Ensi: con la fame negli occhi

Ensi è il King del Freestyle, non c'è storia. Ha vinto tutto quello che si poteva vincere, ha sventrato (liricamente) i suoi avversari sul palco del Tecniche Perfette così come nella gabbia televisiva di MTV Spit. L'intervista di Enrico Piazza

Ensi è il King del Freestyle, non c'è storia. Ha vinto tutto quello che si poteva vincere, ha sventrato (liricamente) i suoi avversari sul palco del Tecniche Perfette così come nella gabbia televisiva di MTV Spit. E se cerchi su Youtube, trovi tutta una serie di video che vedono il Nostro alle prese con l'improvvisazione in location bizzarre, da un campo nomadi a un Luna Park. Si chiama “Freestyle Roulette” ed è solo l'ultimo tassello nella carriera di uno che ha fatto del freestyle la propria bandiera. E ora ha fatto uscire “Freestyle Roulette Mixtape”, un lavoro dal sapore così genuinamente hip hop che sembra arrivare dritto dritto dal 1995. Oppure dal 2014. Ensi sarà sul palco del MI AMI venerdì 15 giugno. L'intervista di Enrico Piazza.


Voglio un'intervista in freestyle.
Non vedo alternative. Il freestyle, la possibilità di improvvisare, è stata la cosa che mi ha colpito sin dal primo momento in cui mi sono avvicinato all'hip hop. È una cosa brutalmente trasversale e io sono sempre stato affascinato da tutto ciò che è in real time, immediato. Il fatto è che la scoperta è avvenuta in un periodo molto confuso, è successo tutto fra la fine delle medie e l'inizio delle superiori. E ovviamente non avevo ancora la predisposizione necessaria a concentrarmi seriamente sulla cosa. Facevo ancora fatica a capire la differenza fra quello che era freestyle e quello che erano i testi veri e propri, mi limitavo a scrivere pensieri su un foglio. Però nell'esercitarmi sulle basi rubate in giro davo sfogo a quello che avevo dentro, mi piaceva molto partire senza argomenti e andare avanti in libertà. Ma mai più avrei pensato potesse diventare un mio tratto distintivo, anche perché agli inizi mi confrontavo al massimo con mio fratello Raige.

Qua siamo alla Preistoria però, poi ci son stati i vari contest, il 2theBeat e tutto il resto.
Certo, ma c'è anche una storia precedente, che parte da quando andavo agli open mic torinesi con mio fratello nella speranza di incontrare altri Mc e confrontarci. La prima volta che ci siamo trovati sul palco con altri freestyler, nonostante fossimo due sconosciuti che arrivavano da fuori Torino, se ne sono accorti tutti che non eravamo male, che questa cosa dell'improvvisazione ce l'avevamo dentro. Da lì sono entrato nel vortice, e mi son trovato a partecipare al mio primo contest, roba organizzata fra amicizie e mafiette varie. E persi. La sconfitta mi bruciò parecchio, tanto che per un po' di mesi non mi presentai più alle serate e rimasi in casa ad allenarmi da solo. Fino a che mio fratello, sentendomi mentre mi esercitavo, mi disse: “Bello questo testo”. Ma non era un testo, era un freestyle. E allora la stessa sera mi trascinò a un altro contest. E vinsi. Da lì si innescò l'Effetto Domino, e nel giro di poco tempo mi trovai a sfidare Kiffa, che per me era una leggenda del freestyle, all'epoca era riconosciuto come il più forte freestyler d'Italia insieme a Fabri Fibra. E vinsi anche quella, e ora la gara è sul Tubo e la possono vedere tutti. Ero appena sedicenne, e cominciavo a maturare questa cosa del freestyle. Ovviamente ancora non immaginavo potesse portarmi dove sono ora.

Soprattutto mi sa che non immaginavi si arrivasse addirittura a dedicare al freestyle una trasmissione televisiva.
Bravissimo. Quando mi hanno chiamato per MTV Spit, mi sono messo nei panni dei quattordicenni che lo avrebbero visto da casa, e ho pensato che avevano davvero un gran culo. Alla fine, al di là dei vari discorsi dei puristi, il livello è stato alto, e soprattutto siamo a riusciti a togliere quella spada che abbiamo sempre avuto sulla testa, quella che indica il rap come una musica che dice poco, che ha scarsi argomenti. E invece tutta Italia ci ha sentiti rappare su razzismo, omofobia, stalking, pedofilia, prostituzione e altri temi importanti e difficili da improvvisare. Sono stato molto contento del programma, felice di aver partecipato e vinto, perché ho potuto chiudere un cerchio. Anche perché il freestyle ad argomento è una cosa che ho conosciuto subito dopo la sfida con Kiffa, nelle varie jam, ed era una roba in parte nuova che mi appassionava e in cui riuscivo a destreggiarmi alla perfezione. Si trattava di una nuova ondata. Non che prima fosse sconosciuta, perché comunque c'erano i grandi da cui ho imparato: Neffa, Esa, Danno, Dargen, Tormento, Maury B. Ma il freestyle ad argomento non era vissuto al 100%, è stato sdoganato definitivamente dalla mia generazione. Per me Spit ha significato riconfermarmi e rimettermi in gioco, con una fame negli occhi che non era la stessa che avevano i diciottenni che hanno partecipato. Io guardavo più alla possibilità di guadagnare nuova visibilità e nuovi fruitori. In gara c'erano tanti Mc giovani e bravissimi, ed ero prontissimo al passaggio del testimone. Poi, per fortuna, non c'è stato. È che io e la mia generazione, quindi ci metto anche Clementino, Kiave, Jack The Smoker e altri, non ci siamo limitati a offrire un surrogato di quello che già facevano i nostri predecessori. Il loro freestyle era molto più storytelling, noi abbiamo portato qualcosa di nuovo, un modo più diretto di improvvisare, dedicato alla punchline e alla costruzione della frase a effetto. I più giovani, oggi, non hanno invece ancora rinnovato la cosa, fanno semplicemente quello che facevamo noi, per quanto possano farlo bene. Sono quindi contento di aver vinto. Per me ora non si tratta più esclusivamente di freestyle, ma è qualcosa di più complesso: non voglio che la gente si limiti a sentire quanto son bravo a improvvisare, voglio che sappia che so fare anche interi pezzi e dischi mantenendo quell'attitudine. E credo possano essere apprezzati. Che è poi quello che sta succedendo con il nuovo singolo “Numero Uno”, per cui mi arrivano i messaggi degli addetti ai lavori che si complimentano e mostrano apprezzamento.

Ma non ti spaventava un po' l'idea di portare il freestyle, che è una delle robe più di strada che ci siano, in televisione?
È stata una doppia sfida infatti. Io metto il mio background davanti a tutto, e come ho ricevuto la chiamata per Spit temevo effettivamente che nel passaggio dalla strada - o comunque dal palco con sotto un pubblico fisico - alla telecamera, si perdesse dell'energia, e quindi il risultato finale fosse fiacco. Quando ho partecipato alla puntata pilota, ho invece capito la forza del programma. Il format richiedeva necessariamente di stare dietro ai tempi televisivi, e ho interpretato questo aspetto come una ennesima sfida. In qualche modo è diventato un punto a favore, uno stimolo. Infatti credo di poter dire che se ho portato a casa il premio finale è stato anche perché ho saputo leggere bene la situazione e sono stato prestante nei momenti giusti, e lì entra in gioco una componente artistica che va oltre la semplice bravura nel freestyle. Non a caso credo che quelli che si sono comportati meglio, al di là del piazzamento, siano stati i freestyler con un po' più di esperienza, vedi Clementino o Kiave, che hanno saputo portare stile e tecnica all'interno del programma. Era un'altra sfida, e le solite critiche dei puristi non reggono, perché stiamo comunque parlando di una trasmissione che vedeva nel cast i migliori freestyler italiani di oggi ed era presentata da uno dei rapper più forti in circolazione. Inutile continuare a farsi le seghe dietro al monitor con i video del 2theBeat o del Tecniche Perfette, sono due epoche diverse. Guardando la faccenda dal punto di vista di uno che vi ha partecipato, posso garantire che in Spit non si è persa troppa energia, e non c'era un cazzo di precofenzionato. Per me oggi Spit è il nuovo 2TheBeat, e rappresenta un ulteriore traguardo.

Vige ancora il pensiero secondo cui se vai in TV ti sputtani?
In qualche modo sì, ed è una cosa veramente anacronistica. Vero è che in televisione, in ambito hip hop, abbiamo visto un sacco di merda, ma negli ultimi tempi non ci possiamo certo lamentare. L'altro giorno ho visto passare su Deejay TV il video di “King's Supreme” (posse cut con Salmo, Ensi, Bassi Maestro, Rocco Hunt, El Raton ed En?gma, Ndr), roba che fino a poco tempo fa era assolutamente impensabile. Così come lo era un programma dedicato al freestyle. Ritengo ci sia una sorta di nuova Golden Age per l'hip hop italiano, e tanto vale godersela. Poi chi si lamenta tanto per lamentarsi per me può continuare a farlo, e le critiche da chi rosica solo perché non è protagonista non mi toccano proprio. In qualità di vincitore di Tecniche Perfette, 2theBeat e Spit penso di essere il più indicato per mettere a confronto le cose, e dico che non c'è questa grande differenza, se non nella possibilità di raggiungere un pubblico più vasto e sdoganare in maniera più adulta dei contenuti che sono sempre stati di nicchia.

E il concetto di “Freestyle Roulette” com'è nato?
Fondamentalmente è nato come un gioco nell'ultimo anno, ben prima di tutta l'avventura Spit, stavamo lavorando ai video già prima che partisse l'idea del programma.

Posso testimoniare: mi avevi già anticipato qualcosa a riguardo circa un anno fa, nell'intervista con Onemic.
Esatto, era una cosa che volevo fare già da un po': sfruttare la mia cifra stilistica principale – l'improvvisazione – e anche in qualche modo cambiare l'immagine che il pubblico ha del freestyle, sempre legato alla sfida, all'essere l'uno contro l'altro e cose di questo genere. In realtà per me il freestyle è soprattutto intrattenimento, esercizio di stile, gioco. E volevo trasportare questa energia e questa concezione nei video. Per questo il ghetto blaster – simbolo della session di strada – e l'idea di ambientare i video - influenzando quindi in qualche modo anche i contenuti e gli argomenti - in contesti inaspettati come il campo nomadi. Avevo già dieci video pronti prima della fine dell'anno, poi ho deciso di pubblicarli più o meno contestualmente a Spit Gala. Un po' per non mettere le mani avanti prima e un po' per creare altro hype intorno al freestyle. Sono usciti venti episodi in tutto e poi il mixtape. Fortuna e lungimiranza hanno voluto che il tutto fosse più o meno contestuale al programma. Stare dietro al progetto per intero non è stato facile, ma ce la siamo vissuta bene, in freestyle appunto. E ringrazio Aldo Ravignani ed El Raton che mi hanno seguito nelle mie avventure con la telecamera.

Ma avranno un seguito queste avventure?
Per ora ho in cantiere un documentario su “Freestyle Roulette Mixtape”, anche per smontare le critiche che arriveranno da chi non crederà che è stato realizzato interamente in freestyle. Tutto è documentato nei filmati, che a breve pubblicherò sul Web, non so ancora se in pacchetti o in due singoli episodi un po' più lunghi. Proseguiremo probabilmente anche nel progetto “Freestyle Roulette”, probabilmente non a cadenza settimanale perché è molto impegnativo, non tanto per me quanto per chi deve stare dietro ai ritmi e realizzare i video. Ma si tratta di un format che ha dato molte soddisfazioni, per cui penso proprio di riproporlo in qualche modo, magari anche “prestando” il marchio ad altri freestylers, che potrebbero realizzare i video e inviarceli, poi starebbe a noi valutare se inserirli nel progetto.

Hai già in mente il franchising...
Bravo! Scherzi a parte, vedremo: è un'idea, ma per ora nulla di concreto.

Quello che mi ha colpito ascoltando il mixtape, è che in un periodo in cui tutti sembrano dover quasi forzatamente fare rap su dubstep, elettronica e affini, e in cui in qualche modo sembra un po' essersi perso il legame con il concetto di “hip hop”, tu pubblichi un lavoro che suona ruvidamente anni Novanta e fieramente hip hop.
L'ho fatto volutamente con quel sapore, perché è da lì che arrivo. Chi conosce il mio background sa che non sono un ex discotecaro o metallaro che ha iniziato a rappare. A me è sempre piaciuto il rap, è quello che amo e che voglio fare, sono rimasto stregato dall'hip hop e dalla sua cultura. Come fai giustamente notare, sono tempi in cui sembra che quasi ci si vergogni di avere questo background, pare essere in qualche modo preferibile dire di avere passati musicali differenti. Io credo che l'hip hop non sia mai morto proprio per la sua capacità di assorbire altri generi musicali che magari vanno per la maggiore. Ci sono stati la dance, il reggae, ora la dubstep, magari un domani ci sarà il canto popolare, che ne sai. Fra le nuove uscite, trovo un sacco di ottima roba, anche di altri generi. Ma ho fatto un breve esame di coscienza e ho capito che quello che continua a piacermi è l'hip hop, non c'è niente da fare. E in questo periodo trovo molto più fresco utilizzare beat nineties. Per il resto si è già sentito tutto, si sono già tentate tutte le sperimentazioni possibili e immaginabili. E anche dall'altra parte dell'Oceano stanno tornando quel tipo di sonorità Golden Age. Con questo non voglio criticare chi fa altro, nel singolo c'è la frase un po' polemica "Tu mischi un po' di questo e un po' di quello e lo chiami futuro"; il fatto è che non credo che essere il più possibile contaminati significhi necessariamente essere all'avanguardia. Detto questo, credo ci sia chi sa sfruttare benissimo le influenze, a cominciare da mio fratello Salmo, sicuramente uno dei più forti del momento che mi ha saputo dare un sacco di pinte, e dai TwoFingerz, che han fatto della dance la loro bandiera. Ma a me piace l'hip hop, e questo è quel che faccio, anche perché è una questione di Bpm, e io mi trovo bene su quel tipo di beat.

Però di recente hai collaborato con i Motel Connection, in occasione del live a Napoli. E li ti è toccato salire un bel po' dal punto di vista dei Bpm.
Certo, anche 130, e mi son divertito un sacco. Io non disdegno le contaminazioni, ma se vuoi sentire Ensi, con un suo progetto personale, beh allora lui fa hip hop.

E com'è nato il connubio con loro?
Niente, ho conosciuto Samuel ai TRL Awards: io di Torino, loro anche e ci siamo scambiati i contatti. I Motel Connection fanno questo Vertical Show sviluppato sui palazzi, con i vari musicisti posti su piani differenti. Dovevano fare lo spettacolo al Palazzo delle Arti di Napoli, un concerto con i 99 Posse, e sapevano che questi ultimi avrebbero portato dei rapper come ospiti. Dopo l'incontro a Firenze, Samuel ha sentito le mie cose e gli son piaciute. Ci siamo trovati per le prove e siam partiti per Napoli, dove abbiamo suonato di fronte a 14mila persone. Ho fatto anche un paio di pezzi con i 99 ed è stata una cosa pazzesca, davvero. Non escludiamo altre collaborazioni, la prima è andata molto bene.

Come ti è venuta invece l'idea di fare uscire “Freestyle Roulette Mixtape” anche su una chiavetta a forma di ghetto blaster?
Un po' per andare incontro a questi tempi disgraziati per quanto riguarda la musica, e quindi è stato naturale inventarsi dei gadget per stare al passo e fare qualcosa di originale. Si tratta si una chiavetta prodotta da Ghetto Chic in soli 100 pezzi brandizzati a forma di ghetto blaster, roba che può recuperare quella forma di feticismo che si aveva nei confronti del vinile. Siamo in un momento – che probabilmente non passerà mai – in cui il formato fisico della musica non fa più le vendite di un tempo. Tanta Roba è sempre stata lungimirante, cercando nuovi formati per poter comunque continuare a produrre dischi su supporto fisico, ci si preoccupa allo stesso modo del contenuto così come della forma.

E per il futuro?
Sto raccogliendo idee per un album, ma la preoccupazione principale, al momento, è portare in giro il mio live insieme a Dj 2P, il mio braccio destro nel progetto “Freestyle Roulette Mixtape”, è presente in tutte le tracce con gli scratch e ne ha prodotte un paio. Mi piace molto questa idea del team Mc e Dj, alla vecchia maniera.

Ma secondo te, se davvero torneranno i suoni anni Novanta, torneranno anche i vestiti oversize?
Io vesto sempre XXL, la mia vera missione è riportare la taglia XL nel rap italiano, qua ormai sembrano tutti usciti da Jersey Shore! Basta!

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L'articolo Ensi: con la fame negli occhi di Enrico Piazza è apparso su Rockit.it il 2012-05-29 00:00:00

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