Descrizione

Paolo Gerson
Le ultime dal suolo in alta fedeltà
Primo album da solista per l’ex frontman dei Gerson. Le nove tracce prodotte dalla Maninalto Records parlano un linguaggio che più diverso non si può.
Partiamo dal titolo che è tutto un programma: "Le ultime dal suolo in alta fedeltà".

Credits

Come a dire: tutti in fin dei conti abbiamo diritto di poggiare i piedi per terra, tutti partiamo dallo stessa posizione ma chissà perché, vorremmo fare sempre meglio del nostro “avversario”. Una corsa ad ostacoli dove spesso cadiamo, forse perché troppo impegnati a specchiarci nella nostra voglia di apparire.
Si comincia con “Mai e anche sempre”, un testo che è tutto un gioco di parole, una cantilena ben riuscita che prende per il naso la realtà che viviamo tutti i giorni, arricchito da una chitarra che passa brillantemente dall’inedito al già sentito.
In “colpa degli altriPaolo gioca ancora con le parole, cita Adamo ed Eva e sembra proprio che gli abbia fatto bene scendere dal palco e osservare la gente. Ne viene fuori un un pezzo soft rock dalle venature folk che si impenna nel finale, godibili le tracce di sintetizzatore.
Il Domicilio sarà pure confuso e porta in dote un saluto che sa di addio, ma l’intro intenso e quasi grunge della terza traccia ha un indirizzo ben preciso, e riporta la memoria a band alternative rock che da vent’anni sono ancora in pista e non mollano un colpo.
Il quarto brano dell’album sembra tenere fede al suo titolo. Silenzio per favore comincia infatti in punta di piedi, con una chitarra folk che viene via via contaminata dall’elettrico, portando a un finale che è un continuo ripetersi. “Se tu stai zitto ti credo” è come dire “non c’è sempre bisogno di dare aria alla bocca, a volte va bene anche starsene zitti. In silenzio, appunto.
Se ci passi con la testa” è una sorta crocevia. “Volevo solamente far sembrare bello, uno spettacolo di pessimo livello” fa sorridere e credere che Paolo voglia ringraziare chi ha avuto il tempo di arrivare fino a questo punto dell’album o magari chiedere “ve la sentite di andare avanti?” ma non ne siamo sicuri, l’unica certezza è che il brano è una country ballad dal solo biglietto di andata.
Con tutta una morte davanti e il suo sound hanno l’ingrato compito di rinverdire “il tempo che fu”, ma è comunque bravo a riportarci ai tempi “gersoniani”, anche se in questi tre minuti il punk compare e scompare come una marionetta, lasciando il dovuto spazio alla sagacità del testo.
L’entusiasmo appena assaporato lascia il posto a Zero Onde, un lentone, con batteria elettronica e arrangiamento intimo che copre gli spazi. Le parole non lasciano scampo. “Sono come uno sputo, in mezzo ad un saluto, sono quello che ho sentito ma non ho mai capito” e il ritornello sa di liberazione, una sorta di Vaffanculo a se stessi, ma anche agli altri.
La conta dei danni apre il finale e di punk ha solo la durata, ma non sembra farsene un problema. Ritmica non indifferente, la voce di Paolo la fa da padrone, i ritornelli a rotta di collo riaprono inaspettatamente la strada a un sinth che fa da cappello a un testo intenso, a una lettera in musica.
L’album si conclude con Tartarughe e Farfalle, i primi secondi ci riportano ad atmosfere lontane, la timbrica di Paolo assume un carattere diverso, che sarebbe stato impossibile riconoscergli anni fa. Il ritornello parla del nostro assurdo bel paese, della nostra vita che si consuma con le suole ancora intatte, la ritmica prende e avvolge come nessun altro brano e finisce in un tripudio di chitarra e batteria. Chapeau.

COMMENTI

Aggiungi un commento avvisami se ci sono nuovi messaggi in questa discussione Invia