Da Lanthimos a Elio Petri e "Juno": tutto il cinema nei videoclip degli Zen Circus

Intervista ai registi del nuovo bellissimo video di "Appesi alla Luna", che rinnova una ricca tradizione: quella dei riferimenti filmici di prestigio nell'immaginario di Appino e soci

Forse è perché Mtv non risulta più pervenuta nelle nostre quotidianità, e le radio televisive oramai trasmettono surrogati dei videoclip con inguardabili versioni "karaoke" o raffazzonati patchwork nati con l'unico scopo di lanciare sul mercato ogni qualsivoglia prodotto musicale. Forse è perché l'idea del primo singolo non ha più quell'importanza storica che ha avuto un tempo e, come diretta conseguenza, è cessata l'attesa per la nuova canzone in studio, sostituita (nell'era pre covid quantomeno) dall'evento dal vivo, concertistico o firma-copie che sia: nuova gallina dalle uova d’oro per gli artisti.

Forse è per tutto questo l'uscita qualche giorno fa del nuovo videoclip degli Zen Circus, Appesi alla Luna, è stata non solo una gioia per l'udito, ma anche per gli occhi e per la mente. Non è l'unico esempio, alcuni artisti dai video fighi ce ne sono, pensiamo a Liberato, Margherita Vicario, Coma Cose, Andrea Laszlo De Simone, ma oggi ci concentriamo volentieri sul nuovo clip degli Zen. 

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In neanche quattro minuti di filmato i registi Zavvo Nicolosi e Giovanni Tomaselli sono riusciti a riportare alla memoria la vecchia guardia del videoclip musicale. Quella, per intenderci, dove il contenuto visivo supporta e, laddove è possibile, amplifica il sonoro, in un connubio che diventa a tutti gli effetti poesia, nonostante i limiti dettati dal tempo e dai mezzi a disposizione. 

Dei Mark Romanek, maestro assoluto dalla fotografia dal taglio quasi kubrickiano nel sostenere ora Johnny Cash ora una lolitesca Fiona Apple da poco sbocciata; o dell'olandese Anton Corbijn, quando attinge per i suoi videoclip alla pittura fiamminga e in particolare a Bosch, arrivando a sfiorare un'aurea mistica. Tutti registi e videomaker in grado in un lampo di farcela prendere bene. Perché capaci di prendere una vecchia idea e riassemblarla, con originalità, con gusto, con pertinenza, un altra volta, in formato mignon ma col sottofondo in genere di alcune delle più belle canzoni in circolazione.

Già, perché se le etichette non hanno (quasi) mai nessun interesse vero nel videoclip se non per vendere più dischi, e dal 1984 basta che nei video ci siano belle ragazze, macchine veloci e tanto basta, c'è nel 2020 ancora a chi frega dei contenuti, che vuole che abbiano qualcosa da dire, oltre delle immagini carine e stupide da propinare. Bello, no? 

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Per chi vede il video musicale come un qualcosa che contenga in ugual misura intrattenimento e informazione, proprio perché è un mezzo veloce ed immediato, attraverso il quale si può parlare di cose importanti, lanciare dei messaggi di spessore o anche soltanto qualche valida dritta per uscire dall'appiattimento globale in atto, Appesi Alla Luna è un bignami di buone intenzioni che tutti noi idealisti speriamo vengano supportate da trilioni di visualizzazioni. "Alcuni rimandi li abbiamo colti anche noi solo dopo aver visto il video finito", mi dice Zavvo.

La prima cosa a venire però in mente è il cinema del greco Yorgos Lanthimos, uno dei nomi più interessanti nel presente. I rimandi a La Favorita e The Lobster sono abbastanza palesi. Ma c'è spazio pure per un cult del 1973, The Wicker Man di Robin Hardy, per la ricerca di libertà di Qualcuno Volò sul Nido del Cuculo (libro o film che vogliate), e per il cinema politico di Elio Petri. "Bisogna sempre cercare un legame con la canzone ma cercando di reinterpretare l’atmosfera del brano a propria maniera, dando altre sfumature, una chiave di lettura che sia simile ma mai identica", mi spiegano giustamente i due.

Così, laddove la malinconica ballata degli Zen Circus riporta al nostro infinitesimale peso rispetto all'universo, le immagini attizzano un barlume di speranza nonostante le meschinità e le assurdità della vita. "Sono stati tre intensissimi giorni di riprese - mi raccontano entusiasti Zavvo e Giovanni - Perché girare non è mai semplice, e farlo rispettando le regole anti-covid anche meno, sia la troupe che gli attori hanno sempre indossato le mascherine e fortunatamente la grandezza degli spazi ha favorito un rispetto delle distanze".

Già, perché l'intero video è stato realizzato nel Monastero dei Benedettini di San Nicolò L’Arena, capolavoro tardo-barocco siciliano che non ha nulla da invidiare alle più apprezzate location cinematografiche, oggi sede dell’Università di Catania. "Una struttura enorme e piena di ambienti incredibili. Scelta per la sua commistione unica tra antico e moderno, dovuta alla straordinaria opera di recupero fatta dall’architetto Giancarlo De Carlo". Scenografia che ben si sposa al costrutto musicale: un riuscito crescendo che dalla classica ballata folk sfocia in una sort of Arcade Fire da cameretta - o Sigur Ros che non se la menano, se preferite.

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Ma allora è davvero possibile sfuggire ai meccanismi promozionali imposti dalla natura di per sé commerciale dei videoclip? E' difficile, ammettiamolo, ma non impossibile. Dipende spesso da con chi si lavora. Non a caso gli Zen hanno sempre lavorato, a seconda del loro budget, con artisti che gli piacciono, che pensano al video come qualcosa di simile e diverso dalla musica che suonano, un altro mezzo con obiettivi (anche) altri oltre quello di dopare il brano di sovrastruttura.

Non sempre è possibile, certo. Sia perché i canali attraverso cui i video arrivano al pubblico sono i primi ad essere orientati solo sulla semplicità (neanche i Nostri quindi sfuggono al cliché del video della rock band on-the-road che fa sempre brodo da quarant'anni) quando non direttamente alla mediocrità, sia perché a volte il concetto espresso nel brano è tale da non meritar divagazioni.

Mi riferisco a Il Nulla, lyric video curato da Michele Bernardi che anticipa nel 2015 la pausa di oltre un anno prima de La Terza Guerra Mondiale. O, più eclatante, Zingara del 2016, dove lo stesso Appino monta il video di un brano/test il cui il testo è un collage dei commenti nei video che appaiono su YouTube mettendo "zingari" come chiave di ricerca. Qui i contenuti pessimi son dati da un pubblico pessimo, violento e razzista, che di certo non ha i pisani tra i propri ascolti ma rappresenta una fetta di Italia.

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"Ci sono già moltissime tesi di laurea sui videoclip" mi dice Pietro Brunetta, studioso di cinema dell'università di Padova "quindi la videomusica è a tutti gli effetti una materia assolutamente degna di studio, che ha modificato i linguaggi e territori del cinema". Con Brunetta, in un caffè del centro, ci sono lo scrittore Cristiano Accardi, che nei tardi '90 ideò a Roma l'iniziativa Salvare 100 Video dal Millennium Bug e Noemi Zanatto ex-responsabile artistico per TMC, quando la rete si indirizzò nei video musicali.

È lei a esordire: "Vasco Rossi, che non è proprio questa cima per riferimenti culturali, ha fatto un video diretto da Roman Polanski, Fellini si interessò a Boy George: è indubbio ci sia  il legame tra videoclip e film". Il primo della carrellata di video fatti dagli Zen Circus che gli metto davanti è quello di Figlio di Puttana, diretto dal premiato Stefano Poletti (Baustelle, TARM, Tricarico, etc.. e pure Nek!) nel 2008. Notiamo subito riferimenti a Juno di Jason Reitman, uscito l'anno prima e Be Kind Rewind di Michel Gondry uscito nello stesso anno. Quando qualcuno dice Pierino, del Corriere dei Piccoli o personaggio di Alvaro Vitali, viene corretto con un Giornalino di Gian Burrasca di Vamba. Forse più pertinente, forse mi piace solo crederlo: resterà un mistero.

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Seguono le immagini della loro numerosa produzione: da Non Voglio Ballare del 2016, sempre con Stefano Poletti alla regia, ammiccante al Villaggio dei Dannati di Wolf Rilla, a Catene del 2018 di Ground’s Oranges, finito in una specie di universo felliniano con cammeo ai Radiohead sul finale, da Chicken Farm, esperimento di neorealismo buttero-punk del 2001 con la regia del futuro bravo documentarista Luca Ciuti (un po' Riso Amaro di Giuseppe De Santis un po' Cinico Tv di Blob), a Fino A Spaccarti Due o Tre Denti che ripesca dal cult L'Imperatore di Roma di Nico D'Alessandria, fino a improbabili deja-vu che vanno da A Serbian Film in L'Amorale al Magical Mistery Tour per Il Mondo Che Vorrei a tutta la saga di Evil Dead (La casa) di Sam Raimi per It's Paradise.

"All'interno della videomusica si trovano spesso in versione bignami capolavori della cinematografia moderna e cult che vale la pena vedere almeno una volta", chiosa Accardi, "tutto sta a saperli scovare e apprezzare quei gruppi che oltre alla musica riescono a dare contenuti a chi vede i loro video". "Non definiteli scopiazzature, piuttosto suggerimenti", sottolinea Brunetta. "Se ci fate caso molta della nostra cultura personale viene da un suggerimento, da una dritta, forse la più vecchia e alta forma di amicizia".

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Ovviamente, per un gruppo come gli Zen Circus non sono soltanto citazioni auliche, ci mancherebbe. Si può sorridere vedendo scimmiottare gli Immortal di Blashyrkh nel videoclip parigino di Les Poches Sont Vudes, Les Gens Sont Fous del 2005. Si può compiacersi del omaggio agli Arctic Monkeys nel clip di Ilenia o si può spiarli a fare i cazzi loro in quello di L'Anima Non Conta, entrambi del 2016. Si può zompettare sui rimandi 80's di Punk Lullaby diretto da Davide Toffolo nel 2008. Ma quando Zavvo mi conferma che Il Fuoco In Una Stanza del 2018 omaggia Kids, filmone di Larry Clark del 1995 con una Chloe Sevigny causa dei miei primi sussulti ormonali, non posso che essere felice. Grato al genere umano per averci dato, tra tanta fuffa, persone come lui e gli Zen Circus. 

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L'articolo Da Lanthimos a Elio Petri e "Juno": tutto il cinema nei videoclip degli Zen Circus di giorgiomoltisanti è apparso su Rockit.it il 2020-10-13 10:15:00

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