di forme e colori.

Così arriva “Save hide save”, che esalta un magnifico rock progressivo con jazz e psichedelia in un brano coraggioso di 10 minuti, che riesce comunque a non annoiare mai, mantenendo il ritmo alto con i fiati.
Siamo al terzo brano e l’asticella si è alzata notevolmente, tanto che il picco dell’album sta in “Nothing”: un altro enorme tassello dell’intera opera, di 9 minuti di lunghezza. “Nothing” ha la capacità, inedita fino a questo punto del disco, di prendere l'ascoltatore alle spalle e far sentire la lama affilata del coltello sulla spina dorsale. Il ritmo (cardiaco) si fa più sostenuto nei momenti di suspense. Dopo l'introduzione di voci e tintinnio regolare di una goccia d’acqua, si apre su voce, chitarra ed archi, a cui momento dopo momento si aggiungono, in un arrangiamento ad orologeria, gli altri strumenti, trasformando il brano in un’opera maestosa, intrisa della malinconica sensazione dello spreco di tempo e di vita: “burning a cigarette / wasting my time”. Poi, come se fosse un percorso circolare, si chiude col recitato, dopo un momento di pausa: “Siete ammassi deformi di ciò che percepite come ieri, solo più spazzatura, nulla”, che fa da introduzione al brano successivo, “Rust”. In questo modo la fine non è davvero una chiusura, quanto l’apertura di una nuova strada, un po’ come la forma del numero “9” che non è chiusa, ma apre al di fuori di sé.
Sta proprio qui il vero senso dell’album: un percorso complesso, in parte anche difficile, ricco però di stimoli che non si esauriscono in se stessi, ma aprono porte e sentieri nuovi, da esplorare e da disegnare, per ascoltatori attenti e coraggiosi.

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La recensione 9 di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2017-08-03 09:00:00

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