Calvino - Ghostbusters

Un nome impegnativo da portare, un EP appena pubblicato da far conoscere e tanti fantasmi da evocare e coccolare, come dei perfetti animali da compagnia. Letizia Bognanni intervista Niccolò Lavelli, ovvero Calvino.

Un nome impegnativo da portare, un EP appena pubblicato da far conoscere e tanti fantasmi da evocare e coccolare, come dei perfetti animali da compagnia. Letizia Bognanni intervista Niccolò Lavelli, ovvero Calvino.
Un nome impegnativo da portare, un EP appena pubblicato da far conoscere e tanti fantasmi da evocare e coccolare, come dei perfetti animali da compagnia. Letizia Bognanni intervista Niccolò Lavelli, ovvero Calvino. - Foto di Federico Cangianiello

Un nome impegnativo da portare, un EP appena pubblicato da far conoscere e tanti fantasmi da evocare e coccolare, come dei perfetti animali da compagnia. Letizia Bognanni intervista Niccolò Lavelli, ovvero Calvino.

 

Perché Calvino?
Prima di tutto non volevo uscire con il mio nome e cognome, soprattutto per togliermi subito di dosso quell'immagine alla "cantautore" che inevitabilmente ci perseguita non appena si fa musica di un certo tipo, diciamo che ho voluto pulire un po' il campo a livello di immaginario, cercare di non dare riferimenti in quell'unica direzione. Il nome è venuto d'istinto, dopo vari mesi in cui mi scervellavo tra decine e decine di nomi che avevo buttato giù. Nessuno mi convinceva, e poi è arrivato Calvino, e qualcosa di questo nome mi è sembrato estremamente divertente, non so dirti bene cosa. Mi piace parecchio giocare accostando "cose", penso sia un bel modo per stimolare l'immaginazione, e accostare Calvino alle mie canzoni mi creava una sensazione curiosa. Detto questo, non c'è nessun tipo di omaggio dietro al nome, anche se inevitabilmente si creano dei rimandi a Italo, ma è anche questo il bello, creare uno spazio indefinito in cui chi ascolta possa mettere in moto il cervello e crearsi da solo le proprie motivazioni di senso. Troppo contorto?

No, c'è di peggio. Restando in argomento, ho letto una recensione dell'ep in cui vieni paragonato a Buzzati. Siamo sempre in zona “realismo magico”, ti ci riconosci? 
Devo dire di sì. Anche se gli accostamenti servono solo per giocare, ecco. Spesso vengono presi alla lettera, ma in questo modo si perde solo un'occasione. Diciamo che mi piace molto descrivere quello che mi sta attorno in maniera magica, cercando anche delle spiegazioni bizzarre e presentandole come vere, penso che questo apra a delle immagini interessanti. Detto questo però, io cerco sempre, nello scrivere, di partire dal dato reale, di non creare, o scappare in, mondi alternativi. Credo ci siano fondamentalmente due trappole in cui si cade, o almeno in cui sento di cadere a volte: una è quella di descrivere troppo minuziosamente l'ambiente in cui vivi, la tua generazione, per creare una connessione immediata con le (poche) persone che sanno di cosa stai parlando, mentre l'altra è quella di creare da zero una realtà altra e fantastica. Diciamo che il "realismo magico" è qualcosa che sta nel mezzo, e non sempre si riesce a raggiungerlo. 

Ti dirò, secondo me ci sei riuscito abbastanza, io sento dell'universalità nelle tue canzoni.
Mi fa piacere, anche se la sento come un proposito, che a volte è più a fuoco, a volte meno. Ci si lavora insomma, ed è anche bello ritornare su cose che hai già descritto e prenderle da una diversa prospettiva: ho alcuni argomenti che sono un po' un'ossessione, e va bene così, si gira e rigira alla ricerca del punto.

Quali sono queste ossessioni?
Nell'ep che è appena uscito la canzone che più mi ha affaticato, e anche soddisfatto devo dire, è “I Fantasmi”, che penso sia il pezzo che dà un senso all'intero lavoro. Tutti gli altri pezzi in un certo senso sono delle tappe di avvicinamento all'ultimo, in cui credo di essere arrivato più vicino a quello che volevo dire. So che sembra altisonante, ma l'ossessione era il vuoto e l'assenza, e in qualche modo è un argomento che sto portando avanti anche nei nuovi pezzi che sto scrivendo.

Magari può sembrare altisonante a chi non scrive, invece secondo me l'assenza è il punto di partenza di ogni buona narrazione. 
Parole sante. Diciamo che è una bella fiamma sotto al sedere.

Che può essere un'assenza o una mancanza di qualcosa di definito, ma anche di qualcosa che non si sa cos'è, e in questo caso si racconta la ricerca di quello che manca... un'assenza al quadrato, diciamo. Qual è il tuo caso?
Nel mio caso penso che non sia un qualcosa legato all'insoddisfazione, non mi sento insoddisfatto. Penso che per me l'assenza sia la mancanza di qualcosa che prima c'era e adesso non c'è più, e non è importante che ci sia stata davvero. Diciamo che il vuoto è anche una cosa con cui ci si identifica, e questo da un lato può essere pericoloso, se ci si abbandona, come un po' capita al protagonista de “Il clochard e la Senna”, ma dall'altro è uno schiaffo molto potente, è una presa di coscienza che porta a farsi una miriade di domande, e io queste domande ho cercato di metterle in un testo. Penso sia impossibile stare di fronte all'idea del vuoto, è in quel momento che il cervello si attiva e inizia a costruire narrazioni una dietro l'altra. Alcune di queste sono belle in sé perché raccontano molte cose della persone che le tira in piedi. È molto difficile guardarle da fuori e descriverle onestamente, è faticoso e a volte proprio mi manca la forza di farlo. Diciamo che in queste canzoni penso di aver fatto uno sforzo in questo senso, mentre in molti altri casi mi sono solo preso in giro, e infatti ho buttato dei pezzi, cestinati per sempre.

Sei parecchio autocritico (che è una bella dote, se non si esagera)
Un pochino sì, dai, fa bene. Lo faccio per ricordarmi bene le volte in cui ho preso la strada giusta, e tentare di replicare. Va bene l'ispirazione ma poi, passato il momento di grazia, bisogna sudare per bene.

Parole santissime. Torniamo a “Fantasmi” (che è anche la mia preferita dell'ep): scrivere, fare musica, o arte in generale, serve a scacciare i fantasmi o piuttosto a fortificarli, rendendoli protagonisti e quindi in qualche modo vivi?
Direi la seconda. Io assolutamente non li scaccio, sarebbe poco carino visto che li ho evocati io. Sono dei compagni di sventura, diciamo che sono delle presenze che fanno molta paura se viste in penombra, quando non si sa bene che faccia e che voce abbiano, ma una volta fatta conoscenza si convive, e volerli scacciare sarebbe non solo irrealistico, ma anche scortese. In particolare, nel pezzo non sono affatto presenze negative. Sono presenze, punto, con i loro difetti, e come in tutte le convivenze bisogna un po' adattarsi l'uno all'altro.

Il fantasma come nuovo animale da compagnia?
Esatto! Costano anche poco.



Cito, ancora da “I fantasmi”: “Non ho mai creduto a niente che non fosse una visione di un poeta morto giovane”. Io sono sempre stata una sostenitrice della morte prematura dell'artista (o almeno del baby-pensionamento). Si può secondo te invecchiare mantenendo uno sguardo creativo sincero e "giovane"?
Lo spero. Ci sono artisti dei quali mi sono piaciute solo le cose che hanno fatto nei loro primi anni di attività, e al contrario artisti che non mi sono mai piaciuti e poi a settant'anni mi sparano fuori una canzone (magari anche una cover) che mi piace di più di molti loro pezzi forti.

Qualche esempio?
Vediamo... diciamo che arrivo da una intossicazione pesante di De Gregori, da cui ho faticato a uscire, e devo dire, sempre con rispetto parlando, che quello che De Gregori ha fatto con i primi tre o quattro album l'ho trovato quanto di più bello ci possa essere nella musica italiana ancora oggi. Il secondo esempio invece è più difficile: prendo Johnny Cash, che mi è sempre piaciuto moltissimo, però sono rimasto particolarmente colpito dalla cover che ha fatto di "One". Sono cose personali ovviamente, ma il timbro e l'interpretazione in quel pezzo mi sono sembrati fantastici.
Diciamo però che in ogni caso è difficile che se uno non ti è mai piaciuto poi ti possa piacere quando è in là con gli anni, piuttosto che il contrario. E poi in questo paese che ti porta per forza di cose alla gerontofobia...

Parliamo di giovani allora: chi ti piace fra i cantautori di questa generazione?
Sono rimasto folgorato da Iosonouncane, lo trovo di una bellezza disarmante. E ovviamente Edda, credo siano della stessa pasta e lo ammiro molto. Poi i nomi sono tanti, alcuni a cui sono legato anche personalmente, come Marco Levi, altra persona che stimo. Questa è una di quelle domande che creano il black-out... comunque credo ci siano davvero tante proposte molto belle, non mi ritrovo nella filosofia della critica-per-forza al panorama italiano. Vero è che forse molti non hanno lo spazio che meritano.

Sono d'accordo. E di solito chi dice che in Italia non c'è bella musica non si prende proprio la briga di cercarla.
Vero. Pensa a quanto è più comodo però.

Vivere è più facile con gli occhi vuoti?
Beh sì, ci sono tante cose facili, tante belle sirene... bisogna rivalutare il difficile.

E come si fa? Secondo te c'è speranza?
Ti sento sconfortata. No dai, c'è speranza, assolutamente. E anche se ci fosse il vuoto, meglio ancora. Almeno si riparte da zero, con la testa che produce soluzioni alternative a raffica. Sempre il bicchiere mezzo pieno.

Invece dei cantautori classici chi preferisci? (oltre a De Gregori)
Dalla mi ha fatto divertire un sacco, un'esplosione di "realismo magico"! Ci sono alcuni suoi pezzi che hanno esattamente quell'equilibrio tra la descrizione nuda e cruda del mondo e il salto verso un livello più universale. Mi ha regalato momenti davvero belli, e poi è pieno di speranza, anche nella condizione peggiore. È un cantautore anomalo e penso sia quello, tra i classici, che abbia meno ingombrato il campo, e lasciato più strade aperte da seguire per quelli che vengono, oltretutto con un'ironia onnipresente e surreale che spesso manca al cantautore tutto preso da se stesso.



Questa cosa dell'ironia mi porta a un'altra riflessione, ricollegandomi anche al discorso della speranza e del bicchiere mezzo pieno: mi sembra che i cantautori di oggi usino molto l'ironia, però in modo diverso da, che ne so, Rino Gaetano, nel senso che ci sento un'ironia più cinica, più chiusa, non politica, non so se mi spiego. Secondo te perché non si parla più di politica? Non parlo per forza di politica in senso stretto, alla Guccini, ma di un punto di vista più sociale, mi sembra che oggi si tenda molto a parlare solo del privato spicciolo.
Ora la sparo grossa, ma penso che la politica dia davvero pochi spunti interessanti per crearsi una visione del mondo. Credo che l'impegno arrivi anche dal coinvolgimento e dalla passione, due cose a cui sinceramente non riesco proprio ad accostare la politica, e non dico che questo sia un bene, anzi, penso che sia la più grande tragedia culturale del nostro tempo. Detto questo, penso che ci sia un motivo per il quale non si sente molto di buono che abbia come argomento la critica sociale: forse è perché è una categoria completamente da ricostruire, e purtroppo siamo ancora distanti dal mettere la prima pietra, anzi siamo distanti ancora dall'aver demolito il vecchio baraccone. E non sto parlando della politica in senso stretto, o dell'antipolitica, che è ancora peggio: parlo semplicemente del senso dello stare insieme, e mi sembra che negli ultimi decenni sia stato parecchio avvelenato. Io sono nato nell'87, e sono cresciuto in un mondo con un'atmosfera ben precisa, che in fondo era molto basata sulla rappresentazione che la società dava di se stessa attraverso la televisione. Stiamo iniziando ora a relativizzare la televisione e ad usare i media in maniera un po' meno passiva, ma penso che ce ne vorrà parecchio, e soprattutto bisognerà usare un linguaggio diverso. Diciamo che prima di fare una critica sociale sensata bisogna capire chi è che compone la società, perché forse ci siamo un po' distratti e non ci riconosciamo più, quindi forse bisogna ripartire da li, e penso sia anche questo il motivo. E poi avere una visione complessiva sulla società, e saperla descrivere in maniera nuova, è dannatamente difficile.

E si rischia tantissimo di cadere nel banale.
Ecco, rischi di trovarti in qualcosa di più grande di te senza avere la minima idea di quello che stai facendo. Io credo nell'intuizione, ma forse l'intuizione non è tanto merito del singolo, è tutto l'ambiente in cui è immerso che deve favorirla, e in quanto a questo stiamo messi male.

Torniamo all'ep. Dicevamo del provare a essere universalmente capiti: "Nella città", quanto è Milano (se è Milano)? Anche se lo è, mi sembra che potrebbe essere ovunque.
Sì, penso proprio che potrebbe essere ovunque. È più una visione interna di questo personaggio che si aggira in maniera guardinga per le strade. Potrebbe essere decisamente ovunque, anche se diciamo che Milano come scenografia ci sta bene.

E invece perché Parigi?
Perché Parigi ha avuto molta importanza in alcuni momenti importanti della mia vita. È una città in cui non ho mai vissuto, ma che per coincidenze strane è diventata per me la città più sfortunata in cui io abbia mai messo piede. E quindi, così come Milano, è la scenografia ideale per “Nella città”, anche se non parla di Milano, per la storia del clochard Parigi era la scenografia che si è imposta naturalmente.

Quindi a Parigi “è sempre festa per tante persone” ma non per te, anzi ti porta sfiga?
Direi che hai beccato il punto. Poi ovviamente non c'è solo un riferimento autobiografico: diciamo che Parigi si presta molto, nel nostro immaginario, a fare da contraltare alla storia che avevo in mente.

Una domanda stronza: a me l'ep è piaciuto molto, ma devo dire che concordo con la recensione qui su Rockit che dice che il pezzo più debole è proprio il singolo, che però è anche il più pop. L'hai scelto per questo?
Il singolo è una cosa che non capisco molto. Mi è sempre piaciuto inserire le canzoni all'interno di un discorso più ampio, l'elemento che mi piace prendere in considerazione è sempre l'album. In questo caso dovevamo fare una scelta e la scelta migliore, pensando anche al fatto che ci piacerebbe presentarli se non tutti quasi, i pezzi dell'ep, è ricaduta sull'”Amore in aria”. Abbiamo ragionato con la logica del singolo perché dovevamo ragionare con la logica del singolo. Se avessi dovuto scegliere il pezzo più rappresentativo non sarebbe stato sicuramente quello, che è solo l'apertura, e l'apertura deve essere in qualche modo il più possibile accogliente. Comunque, il fatto che sia visto come pezzo più debole è per me la prova che esista qualcosa di oggettivo in scrittura, e alleluia!

Mi piace molto la definizione "un quadrato dal contenuto vuoto": immagino che il contenuto ce lo debba mettere l'ascoltatore. Prova a uscire fuori da Calvino ed essere ascoltatore. Cosa ci mette nel quadrato Niccolò Lavelli?
Non credo di riuscirci, per creare questi quattro lati sono già dovuto uscire da me stesso, e poi non voglio dare aiutini. Però sarei molto curioso di sentire cosa ci mettono gli altri in questo quadrato, mi piacerebbe tanto saperlo. Forse a me serve un pochino di tempo per questo esperimento, al momento ci sono in mezzo in pieno.

Qualcuno te l'ha detto che cosa ci ha messo?
Non ancora, e secondo me se ne guardano bene! No, scherzo, penso e spero faccia un po' da contenitore di cose personali, e a volte anche disturbanti. La mia fantasia più sfrenata è che sia anche un po' un cappello magico del prestigiatore che trasformi queste cose in conigli bianchi innocui... insomma, vedremo, diciamo che è il proposito per cui si scrivono canzoni in generale.

A quando l'album?
A prestissimo spero, i pezzi in buona parte ci sono già. Ora ho molta voglia di portare in giro dal vivo l'ep, e poi appena possibile mi metterò a lavorare all'album.

Tieni ben svegli i fantasmi.
Sì, ci facciamo di caffeina tutti insieme.

 

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L'articolo Calvino - Ghostbusters di Letizia Bognanni è apparso su Rockit.it il 2013-11-11 00:00:00

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