Mentre Denti da latta 2003 - Stoner, Psichedelia, Grunge

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Bastano pochi minuti di ascolto di “Denti da latta” per mettere subito a fuoco il gruppo di riferimento dei Mentre: gli Alice in Chains. I rimandi ai ‘marchi di fabbrica’ della band di Seattle sono infatti numerosi e inequivocabili: melodie vocali malate e dissonanti (cercate a tratti in maniera quasi ossessiva), riff plumbei e ampio utilizzo delle doppie voci. Fin qui nulla di nuovo quindi, se si eccettua la scelta (apprezzabile) di cantare in italiano - anche se il cantante Fulvio Rumazza tende spesso e in maniera eccessiva all’imitazione del compianto Layne Staley. Ma, partendo dai presupposti che la voce di Staley era meravigliosamente irriproducibile - e che la voce di Rumazza è tutt’altro che malvagia - si può notare come i Mentre (e il vocalist in particolare) diano il meglio quando tentano di discostarsi dal modello di partenza. Succede così che in “La lotta del sonno”, pezzo segnato da melodie vagamente arabeggianti, in chiusura (come in altri passaggi dell’album) tornino alla mente i primi Deftones, quelli di “Adrenaline”. “Buio dentro”, pezzo provvisto di un’innegabile carica psichedelica, riesce a creare un senso di sospensione fino all’entrata della chitarra per un potente ritornello, a cui la voce dà campo libero: scelta non usuale, ma funziona. Così come funziona “Osareperdere”, uno dei brani più convincenti dell’album: basato su due accordi, con una strofa che colpisce nel segno e due mini-assoli davvero azzeccati (forse gli unici dell’album), senza dimenticare la delicata intro, in cui si avverte l’eco degli Smashing Pumpkins che attraverserà poi tutto il pezzo.

Nel complesso si alternano brani dalla struttura classica (intro pesante, strofa in palm muting, ritornello pesante) a pezzi dallo schema meno lineare. E ancora una volta è proprio quando i ragazzi si allontanano dalle consuetudini di genere che fanno sentire le cose migliori: ferma restando l’indiscutibile bellezza della parte lenta di una canzone ‘di genere’ come “Torri di carta”, si ha una forte impressione di già sentito ascoltando la penultima traccia, “Niente da dire” (titolo profetico?).

I suoni (domati da Pino Ghigliotto) sono abbastanza curati, e non mancano alcuni vezzi come l’oscillazione in stereo da destra a sinistra del basso (“Buio dentro”) e della voce (“Osareperdere”). Quello che invece manca è un maggiore impatto della batteria, ed è un peccato perché Simon Lepore suona con una presenza e una varietà tecnica che ricorda il David Silveria prima maniera.

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La recensione Denti da latta di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2004-05-26 00:00:00

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