Valentina Magaletti, la mia batteria contro il machismo nella musica

Solo il 3% dei musicisti è donna e tra loro questa straordinaria batterista fuggita 20 anni fa da Bari per suonare a Londra con i più grandi, da Thurston Moore a Nicolas Jaar, fino a Tom Relleen, scomparso da poco. La sua vita è un inno alla creatività e a sfidare i pregiudizi

Valentina Magaletti - foto di Giovanna Sodano
Valentina Magaletti - foto di Giovanna Sodano
11/09/2020 - 18:10 Scritto da Vittorio Comand

Valentina Magaletti è una batterista barese di nascita e londinese di adozione: da circa vent'anni si è trasferita nella capitale inglese per trovare la propria dimensione musicale. Nel corso di questo tempo, Valentina è riuscita a suonare con tutta una schiera di musicisti invidiabile: dalla collaborazione con Thurston Moore dei Sonic Youth, all'interno del tributo alla storica band tedesca dei Can, fino ai lavori con uno dei nomi più importanti della scena elettronica mondiale, Nicolas Jaar, passando per il duo dei Tomaga in coppia con Tom Relleen, prematuramente scomparso lo scorso agosto.

I progetti artistici in cui Valentina è coinvolta sono tra i più assurdi e stimolanti, come i Vanishing Twin, ideale seguito degli Stereolab. Ma se da un lato è un piacere vedere come una musicista di questo talento sia riuscita a esprimere la sua forza creativa in questo modo, dall'altro è triste constatare come se ne sia dovuta andare dall'Italia per farlo.

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Quando hai iniziato a suonare?

Ho cominciato verso gli 11-12 anni. Fortunatamente, appena iniziai a interessarmi allo strumento, venne aperta una scuola di musica vicino a casa dei miei. Così decisi di iscrivermi subito a batteria. Ho avuto la fortuna di avere degli insegnanti fantastici: il mio background proviene più che altro dal jazz, però uno dei miei grandi maestri è stato Agostino Marangolo, dei Goblin, quindi ho subito molto anche l'influenza del prog. Sono riuscita subito ad ampliare un po’ le vedute rispetto al jazz barese, che è fatto più o meno dagli stessi jazzisti adesso di quando avevo 12 anni. Poi sono sempre stata un’avida collezionista di dischi e ho ascoltato di tutto, quindi è stato un processo abbastanza naturale affacciarmi all’avanguardia, alla psichedelia e farne di tutto un po’.

Quando ti sei trasferita a Londra?

Era il 2000 e avevo finito le collaborazioni a Bari, avevo suonato praticamente con tutti. Sono venuta a Londra per la musica perché non c’era posto, come forse non ce n’è ancora adesso, per una ragazzina batterista in Italia. I musicisti sono sempre denigrati nel nostro Paese, io faticavo a essere presa sul serio, anche se c’era molta gente che apprezzava il mio stile e mi ha sempre motivato. Chi fa musica in Inghilterra se non altro non è declassato, almeno se ne può fare professione in maniera più facile. Londra è una città che mi ha permesso di confrontarmi con tutti i miei idoli musicali in modo professionale, ho potuto approcciare personalmente i miei musicisti preferiti.

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Ora la situazione dei live com'è là?

Per ora stanno continuando con molti eventi online e in streaming. Piano piano le cose si stanno un po’ aprendo, però sono molto vaghi, gli interventi di Boris Johnson non sono rassicuranti e quindi i promoter non sanno bene come muoversi.

Quando suoni in Italia, come cambia rispetto all’estero?

In realtà là abbiamo avuto sempre ottime risposte. Sia con Nicolas Jaar che con Tomaga avevamo fatto delle date sparse per il Paese e siamo stati accolti bene, in contesti più artistici che legati al pop. Con i Vanishing Twin invece abbiamo fatto un bel tour a dicembre dell’anno scorso, è andato molto bene. Io ho avuto credito nel momento in cui ho suonato per vent’anni a Londra. Se cominci dall’Italia è difficile, bisogna andarsene per poter sperare di avere del riconoscimento.

Che pregiudizi ci sono verso una batterista donna?

Io faccio parte di tutta una serie di minoranze: sono una donna che suona la batteria, sono bianca e suono jazz, non corrispondo agli standard, ma io ne faccio una forza. Si tratta di un qualcosa di ridicolo: il mondo musicale non è per niente equilibrato quando si parla di genere, solo il 3% dei musicisti è donna. La vedo lunga, la musica rimane ancora un club per uomini, ma ce la stiamo mettendo tutta per migliorare un po’ le cose. In particolare, non so perché la batteria sia associata al machismo, ho cercato più volte di distruggere quest’idea.

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Come nel caso di Batterie Fragile, dove suoni una batteria di porcellana?

Quello è proprio per accentuare la natura delicata dello strumento, non è che la batteria è per forza uno strumento in cui la forza fisica dev’essere l’elemento caratterizzante. Il fatto di suonare uno strumento così delicato ti obbliga a un tocco molto leggero.

Parliamo un po' dei tuoi progetti musicali. I Vanishing Twin come sono nati?

Quella è la mia band attuale, stiamo registrando il terzo disco. È nato dall’incontro tra musicisti eclettici che però condividevano lo stesso amore per il kraut rock, la library music e cose così. C’è stato un evento un po’ di tempo fa, il Kraut Rock Karaoke, organizzato qui a Londra, in cui tutti i musicisti si incontravano per fare delle jam assieme. Avevo già lavorato con Cathy Lucas, la cantante, e abbiamo dato il via a questo progetto perché eravamo grandi fan non solo di spiritual jazz, ma anche di Morricone, Umiliani, Egisto Macchi e simili. Poi abbiamo avuto la fortuna di essere amici dei grandissimi Stereolab, che ci hanno subito accolto in quel mondo. All’interno del gruppo abbiamo tutti nazionalità diverse: per esempio il bassista, Zongamin, è giapponese, lui è una bestia. L’avere background differenti ci rende ancora più vari. E poi è molto divertente quando ci spostiamo vedere tutti i passaporti diversi, sembriamo uscire da una barzelletta (ride, ndr).

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L’estetica dei Vanishing Twin da dove arriva?

L’immagine è molto forte ed è stata determinata dall’inizio. Ci siamo ispirati al dada e al Bauhaus, per quanto riguarda l’aspetto più divertente della cosa sicuramente c’è anche un occhio rivolto all’esoterismo del cinema di Jodorowsky. Pensa che avevamo pensato anche di fare un mazzo di tarocchi, abbiamo sempre voglia di sperimentare con il merchandising. Poi io mi annoio con le stesse magliette, questa era un’idea più originale.

Hai parlato prima di kraut rock. Come sei entrata all’interno del Can project?

Si tratta di un progetto che è partito con la scomparsa di Jaki Liebzeit, il batterista dei Can. Per quello devo ringraziare Charles Hayward, dei This Heat: lui ha suggerito il mio nome a Thurston Moore perché suonassi la mia batteria accanto a Steve Shelley (batterista dei Sonic Youth, ndr). Abbiamo rifatto in chiave un po’ più rock 7-8 pezzi da Monster Movie, il primo disco dei Can, come tributo, al Barbican di Londra. Prima di noi si è esibita la London Philharmonic Orchestra sempre in dei riarrangiamenti di brani dei Can. Hanno anche proiettato del materiale della band in studio, è stata una serata molto interessante.

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E invece a suonare con Nicolas Jaar come ci sei finita?

Questa è una storia curiosa, nel senso che io non avevo idea di chi fosse. Qualche anno fa mi arriva questa mail da parte sua con una marea di complimenti perché aveva comprato un disco dei Tomaga, era un grande fan di come suonavo. Io, non sapendo di chi si trattasse, l’ho ringraziato e l’ho aggiunto alla mailing list. Questo finché non mi hanno detto: “ma tu lo sai chi è questo?”. Allora ci siamo rimessi in contatto e lui mi ha detto che avrebbe voluto fare un disco con me. Mi ha anche invitato a casa sua, siamo stati una decina di giorni a casa sua: è una persona fantastica, siamo rimasti molto amici. Il disco dei Tomaga che abbiamo pubblicato con Pierre Bastien è uscito con la sua etichetta.

A proposito di Tomaga, com’è nata la collaborazione tra te e Tom?

Ci siamo conosciuti attraverso gli Oscillation, lui suonava il basso per loro come turnista e cercavano un batterista. Avevamo gusti molto affini, quindi abbiamo deciso quasi da subito che eravamo stufi delle chitarre e volevamo fare qualcosa di più raffinato. Dopo un paio di session avevamo già gente interessata a produrre una prima cassetta. Abbiamo fatto la nostra prima data al Café Oto ancora prima di avere un nome, quindi abbiamo scelto Tomaga all’ultimo secondo perché dovevano stampare le locandine. Siamo riusciti a fare tutto quello che abbiamo sempre sognato come Tomaga, abbiamo un pubblico molto dedicato e abbiamo sempre ricevuto tanto supporto e amore.

Tom è purtroppo scomparso recentemente. Quanto materiale avevate ancora in cantiere?

Tom aveva saputo del cancro venti settimane prima della sua morte, è stato fulminante. Nonostante ciò, siamo riusciti a masterizzare il nuovo disco, che uscirà a gennaio. Solo per luglio, invece, avevamo reso disponibile Tomaga Extended Play 2, con dei brani che non avevano trovato spazio nel disco ma che comunque ritenevamo validi. Prima o poi vedranno la luce con un altro supporto, ma vedremo. Per il resto abbiamo ancora una valanga di registrazioni, lui stava anche sperimentando altre cose, c’era un sacco di roba in ballo.

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Durante il lockdown hai partecipato al progetto Sofa Sabbath: di cosa si tratta?

È un progetto di beneficenza. Una delle organizzatrici di Supersonic, un festival che fanno a Birmingham a cui partecipo ogni anno, mi ha chiesto di fare una cover dei Black Sabbath. Abbiamo preso proprio la canzone omonima al gruppo e l’abbiamo arrangiata solo con batteria e contrabbasso, è venuta fuori una cosa abbastanza bizzarra.

E invece il disco Due Matte, con Marlene Ribeiro?

Per me quello è molto importante, mi ha insegnato a gestire più materiale da sola. Ho fatto una residency in Portogallo con Marlene Ribeiro dei Gnod, si trattava di un workshop con altri 15 partecipanti abbastanza particolare, quindi quando sono tornata a casa avevo un sacco di musica registrata. Riascoltandola mi piaceva molto, quindi sono andata dal mio amico Amir Shoat, un grandissimo editore di musica, abbiamo selezionato i pezzi più belli e li ho mandati a Marlene. Lei mi ha mandato a sua volta delle letture, quindi senza nessuna pretesa ho lavorato su questo progetto. Un giorno mi ha contattato Chiara Lee dei Father Murphy, dicendomi che se avevo della musica che volevo devolvere per una cassetta del Commando Vanessa, un collettivo femminile, di mandarle pure. Sono solo 50 copie su cassetta, ma a breve stamperemo 300 copie in vinile. È tutto molto concettuale, abbraccia il tema della follia come una via di fuga dal patriarcato e dalla società.

Tra i tuoi ultimissimi progetti c'è A Queer Anthology for Drums: che cos'è?

È una delle ultime cose su cui sto lavorando, è un mio disco solista che ho fatto per Cafè Oto. Loro avevano chiesto a vari musicisti di partecipare per supportare questa venue, io avevo questo disco in cantiere molto lo fi. Per ora su Facebook c’è un breve video che la mia compagna ha girato a Epping Forest come preview, poi sono stata contattata per fare proprio un documentario con questo disco come colonna sonora.

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L'articolo Valentina Magaletti, la mia batteria contro il machismo nella musica di Vittorio Comand è apparso su Rockit.it il 2020-09-11 18:10:00

COMMENTI (4)

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  • Graziella_liso 2 anni fa Rispondi

    Molto fiera di averti apprezzata anni fa in uno dei tuoi ultimi concerti a Bari! Ho avuto l'onore di poter accedere con degli amici al backstage per farti personalmente un complimento : allora ti paragonai a Maureen Tucker e credo tu abbia gradito molto.
    Grandissima Valentina, continua così, Shine on!
    Sempre oltre.

  • flavietta_romi 4 anni fa Rispondi

    Fiera di te Vale!sin dalle elementari ero certa che questa sarebbe stata la tua strada! Ti abbraccio forte e vola sempre come tu sai fare! Ad maiora!

  • facchin.alberto60 4 anni fa Rispondi

    Sono un vecchio percussionista...ex non lo si è mai, due bacchette e una pentola e suoni. ma qui leviamoci il cappello davanti ad una tecnica eccelsa e questa donna non percuote, accarezza con energia, massaggia lo strumento, stupenda.

  • livia.monteleone.7 4 anni fa Rispondi

    che meraviglia di batterista! sono grata per questo articolo corredato di video, ottimo! Valentina Magaletti merita uno spotlight più frequente, di sicuro!