La verità che fa male: di coming out e omofobia in 60 anni di musica italiana

Sono passati 60 anni dalle discriminazioni subite da Umberto Bindi per via della sua omosessualità, eppure nella musica italiana è cambiato davvero poco

La copertina di "Polisex" di Ivan Cattaneo
La copertina di "Polisex" di Ivan Cattaneo - Ivan Cattaneo
21/10/2016 - 09:01 Scritto da Federico Sardo

Se l’Italia ha sempre potuto vantare in altri campi molti artisti e figure apertamente omosessuali, va detto che nel mondo della canzone, e in particolare quella più pop, la pratica del coming out è sempre stata e resta tuttora un tabù piuttosto difficile da abbattere.
Anche se esistono brani su storie gay anche tra nomi insospettabili (famoso il caso di “Pierre” dei Pooh), e opere di musicisti eterosessuali dedicate a quelle tematiche (l’intero album "Il vestito rosa del mio amico Piero" di Gian Pieretti), tutt’altro discorso è trovare popstar che vivano apertamente le loro preferenze sessuali.

Anche all’estero la questione non è semplice (nonostante alcuni nomi illustri come quello di Elton John), ma negli ultimi anni si intravede un cambio di rotta che da noi invece tarda ad arrivare. Se un precedente importante è stato quello segnato da Frank Ocean, in Italia le musiche black da classifica restano ancora molto distanti dall’eventualità che possa succedere qualcosa di simile.
È facile dare la colpa al retaggio di un paese cattolico, alle difficoltà quotidiane e in ambito famigliare, all’omofobia diffusa nella società e a mille altre motivazioni, sta di fatto che in Italia uscire dal closet è una sorta di miraggio, che non a caso alimenta leggende, dicerie e speculazioni.

Per qualsiasi popstar di sesso maschile (e non solo, certo) potrete trovare su Google risultati che affermano con certezza la sua omosessualità e/o notoria frequentazione di saune o altri luoghi di perdizione. Un’amica scrittrice, persona serissima, qualche anno fa mi ha raccontato come fatto certo (fonte diretta un suo amico, e non “gli amici degli amici”) di quel famosissimo cantante italiano ora cinquantenne (probabilmente il più famoso della sua generazione), che nonostante due matrimoni e qualche figlio, organizza regolarmente orge gay in casa sua, con l’obbligo di consegnare il cellulare all’ingresso. Tutti i più famosi vincitori di talent degli ultimi anni sono stati più o meno al centro dell’attenzione sull’argomento, eppure nessuno di loro ha mai voluto essere chiaro a proposito.

Si chiederanno probabilmente perché dovrebbero essere loro i primi a fare quel passo, in un paese dove perfino Renato Zero e Lucio Dalla, nonostante i loro testi, la loro immagine e tutto quello che è stato raccontato delle loro vite, non hanno mai voluto parlare con chiarezza delle loro vite private. Anche l’industria, del resto, non ha mai aiutato in questo senso, convinta com’è, in molti casi, che tutto sommato un cantante pop debba vendere dischi alle ragazze che tengono il suo poster in camera, e che devono poter sognare di sposarlo. Non è cambiato molto dai tempi in cui ai giovani musicisti si suggeriva di dire sempre e comunque che erano single.
Ma anche noi abbiamo avuto qualche coraggiosa mosca bianca.

 

(Paolo Poli)

Non esattamente un cantante, Paolo Poli (artista poliedrico, brillante attore teatrale spesso en travesti) è stato tra i primi personaggi di grandissima esposizione nel mondo dello spettacolo del dopoguerra a parlare di certe tematiche con chiarezza, e si può considerarlo a tutti gli effetti una figura precorritrice. Un vero signore, portabandiera di un’omosessualità spensierata ma anche signorile, “borghese”, non estrema.

Nel mondo più strettamente canoro potremmo partire sicuramente da Umberto Bindi: un’esistenza estremamente sfortunata la sua, nonostante il grande talento e la raffinatezza musicale (“Arrivederci” e “Il nostro concerto” le sue canzoni più belle e famose). Dal grande successo finisce piuttosto velocemente al passare di moda, anche molto discriminato per via del suo orientamento, già dal Sanremo del 1961: "Parlavano so­lo del mio anello al dito mignolo e, dunque, solo pettegolezzi e malignità, cattiverie e infamie […] Della mia canzone non fregava niente a nessuno. Volevano solo sapere se ero finocchio". Tra i più grandi esponenti della scena cantautorale genovese, morirà in povertà, in attesa che gli venissero concessi i benefici della legge Bacchelli. 

Se perfino tra quei pochi cantanti out of the closet la norma è sempre stata comunque quella di scrivere canzoni usando i pronomi delle storie eterosessuali (o semmai rimanendo legati a generici “tu”, o stratagemmi simili), uno dei dischi più coraggiosi mai usciti dal panorama italiano è "Come barchette dentro un tram", del cantante, insegnante e militante gay Alfredo Cohen (nome d’arte di Alfredo D’Aloisio), tra i fondatori del Fuori! (Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano, la prima associazione gay nazionale in Italia) di Torino.
Disco notevolissimo (le musiche sono di Juri Camisasca e Franco Battiato - altro nome al centro di gossip e dicerie), è pressoché interamente dedicato a tematiche gay, viste per una volta da prospettive non sofferenti e drammatiche ma bensì orgogliose e affermative.

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Di tutt’altra pasta Andrea Tich che, nonostante l’inequivocabile esordio su Cramps! "Masturbati" (1978), ha sempre rifiutato queste categorizzazioni, dichiarando “Il mio non è un rock “omosessuale” e tantomeno allineabile a Cattaneo, Cohen, la politica o altro: posso considerarmi un anarchico della musica, che rifiuta categoricamente etichette, catalogazioni ecc, la musica è musica! Non amo molto le classificazioni, sono sempre riduttive e non tengono conto che ogni uomo è “diverso”".
L’album è comunque un coraggioso esperimento tra Barrett e Zappa, ovviamente purtroppo quasi del tutto ignorato all’epoca, e diventato un ristretto culto soltanto in seguito.

Tich nominava Ivan Cattaneo, e con lui ci troviamo di fronte a qualcuno che di certo non ha mai avuto problemi con la sua identità o ne ha fatto mistero - almeno dopo essere tornato da quel viaggio a Londra che racconta averlo cambiato da adolescente timido e insicuro alla popstar che poi abbiamo conosciuto.
Non ha mai avuto paura di niente e di nessuno, il Cattaneo popstar, apertamente gay e estremamente avanti per look, sonorità e tematiche (basti citare un brano tuttora all’avanguardia sin dal titolo come “Polysex") sin da quando, da giovane omosessuale rivoluzionario e di sinistra, sfidò i 200mila appartenenti al “proletariato giovanile” accorsi al festival di Re Nudo al parco Lambro del 1975 dichiarando sul palco il suo amore per un uomo a cui era dedicata una sua canzone.

La sinistra dell’epoca era, un po’ come tutta la società, molto più arretrata di oggi, e “il popolo” non si fece molti scrupoli a fischiarlo e a urlargli insulti di ogni tipo. Gli venne in aiuto il suo amico Mario Mieli, anche autore del testo. Mentre i giovani comunisti affermavano che non ci doveva essere spazio sotto il sol dell’avvenire per questi degenerati borghesi, Mieli (tra i primi teorici di un’omosessualità rivoluzionaria e post-gender) salì sul palco scandendo slogan come “Froce, sì/ma contro la DC” o “Amor ch’a nullo amato amar perdona/io sono una grande culattona”, trasformando il tutto in una gaia farsa delle sue, mentre Cattaneo cercava di sfuggire al linciaggio. Dà da pensare, a proposito di Mieli, che lo stesso paese che ha prodotto un intellettuale così avanguardista e rivoluzionario abbia poi visto nella sua storia musicale un conformismo così totale.

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Un’altra figura tangente alla musica, popstar fino a un certo punto ma soprattutto paroliere per cantanti di primo piano, che non si è mai nascosta è Cristiano Malgioglio, capace addirittura di rifilare testi con chiare implicazioni omo a cantanti da classifica mai toccati da certe tematiche (è il caso della “Gelato al cioccolato” scritta al ritorno da un viaggio in Africa e affibbiata alla faccia pulita di Pupo).
Non possiamo non citare poi Immanuel Casto, il “principe del porn groove”: se nel suo caso non si può certo parlare di alcun tipo di ritrosia, ci troviamo però di fronte a un artista che, per quanto simpatico, divertente e coraggioso, ha soltanto quella tematica, e rischia di diventare davvero un personaggio di genere, chiuso in un ambito molto autoreferenziale e a una sola dimensione.

Non meno complicato poi è il rapporto tra la musica e l’identità lesbica. Nel mondo della musica al femminile abbiamo una grande varietà di icone, personaggi vicini alla cultura LGBT, bisessuali più o meno esplicite, ma una specie di deserto se vogliamo cercare cantanti donne espressamente lesbiche.

Da Raffaella Carrà a Loredana Bertè, Anna Oxa, Mina, Donatella Rettore, perfino Ambra (anche grazie al bravo, e decisamente out of the closet, autore di molti suoi brani Peppi Nocera) le cantanti eterosessuali amate dal mondo gay sono moltissime, qualcuna anche sul filo dell’ambiguità come Patty Pravo, o in tempi più recenti Paola Turci e Carmen Consoli, ma al massimo, anche per i casi più eclatanti, possiamo parlare di figure non facilmente incasellabili: la bravissima Giuni Russo è stata a volte piuttosto esplicita nelle sue canzoni, ma la sua “compagna d’arte e di vita per 35 anni” ha diffidato e considerato diffamatoria una dichiarazione che parlava di loro come di una coppia. Altro caso esemplare è quello di Gianna Nannini che, un po’ come Dalla, ha sempre voluto fare la sua vita senza spiegare niente a nessuno, tra testi quantomeno ambigui e una maternità da madre single.



(Tiziano Ferro. Foto via Wikipedia)

Da ultimo veniamo al campione del coming out italiano, quel Tiziano Ferro che - per chi non era già stato illuminato da “E Raffaella canta” - dopo anni e anni di voci, dicerie e avvistamenti, nel 2010 ha raccontato tutto in un libro, fregandosene del fatto che (secondo qualcuno) il suo pubblico di ragazze adolescenti avrebbe dovuto ripudiarlo, e non perdendone certo in successo - del resto si tratta di uno che il talento ce l’ha, tanto che riesce ad essere amato più o meno come guilty pleasure anche nei circuiti più underground.
Il suo è stato probabilmente il coming out più completo e sincero che si sia mai visto in questo paese: "La liberazione più grande è stata poter parlare con le persone che mi sono più vicine, il resto è venuto naturale. La cosa più assurda è che non posso incolpare nessuno: il problema sono sempre stato io. Se fossi stato in pace con una persona che amavo avrei capito, ma io stavo da solo a rimuginare su qualcosa con cui non avevo fatto pace. Mi dava fastidio essere esposto su una cosa che mi creava problemi. Due anni fa ho iniziato una terapia, avevo paura di prendere i farmaci, poi ho visto che è stato utile iniziare, così come smettere a un certo punto. Mi sono fidato della strada intrapresa. Il mondo cambierà, lo sto guardando in maniera diversa, e spero che questo blocco sia sparito anche se devo ancora lavorarci su. Ora sento che davanti a me c'è una vita piena di opportunità".

In un articolo di qualche anno fa, Costantino Della Gherardesca celebrava, senza soffermarsi in particolare sulla musica, l’antica pratica dell'outing, ora caduta in disuso: “Froci ricchi e privilegiati - Trascinateli fuori urlanti dai loro nascondigli di discrezione e pudore!” era lo slogan anni ’80 che veniva citato. Il mito della privacy usato per tutelare i propri interessi economici: “nascondendo la propria omosessualità, fingendosi magari eterosessuali per opportunismo, si condonava l'omofobia, di fatto propagandola.”
Nell’articolo si ricordava che: “Erano anni [quelli dell’esplosione dell’AIDS] in cui [i gay] dovevano fare la voce grossa, essenzialmente, per non morire”, mentre l’invito delle destre era quello di lavare in casa i panni sporchi. E che gli outing servivano “per far sapere ai ragazzini gay che si sentivano inadatti e odiati dall’America di Reagan e Bush che, ai vertici di quella stessa società che sembrava osteggiarli, di finocchi ce n'erano in realtà moltissimi”.
L’articolo si chiudeva stigmatizzando il fatto che, con l’aria cambiata e la guerra chiaramente vinta, a partire dalla fine degli anni ’90 quegli stessi personaggi che si erano rivelati codardi fino a qualche anno prima avevano ora cominciato a saltare sul carro. Quello che è sconsolante è notare come, tuttora, in Italia nel mondo della musica non siamo ancora neanche arrivati a quella fase.

Costantino, interpellato, chiosa: “In Italia i personaggi pubblici sono quasi tutti dei codardi, hanno paura di perdere consensi, beccarsi critiche online. Così giustificano il qualunquismo, fanno finta di essere dei menefreghisti… Quando Monica Cirinnà combatteva in parlamento per i diritti civili degli omosessuali sono stati tutti zitti per paura di beccarsi un vaffanculo da qualche grillino. Trovo uno spreco di tempo cercare di individuare contingenze sociali che giustifichino il loro comportamento, è più efficace rendersi conto che sono delle merde e basta.
Solitamente sono contrario a dire che all'estero la situazione è migliore, tendo a difendere l’Italia. Ma la totale mancanza di palle dell'uomo italiano è, ahimè, una verità che si palesa nel suo "star system" pressoché inesistente: le celebrità italiane di sesso maschile hanno dei coglioni grandi come piccole uova di storione. Quindi, figuriamoci se sono disposti a fare coming out di qualsiasi tipo, da quello sessuale a quello politico”.

 

 

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L'articolo La verità che fa male: di coming out e omofobia in 60 anni di musica italiana di Federico Sardo è apparso su Rockit.it il 2016-10-21 09:01:00

Tag: politica

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