Rathauz nomomo 2019 - Sperimentale, Rap, Metal

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Trap, punk, metal, reggaeton, elettronica: il primo disco dei Rathauz è un album perfetto per questi tempi, un sasso enorme lanciato nello stagno della musica italiana.

È pesante quando gli artisti cercano di togliere il lavoro a chi deve scrivere un articolo, ma questo è proprio uno di quei casi: la descrizione di questo disco recita ”nomomo è tutto e niente, è la creazione”. Questo ovviamente non dice niente, ma dice anche tutto, forse altrettanto ovviamente. Niente perché effettivamente questi chi sono? Sappiamo che sono due fratelli, vicentini, la loro immagine è poco esposta ma mai nascosta ad arte, pagina Facebook non troppo attiva e che fa riferimento al collettivo Rat-Truppen invece che al nome Rathauz, uscite sporadiche senza troppo battage pubblicitario. E poi è niente perché roba così come la definisci? Cerchi una parola, ti viene il niente. Però, al contempo, questo disco è tutto. Intendiamoci: non perché ci sono le la trap e il growl, le chitarre, il reggaeton, l’elettronica e l’emo. Siamo nella post modernità e tutti muri sono caduti, la commistione estetica di per sé significa poco e niente. Ma perché in quel niente c’è tutto, tutta l’angoscia di una generazione che ha lasciato il cuore in fondo un pozzo e le speranze nella tasca dei jeans da lavare insieme all’erba, che è nata già nel futuro e per questo un futuro non ce l’ha, né ha un pianeta dove immaginarselo (Okamakakammesset). Nessuna certezza, nessun riferimento se non la marea di cultura pop in cui affoghiamo consumandola bulimicamente, 24/7 in un flusso digitale costante che mescola tutto senza fare più distinzioni. “Nessuna speranza, nessuna paura” dicevano i Contropotere, rivoluzionario gruppo hardcore punk degli anni ‘80, e la citazione non è fuori luogo. Si è parlato parecchio negli ultimi anni della trap come nuovo punk, spesso un po’ a sproposito. i Rathauz sono forse fra i pochi che del punk fanno qualcosa di più di un’etichetta culturale da auto-affibiarsi a suon di riferimenti e citazioni testuali. Quello può fare la sua parte come dichiarazione di intenti, e anche qui non manca ( “chiodo nero, stesso cognome, questo è punk amore, smack, come i Ramones’, Pubblico Deefecus), ma non basta. Non basta neanche la contaminazione estetica, con le chitarre distorte, il growl e lo scream. I Rathauz sono una goduria per punk e metallari senza peli sullo stomaco, con buona pace delle teste di cuoio della punk police (’Policepunk=S.W.A.T.’, ovviamente il pezzo più sfacciatamente punk dell’album), ma lo abbiamo già detto che la contaminazione è lo zeitgeist di quest’epoca in cui sotto al cielo regna la confusione. Il punto è un altro: nei Rathauz si riconosce quell’attitudine iconoclasta, quell’urgenza comunicativa angosciosa e angosciante che associamo al punk o a qualunque altro genere che, dietro la carica nichilista, nasconda una sincera vocazione antisistema, un attacco al mondo con un messaggio che non per forza è “politico” nel senso un po’ pedante di tanta musica di protesta, ma lo è senz’altro ad un livello viscerale, fisico e lessicale. Sicuramente più del disarmante conformismo consumista e griffato che domina buona parte della scena trap. E allora per capire lo spirito, il suono e l’estetica dei Rathauz, che pure è così attuale da sembrare uscita da una pagina di sad/shitposting con meme fritti, forse più che guardarsi intorno è il caso di guardare indietro; per esempio a quei CCCP, che risuonano tanto nel pop digitale plasticoso di ’L’amour immobile, eppur si muove’ (cfr. ’And the radio plays) e che, mutatis mutandis, amavano dare scandalo mescolando culture e riferimenti. Ed allora si, in questa chiave assumono tutt’altro significato l’aggressione sonora del metal, l’autotune e il growl vomitati sulle 808, dopo un’indigestione di tutto quello che può essere frullato e mandato giù nell’abbuffata digitale di questo post-tutto distopico. L’emo/trap di Humandruid, lo screamo autotunato di ’Giuliano’, l’elettronica o la techno di ’Thauz’, il ‘pogo con il gomito alto’ di ’Vespucci made me hardcore’, la black trap gigeriana di ’Melano gaster’. O il riff di ’The Trooper’ degli Iron Maiden sul reggaeton screamato di Iron Besito, i ritmi da estate malata di ’Disco Motorilla (Tuning Latino)’, la sacrale ’Eterno Morto’ costruita sul revival anni ‘00 di ’Infinity’. ”Così schifo che fa il giro, poi torna indietro e sei un Dio”, la rivelazione per bocca di ’Digital G-sus2000’. La tentazione di continuare è forte, ma fare l’elenco di tutto quello che potete trovare in parole e musica di ‘nomomo’ sarebbe deleterio e comunque difficilissimo, perché questo leviatano di oltre un’ora, un vero attacco kamikaze nell’era dei singoli su Spotify, va esplorato con calma. Prendetevi il vostro tempo per scendere negli abissi nerissimi dei Rathauz, affacciarvi nei pochi spiragli di luce, ridacchiare dietro qualche layer di ironia, fare brutto, farvi salire il magone. Non sarà sempre piacevole, a momenti forse disturbante, ma guardatevi intorno: c’è poco da stare sereni, e la musica oggi deve passare anche da qui.

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La recensione nomomo di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2019-06-25 15:23:49

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