Julie's Haircut - Reggio Emilia, 06-01-2009

(Foto di Giulia Mariani)

Reggio Emilia è freddissima, nell'aria in controluce si possono vedere infinitesimi fiocchi di neve che gonfiano l'aria di un'umidità ghiacciata. Fuori dalla stazione mi aspettano Luca e Scarfo, in compagnia di Corrado Nuccini, special guest che gentilmente s'è offerto di riprendere in video le nostre chiacchiere. Fuori dalla stazione una scena pulp, sembra stiano attendendo in macchina l'ultimo componente della banda per una rapina. La destinazione invece è il Bunker di Rubiera, dove ci aspettano Andrea Rovacchi e Nicola Caleffi per parlare del loro nuovo album in uscita a inizio febbraio su A Silent Place, "Our Secret Ceremony". E alla fine ci regalano anche una jam session. Di Elisabetta De Ruvo.



A febbraio esce il vostro nuovo disco "Our Secret Ceremony", perché e cosa vuol dire per voi questo titolo?
Nicola: Questo titolo può avere diversi significati…
Luca: Innanzitutto non è riferito solamente a noi… questa può essere solo una delle definizioni.
N: Diciamo che la dimensione della "cerimonia" ci affascina e una cerimonia di per sé è sempre segreta, è un evento aperto ad una serie di partecipanti che esclude il mondo esterno.

L: E' una cosa che non vale solo per questo album, cerchiamo di trovare sempre dei titoli che abbiano più interpretazioni possibili, ma soprattutto suggestivi che abbiano una loro "emozionalità"…
N: …che tendano più che altro a suggerire un'emozione, un'immagine, più che a dire qualcosa direttamente.

Avete una cerimonia segreta personale a cui non rinunciate mai?
L: Dipende, io vado a periodi, ma si tratta di cose sempre prosaiche: un rhum prima del concerto, quello sempre, ma non è scaramantico, è che così non sto sulle mie e mi sciolgo un po'.

Andrea S.: In realtà, noi dal vivo, prima di suonare non abbiamo queste cose, che ho visto anche fare in qualche camerino, anche di recente, tipo il cerchio o i canti di alcuni gruppi nostri amici, che si abbracciano e si danno la carica
L: …non t'aspettare che t'abbracci…
AS: Appunto. Vedi, ognuno si fa un po' i cazzi suoi, ognuno se la vive un po' come vuole e siamo molto tranquilli secondo me, ultimamente ancora di più, prima di salire sul palco, senza fare grossi riti o grosse preparazioni.

L: Anzi per me è proprio il contrario, si sta insieme durante il concerto, prima del concerto è proprio il momento in cui ognuno deve stare proprio per i fatti suoi, magari parli anche con gli altri ma in realtà non lo stai facendo perché pensi a concentrarti, al tuo concerto, poi quando si è sul palco, allora lì sì che si è insieme.

AS: Ecco, la cerimonia segreta, che poi tanto segreta non è, è proprio quella, così come alle prove. Secondo me ci capiamo meglio con gli strumenti che a parole, è sempre stato così fin dall'inizio.

Cito dalla presentazione che accompagnava il disco "Del disco è possibile un'interpretazione numerologica, fondata sulla ricorrenza del numero 3 e dei sui multipli. […] Il 3 indica sviluppo e apprendimento tramite le esperienze della vita, è associato alla fede e alla conoscenza". Il tono è scherzoso o ci avete davvero ragionato su?
N: La numerologia in realtà è l'unica cosa seria del disco. Infatti oltre alla spiegazione che è stata data nella presentazione, ovvero la corrispondenza del numero delle tracce tra il primo e secondo disco. Chi vuole può fare un esperimento e sommare la durata di ogni singolo brano, quindi dei minuti e dei secondi, e scoprirà tutta una serie di corrispondenze esatte tra i risultati e il numero tre. Invitiamo a fare questo approfondimento, così che si possano scoprire le corrispondenze.

L: Forse è stata la cosa più pesante in sede di registrazione, perché se la take non veniva interrotta al secondo giusto, ci toccava rifarla da capo. "Origins" per esempio si sviluppa in tre parti, ed è come se fosse un po' il centro dell'album.

Per quanto riguarda invece l'improvvisazione, la sperimentazione. Voi come vivete il vostro "fare sperimentazione" nella musica? Vi danno fastidio quelle accuse tipo "esercizio di stile"?
L: I detrattori ci sono sempre. Se fai la canzoncina pop semplice c'è quello che ti dice che sei troppo disimpegnato, così come il contrario.

AS: Secondo me la questione della sperimentazione lascia un po' il tempo che trova.

L: Noi alla fine facciamo musica leggera, musica popolare. Non è musica di ricerca, si cerca di smuovere un po' le acque per cercare degli altri spunti, non è che ci diciamo: "adesso facciamo un disco di sperimentazione". Si sperimenta più che altro sulle metodologie di composizione, non è che ora diventiamo degli ingegneri, costruiamo degli ammennicoli assurdi e facciamo cose mai fatte prima.

AS: Non c'è nulla di studiato a tavolino, non è che abbiamo deciso che dobbiamo andare in questa direzione, dobbiamo trovare questo tipo di suono o di emulare qualcuno. Siamo entrati in studio a dialogare tra di noi con gli strumenti e da lì sono nate delle cose. Come ti dicevo prima alcuni pezzi sono nati per caso mentre giocavamo a buttare giù qualcosa. Sono uscite delle cose interessanti che poi sono state sviluppate, rimaneggiate, rimontate. Da un certo punto di vista molte cose sono state registrate con lo stesso approccio di "After dark, My Sweet", ma diversamente da quel album c'è stata una lavorazione diversa del materiale registrato. Nel nuovo abbiamo lavorato di più, abbiamo rifatto alcune cose, le abbiamo scritte ad hoc per montarle con parti improvvisate, c'è stato più lavoro di post-produzione, ma non è poi così differente a livello di approccio rispetto ad "After Dark, My Sweet", anzi si potrebbe parlare di evoluzione di quel album lì, frutto anche delle esperienze che sono state fatte dal vivo in due anni e mezzo.

L: Ma non solo, "Our Secret Ceremony" è secondo me un lavoro di sintesi, non solo di "After Dark…" ma di tutti i dischi precedenti. Cioè "After Dark,…" comunque spinge in una direzione che rimane preponderante, basta vedere il minutaggio di alcuni pezzi, però "Our Secret Ceremony" recupera anche la voglia di tornare a scrivere più in forma canzone, ma senza cercare di ripetere le forme già espresse, magari con delle soluzioni armoniche diverse. Il trucco sta in questo quindi, oltre alla volontà di non ripetersi mai e cercare di spingersi, più che altro per curiosità personale, oltre. Credo che noi ormai al quinto disco abbiamo fatto veramente di tutto e quindi la cifra stilistica del gruppo è quella, puoi aspettarti di tutto, da un pezzo elettronico a un'improvvisazione elettrica a un pezzo con solo i fiati. A me piace che sia la "casa dei balocchi", ognuno ha la libertà di fare quello che vuole. Che poi fa strano, ma per quello che intendo l'italiano come lingua non aiuta, perché pone molto la differenza sulle parole "suonare" e "giocare", anche al livello di valore, quando in inglese il concetto è espresso molto più direttamente e semplicemente con il termine "play", e il gioco per quanto ci riguarda ha una grande importanza, è fondamentale.

AS: Quando la gente ci dice cosa hanno sentito o provato nei pezzi specifici, alle volte vengono fuori cose che noi non avevamo minimamente considerato. Spesso ci hanno paragonato a gruppi che nessuno di noi ascolta e questo perché a priori non abbiamo scelto una direzione specifica, e quindi quello che esce, nasce dai nostri ascolti che sono già eterogenei ma anche molto diversi pensando ad ognuno di noi.

Invece dicevi che nel disco ci sono anche tutte le esperienze che avete maturato dagli incontri degli ultimi due anni, due su tutti Sonic Boom e Damo Suzuki.
AS: Per quanto mi riguarda, le tre - quattro esperienze fatte con Damo, credo che Luca ne abbia fatte di più, sono servite a sviluppare un'attitudine che avevamo già a suonare e a cercare di esprimerci in maniera molto libera. Suonare con Damo significa non fare assolutamente prove, spesso suonare con musicisti con cui non hai mai suonato dal vivo e quindi ti obbliga a confrontarti anche, a volte, con delle durate di concerti piuttosto consistenti, con persone che non conosci, che però in qualche modo ti condizionano e ti portano a suonare in un modo assolutamente inaspettato. Per esempio, io e Luca abbiamo suonato con Damo, Matteo dei Disco Drive e con Burro dei Giardini di Mirò a Bologna e quello è stato un concerto, almeno per quanto mi riguarda, assolutamente atipico per quello che è stato il risultato sul palco, rispetto a quello che facciamo coi Julie's, perché il fatto di suonare con due persone con cui non suoniamo normalmente ci ha portato a delle derive diverse dalle nostre solite, perché loro hanno un approccio diverso dai nostri compagni di band e di conseguenza ci ha portato a suonare in modo diverso, perché s'improvvisava tutto e con loro, ripeto, non avevamo mai suonato prima. Con il vantaggio poi di affrontare il lavoro in studio in maniera completamente diversa, riuscendo a gestire anche meglio le improvvisazioni e le cose che escono da ciascuno. Con Sonic Boom è molto difficile confrontarsi, perché Sonic è una persona molto complessa dal punto di vista umano, comunque l'esperienza che abbiamo fatto durante il nostro breve tour con lui è stata divertente. Dovevamo eseguire dei pezzi degli Spacemen 3 o di Spectrum, quindi avevamo già un riferimento da seguire, e non abbiamo avuto nessun tipo di problema a suonare con lui.

Ci sono molte partecipazioni in questo disco. Intanto avete attinto dall'Italia questa volta, ma quale è stata la modalità di scelta delle collaborazioni e avete pensato per ogni persona un brano ad hoc?
AS: Non è che abbiamo fatto delle scelte specifiche, sono state delle collaborazioni più che altro di amici.

L: Per esempio ad Arezzo Wave con Enrico (Gabrielli, NdR) abbiamo ventilato la possibilità di suonare assieme e quindi, quando ci siamo ritrovato con un pezzo come "Mean Affair" per il quale avevo scritto una parte per due fiati (che nella mia testa dovevano essere sax contralto e sax tenore), ci è tornata in mente quella chiacchierata e quindi lo abbiamo invitato. Lui però suona il clarinetto basso e quindi abbiamo sostituito il sax tenore con quello, che è ancora meglio. Con Emanuele (Reverberi, NdR) siamo amici da tanti anni, e aveva già suonato anche in altri nostri dischi ("Adult Situations", ad esempio). Per quanto riguarda gli altri collaboratori sono gente non "nota" ma sono tutti amici che sanno il fatto loro e dunque suonano nel nostro disco. Insomma il senso è che non abbiamo invitato dei "nomi" ma delle persone, degli amici.

Il disco è ormai in uscita, subito dopo inizierete anche il tour. Cosa vi aspettate?
AS: Non sappiamo che dirti. Sicuramente ci aspettiamo un buon set live. Abbiamo già ragionato su come strutturare la scaletta…
L: La verità comunque è che non sai mai cosa aspettarti, finché non s'inizia non lo sai mai. Devi ingranare, e comunque è già un po' di anni a questa parte che la cosa risulta insondabile. E' davvero inspiegabile come vanno le cose oggi. La regola aurea è quella di partire sempre con i piedi per terra, andare a suonare ovunque ci sia la voglia di vederci suonare e cercare sempre di divertirci.

E sempre divertendosi, hanno tirato fuori questo brano, "improvvisato" in occasione del nostro incontro.

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L'articolo Julie's Haircut - Reggio Emilia, 06-01-2009 di Elisabetta De Ruvo è apparso su Rockit.it il 2009-01-12 00:00:00

COMMENTI (7)

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  • adtar15 anni faRispondi

    :[

  • lemming15 anni faRispondi

    Sempre più brava, Eli!

  • faustiko15 anni faRispondi

    Un gran bel contenuto... bravissima Elisabetta!

  • 15 anni faRispondi

    solo per aver usato tutti quei bellissimi giochini elettronici, vi meritate un 10! =D Non vedo l'ora di ascoltare il disco!!

  • unanota15 anni faRispondi

    k k k k k k kraut!!!
    grandi Julie's Haircut.

    2 minuti 15 secondi di circuit bending, GRAZIE Elisabetta!

    [:

  • rockpopcorncorporation15 anni faRispondi

    Evviva Eloisaaaaaaaa!!

    [:

  • mariopanzeri15 anni faRispondi

    Grillo Parlante saved my life