Hollowblue Wild nights, quiet dreams 2009 - Indie, Folk

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La copertina dissemina segni inequivocabili di latinismo. Potrebbe esser la promessa di un incubo, se non fosse che il combo in questione dimostra una maturità e una capacità di gestire e, sopratutto, declinare il discorso, in forma credibile e sicuramente al di sopra della media nazionale. Non siamo nell'Arizona di Calexico e Giant Sand, bensì in Toscana, dove il suono viene molato a regola d'arte meglio che a Tucson. Intendiamoci, nulla che voglia eccedere le frontiere già battute in lungo e in largo da certa attitudine indie nel decennio scorso, in merito a soluzioni armoniche e suono vero e proprio, ma rinvenendo nel disco una lucida consapevolezza da parte della band delle suddette premesse, ci lasciamo andare più leggeri sulle trame agrodolci di queste undici canzoni.

Il primo episodio, "Wild & Scary", ballata beatlesiana in vena di bagordi calexichiani - con fiati e archi che entrano dolcemente nell'inciso - suono gradevolmente secco su uno sfondo bucolico. "You Cannot Stop", energica cavalcata elettrica, è un esempio ben riuscito di come si possa metabolizzare la lezione schiettamente indie di gruppi come Low e Black Heart Procession, restando tuttavia sufficientemente fedeli alla propria voce. La terza traccia, "Forgot To Say I Still Love You", è un guazzabuglio conturbante di folk equestre, vaudeville e blues, e una canzone che potrebbe essere stata scritta passeggiando con Tom Waits e i suoi cani della pioggia. "Sigma" si fa carico di un blues straziante, è certamente uno degli highlights del disco.

Poi il lavoro procede tra alti e bassi, dentro e fuori il genere - come in "I've Got The Key To Change The World", funkettone lisergico di ottima interpretazione drammatica - con passo sempre rigorosamente misurato, e su tutto aleggiano i fantasmi di Smiths, Nick Cave e anche gli Starmarket.

"Wild Nights Quiet Dreams" è un disco onesto, si sarebbe detto un tempo, di rock contaminato, dalle soluzioni mature e con un suono ben curato. Ben ristorati dall'ascolto, avremmo desiderato solo un tentativo maggiore della band di svincolarsi dalle sabbie di quella che ormai è storia, forse con un pizzico in meno di piglio melodico e più rischio personale. Lo so, può suonare fuori luogo, come chiedere ad un pittore di annacquare il colore, ma forse ne sarebbe davvero valsa la pena.

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La recensione Wild nights, quiet dreams di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2009-10-30 00:00:00

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