Andrew Howe: l'atletica, la passione e i palchi sudati coi Lags

Atleta plurimedagliato e batterista tritatutto: la vita di Andrew Howe in pista e coi Lags

Andrew Howe - foto © Lucia Iuorio
Andrew Howe - foto © Lucia Iuorio

Andrew Howe è un ragazzo divertente e un batterista che pesta da matti, oltre ad essere un atleta plurimedagliato conosciuto in tutto il mondo. Suona nei Lags, quartetto romano formato da Antonio Canestri (voce e chitarra), Gianluca Lateana (chitarra e cori) e Daniele De Carli (basso e cori). È appena uscito l'album Soon per To Lose La Track/Fuzzy Cluster Records/Casu Marzu ed è un concentrato di post hardcore/alt indie bello tirato, registrato dopo un'ottantina di date nei club sudati di tutta Italia a supportare il precedente lavoro, Pilot del 2015. La particolarità è proprio questa: spesso i progetti musicali associati ai personaggi famosi nello sport e nello spettacolo sono divertissement per i fan, senza una vera e propria anima. I Lags invece sono una band tritatutto che non sbandiera mai la presenza del VIP nell'organico, anzi, vive questa cosa con pudore e preferisce lasciar parlare il palco. 

La carriera di Andrew Howe è un saliscendi di vittorie, pressioni, infortuni e rivalsa: vince due medaglie d'oro ai Mondiali juniores per il salto in lungo e per i 200 metri a 19 anni, si infortuna alle Olimpiadi di Atene nel 2004, vince il bronzo da professionista ai Mondiali di Mosca col salto in lungo (8,19m) e vince l'oro agli Europei di Goteborg nel 2006 (8,20m), batte il record italiano indoor di Evangelisti, guadagna l'oro agli europei indoor di Birmingham (8,30m) nel 2007 e l'argento ai mondiali di Osaka (8,47m, nuovo primato italiano). Sono solo alcuni dei trofei, poi altri infortuni, qualche delusione, un po' di stop con lo sport, un po' di televisione (Ballando con le stelle) e nel 2016 il ritorno alle gare. Chapeau, e intanto te lo ritrovi a picchiare come un invasato sulle pelli ai festival DIY o nei locali aggressivi, creando un corto circuito molto interessante di cui vogliamo sapere di più.

 
Foto © Lucia Iuorio

Della tua carriera di atleta sappiamo praticamente tutto, del tuo percorso musicale invece molto meno. Cosa ascoltavi da piccolo e come hai iniziato a suonare la batteria?
Ho iniziato a suonare la batteria quasi per gioco, sono sempre stato un tipo dinamico e la batteria era lo strumento più indicato per il mio tipo di approccio, molto fisico e di impatto. Ho cominciato da piccolo come la maggior parte delle persone, ispirandomi ai generi legati al rock più disparati, ma con una particolare propensione per il metal: tra i miei riferimenti gli Slayer e i Sepultura, per esempio.

Hai suonato in molte band prima dei Lags?
Prima dei Lags ho avuto modo di farmi le ossa con un paio di band di amici, in particolare con i Craiving, progetto grazie al quale sono riuscito ad avere le prime esperienze live di livello. Abbiamo suonato insieme per parecchi anni, riuscendo ad uscire su MTV con un singolo  nel 2007, quando uscire su MTV con un videoclip era un traguardo piuttosto importante per una band rock. Nel mio percorso musicale ho anche avuto la fortuna di poter suonare live insieme ai Mixhell di Igor Cavalera (batterista dei Sepultura) e sua moglie. Un’esperienza davvero incredibile!

Coi Lags siete al secondo album appena uscito. Cos’è cambiato rispetto a quello precedente?
Il nostro nuovo album “Soon” è sicuramente un disco molto più maturo del precedente. Abbiamo scritto questo disco nei tre anni trascorsi tra il tour ed altre decine di vicissitudini personali più disparate, alcune stupende ed altre piuttosto drammatiche, e la scrittura ne ha indubbiamente risentito. Non cambia la sostanza e neanche l’impatto, cambia solo l’attenzione con la quale ci siamo soffermati a definire i particolari e le tematiche dei testi. Io come batterista ho semplificato molto il mio approccio, dando più spazio agli intrecci con gli altri strumenti e lo stesso lavoro è avvenuto sulle parti di chitarra e di voce. È un disco più introspettivo, per certi versi meno d’impatto punk, ma sicuramente più arrabbiato del precedente.


Foto © Lucia Iuorio

Come riesci a coniugare i tuoi impegni con l’atletica e le prove, le sessioni in studio e le date? 
Essendo un atleta professionista non riesco sempre ad essere al 100% presente agli impegni della band e spesso sono obbligato dalle contingenze a farmi da parte. Durante le fasi del tour devo necessariamente assentarmi dagli impegni live per concentrarmi sull’allenamento e la preparazione, per cui cerco di farmi sostituire dietro alle pelli ogni qual volta la mia carriera sportiva possa frenare il percorso della band. In più, sono l’unico dei Lags che non vive a Roma ma a Rieti, per cui capisci bene che coniugare prove nella capitale, concerti ed ore di allenamenti estenuanti non è affatto semplice. Nonostante tutto per me la band è un elemento decisamente importante nella mia vita e quando posso, cerco di dedicargli tutto il tempo che si merita, magari andando certe volte a togliere spazio al mio tempo libero e alla mia vita privata.

Quali sono le esperienze più assurde che ti sono capitate girando l’Italia nei club coi Lags?
Le esperienze assurde sono legate al fatto che i Lags non si presentano mai come “la band di Andrew Howe”, ma come una band che ha una propria identità ben definita, quindi molti promoter non sapendo della mia presenza nell’organico, si sorprendono quando mi vedono arrivare nei piccoli club di provincia, perché mi individuano come un personaggio pubblico fuori da certe dinamiche; da lì puoi ben capire che saltano fuori gli aneddoti più disparati. Su tutti posso raccontarti che una volta ci siamo ritrovati Marco Delvecchio (ex attaccante storico della Roma e della nazionale) tra il pubblico al Trenta Formiche: si era presentato a vedere un nostro live sotto il mio invito, ma gli altri non lo sapevano. Il nostro bassista, di fede romanista e completamente inebriato dall’evento, ci ha tenuto subito a sottolineargli emozionato: “Aò, questa è la prima volta che tu sei venuto a vedé me!”. 

 

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Ho letto che da adulto, la carriera atletica la vivi con meno pressioni rispetto al passato, quando eri un teenager e avevi un sacco di pressioni. Cos’è cambiato?
È cambiato sicuramente il mio approccio mentale, ma ha cambiato forma anche il livello di aspettative dietro al mio nome. Quando sei giovane e porti a casa un risultato positivo dietro l’altro, è facilissimo che i riflettori siano puntati tutti su di te;  quando vinci fanno tutti il tifo, ma appena fai un passo falso non manca occasione per fartelo notare o, peggio, per pensare che le aspettative su di te fossero sbagliate. A 33 anni invece posso dire di aver guardato indietro al mio percorso con una certa soddisfazione, purtroppo ho avuto anche una serie di incidenti notevoli che non mi hanno permesso di dare sempre il massimo, ma è inutile soffermarsi troppo su ciò che è passato. Adesso gareggio per me, per dimostrare che ancora posso dire la mia senza un’aspettativa eccessiva. Lo scorso anno sono arrivato in semifinale agli europei di Berlino cambiando disciplina (dal salto in lungo ai 200mt) con una preparazione complessiva di circa 4 mesi. Sarebbe un’impresa ardua per un atleta ventenne, figurati per un trentaduenne. Quindi posso solo dire che ho ancora qualcosa da dare e voglio dimostrare a me stesso che posso ottenere dei risultati soddisfacenti. Adesso mi sto preparando per i mondiali ad Ottobre, la preparazione sta andando molto bene e sono contento di quanto sto facendo.


Foto © Lucia Iuorio

Nello sport spesso gli atleti di colore sono vittime di episodi di razzismo. Questo momento storico non promette niente di buono, c’è un modo per venire fuori da questa nuova ondata d'ignoranza?
In tutti gli sport più sei esposto dal punto di vista mediatico, più sei al centro delle critiche e agli attacchi, anche se immotivati; se oltretutto rappresenti una nazione e non un club (come nel calcio per esempio), va da sé che la miscela diventa ancora più esplosiva. La situazione in questo paese è molto seria, posso ritenermi fortunato di non aver mai vissuto il razzismo sulla mia pelle e questo non è da poco. Pur essendo nato a Los Angeles da genitori stranieri la mia vita l’ho trascorsa per il 90% a Rieti, per cui inutile dirti che mi sento italiano, la mia vita e le mie radici sono qua. Io dimostro chi sono e cosa sono con i risultati, nella vita privata e nello sport rispondo agli attacchi con un sorriso, cercando di dimostrare a tutti di essere l’italiano più verace che ci sia in circolazione, pur rimanendo legato alle mie origini. Poi, che posso dirti, alla stupidità non c’è mai limite purtroppo, se mancano le basi culturali e il rispetto diventa un problema molto più difficile da sradicare, per cui c’è bisogno di un percorso a lungo termine ben strutturato, fatto non soltanto di slogan e prese di posizione.

Nella musica la storia è diversa?
Nell’ambiente musicale nel quale gravitano i Lags la storia è molto diversa. Il mondo del punk, dell’hardcore e dell’alt.rock fa dell’inclusione sociale un caposaldo, per cui nei nostri show e nel nostro ambiente musicale, qualsiasi fattore legato al colore della pelle, alla provenienza sociale o alle preferenze sessuali non ha alcun peso. Siamo tutti uniti da un’unica passione e siamo tutti allo stesso livello, penso anche che la stessa cosa sia estendibile al panorama indie e rap tutto sommato. La musica fortunatamente unisce e non divide, nella stragrande maggioranza dei casi. 

Sdrammatizziamo: ti incazzi se qualcuno ti riconosce come “quello della pubblicità dello snack”?
Ormai ci ho fatto l’abitudine [ride]. Non mi incazzo mai e quando qualcuno mi fa uno scherzo sulla famosa pubblicità, rispondo sempre con la risata più fragorosa che posso fare, spesso mettendo in imbarazzo l’interlocutore. Chiaro che a distanza di tanto tempo, la domanda che vorrei sempre porre a tutti è: “Amico mio, ma secondo te, in circa 11 anni, nessuno mi ha mai fatto questa battuta?”. 

 


Foto © Lucia Iuorio

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L'articolo Andrew Howe: l'atletica, la passione e i palchi sudati coi Lags di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2019-04-12 10:00:00

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