Clap! Clap!: "Oggi sono un ibrido tra analogico e digitale"

Il producer toscano racconta il suo ultimo disco, "Liquid Portraits", in cui cerca di immortalare le sfuggenti connessioni che esistono tra i nostri ricordi. E ci dice la sua sul bel momento (lockdown a parte) dell'elettronica di casa nostra

Clap! Clap! nell'artwork di RUFFMERCY
Clap! Clap! nell'artwork di RUFFMERCY

Dopo le uscite di Lorenzo Senni ad aprile e Populous a maggio, arriva il turno di un altro campione dell’elettronica italiana: stiamo parlando di Clap! Clap!, moniker di Cristiano Crisci, che domani pubblicherà il suo ultimo album, Liquid Portraits, per l’etichetta di Bristol Black Acre e impreziosito dall'eccezionale artwork di RUFFMERCY. Dodici tracce o ritratti liquidi, appunto, dove lo stile del producer fiorentino trova una nuova, elegante evoluzione introspettiva e personale, il tutto attraversando alcuni dei luoghi che più lo hanno segnato nel corso della sua vita. Clap! Clap! si trova a girare il mondo per lavoro, avendo suonato un po’ dappertutto e con fan sparsi in ogni angolo del globo – tanto che, strano ma vero, Cristiano ha una pagina Wikipedia in inglese e non in italiano. Abbiamo sentito Cristiano qualche giorno fa dopo aver ascoltato con entusiasmo Liquid Portraits, per farci raccontare da lui come si è sviluppato il progetto.

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Come mai Liquid Portraits?

Il titolo è il concetto di tutto l’album. Negli album precedenti ho raccontato delle fiabe, invece qua mi sono attenuto più alla realtà. Mi sono basato sui ricordi e sulla loro dinamica: tutti noi abbiamo dei ricordi che risalgono dagli angoli più remoti, io a volte li sento come pensieri vividi, a volte neanche a riconoscerli in nessuna forma, risultano come fluidi. Il più delle volte sembra che non ci siano mai connessioni se non per casualità, per esempio il ricordo di un odore durante l’infanzia connesso all’esperienza di fare musica suonando da una pietra, oppure l’immagine di un vecchio guerriero ainu giapponese con la sensazione di stare distesi davanti a un fuoco. In verità le connessioni ci sono tra queste immagini e sono molto più forti di quello che pensassi, solo che la loro consistenza non è solida, ma liquida. Ho immortalato questa liquidità in musica sottoforma di ritratti, Liquid Portraits, per l’appunto.

Come hai sfruttato i campioni per questo disco? Ce ne sono di meno rispetto al solito?

I sample ci sono sempre perché sono nel mio setup, lavoro con una serie di campionatori, più che altro sono registrazioni fatte da me, field recordings. Se prima erano più correlati alla fantasia, questo giro mi sono concentrato sulle culture che più mi hanno segnato nella mia vita. Ho campionato molte cose dal Sud, il primo pezzo del disco è tutto registrato con le pietre di Pinuccio Sciola, uno scultore sardo che ha lasciato sparse le sue invenzioni, ossia delle pietre musicali che si possono suonare con altre pietre, legni o stantuffi. MI sono fatto un mio archivio di tutti questi suoni e ho costruito il pezzo. Se in passato i campioni arrivavano da cose già registrate, qua sono più le cose prese da me. Comunque ci sono sempre i vecchi campioni d’archivio che uso e credito, per esempio proprio nella canzone Liquid Portraits uso un campione di Carpitella.

Torneresti a un setup totalmente analogico?

Io nel 2003 avevo un progetto, A Smile for Timbuctu, in cui usavamo soltanto macchine analogiche, abbiamo fatto tre disco e qualche tour europeo. C’era MySpace, si iniziava a frullare con i social e andare fuori dall’Italia. A livello compositivo era tutt’un altro concetto, ma era anche molto più complicato nel live: quando vai a suonare nei live con tutta una tavola di macchine molte volte ti va bene, quando riesci a fare dei buoni soundcheck e a calibrare tutto bene, quando invece sei di fretta o quando vai nel club, dove spesso non c’è neanche lo spazio diventa complicato. Io adesso sono in una forma ibrida: in live da solo uso soltanto il digitale, ho solo un controller e il computer, sono arrivato alla scrematura totale. In studio ho tante macchine analogiche, ma uso anche parecchi software, la parte principale della composizione poi va a finire nella postproduzione che è fatta con l’outboard, quindi tutto analogico. Ho i miei synth con cui continuo a produrre, però c’è una grandissima parte digitale.

La copertina di Liquid Portraits.
La copertina di Liquid Portraits.

Chi ha collaborato a Liquid Portraits?

Piero Spitilli è un contrabbassista con cui suono da più di vent’anni, abbiamo fatto miliardi di cose insieme, quando sono arrivato al momento di rappresentare il concetto di Liquid Portraits l’ho voluto fare con lui perché è una cosa profonda, avendo condiviso così tanto con lui sapevo che sarebbe stata la persona perfetta. Domenico Candellori è un grandissimo percussionista con cui ho anche un altro progetto che sta per partire di sole percussioni, per cui siamo super gasati. Lui è un insegnante, ho visto dei suoi tutorial in cui suonava il tamburello in una maniera incredibile e quindi l’ho contattato. Poi c’è Kety Fusco, una ragazza che sta in Svizzera e suona l’arpa, tra l’altro è uscito da poco il suo disco DAZED e lo consiglio perchè merita. Ha uno stile molto originale e per questo ho voluto collaborare con lei. Stesso discorso per Martha Da'ro, lei è un’ottima cantante e attrice, dovevamo fare un pezzo insieme da una vita, alla fine ho creato questo beat che secondo me era perfetto per lei, le ho spiegato il concept e le ho detto di esprimersi liberamente.

Quanto ti ci è voluto per realizzare il disco?

Gli album scorsi sono stati più veloci, questo di più, circa sei mesi, perché è partito in parallelo al concept. Molte volte prima faccio la musica, questa volte le cose andavano di pari passo, ho cercato di rappresentare quello che avevo in testa come se dovesse essere una soundtrack di una cosa molto visibile. Il problema è che in musica non hai l’utilizzo delle immagini, devi fare tutto con i suoni.

Com'è nato il progetto per l'artwork con RUFFMERCY?

Lui è di Bristol e lavora con la Black Acre, ci siamo conosciuti 5-6 anni ed è una persona d’oro, abbiamo gli stessi gusti musicali, anche con lui era da un sacco che dovevamo lavorare insieme, ho sempre aspettato perché ogni volta c’era qualche artista vicino a me che stava già lavorando con lui. Non volevo avere la stessa impronta grafica magari anche di musicisti che fanno musica simile alla mia, la trovo scorretta. Questa volta era libero, doveva fare solo la copertina e poi invece ha fatto tutta una serie di artwork. Lo stimo tantissimo perché, come nella musica, la prima cosa che apprezzo di una persona è l’originalità e la singolarità, poi quando si riesce ad avere uno stile che non solo è tuo, ma che è inarrivabile, per me è il migliore dei risultati.

E per il video di Movin' On?

Era in lockdown, volevamo farlo uscire come singolo, poi stavamo ragionando con Russ (Murphy, vero nome di RUFFMERCY, ndr) e lui voleva fare qualcosa con Martha. Alla fine quello che è successo è che lei ha girato questo video col telefono e Russ ci ha disegnato, secondo me è un video molto rappresentativo del periodo.

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Tempo fa avevi collaborato con Paul Simon, lo senti ancora?

Lo sento ogni tanto, poi ha fatto un mucchio di rappresentazioni con la band e i musicisti di quelle canzoni, era un delirio perché lui stava a New York, io da qua non sempre potevo raggiungerlo. Comunque è la collaborazione più bella che abbia mai fatto in assoluto, proprio a livello di umiltà, la persona che è lui. Penso di averci imparato molto, ha un’altra maniera di lavorare, mi è piaciuto molto il fatto che sia stato tutto molto diretto e sincero, ci siamo capiti subito. Mi ha spiegato: "se una cosa mi fa schifo, te lo devo dire, non prendertela". Il fatto di essere così onesto ti permette subito di essere in sinergia, invece di fare una canzone ne abbiamo fatte quattro.

Hai preso parte alla colonna sonora di due film, Liyana e I Am the Revolution. Il prossimo?

Liyana è andato da dio, nessuno se lo sarebbe aspettato. Lì ho lavorato intensamente e ne ero proprio felice, era la prima volta che lo facevo, poi è una cosa molto bella perché è un documentario sullo Swaziland che ha finanziato sia le scuole che la costruzione di un ospedale, quindi è una buona causa, ma ho fatto giusto i titoli di coda e un paio di interventi durante il film. I Am the Revolution è un documentario sull’esercito femminile del Kurdistan, è un film di una violenza assurda ed è stato un po’ diverso. Ho dovuto ricercare del materiale in quelle zone, tra Siria e Turchia, ho impostato tutto su quello. Lavorare su una soundtrack è diverso perché sei di contorno a delle immagini ben precise che mandano un messaggio, con la musica aiuti a farlo arrivare meglio. Si stravolge la maniera di suonare, ma ho apprezzato tantissimo e spero di avere l’occasione di rifarlo.

Che momento è per l'elettronica in Italia?

Penso e spero buono, è difficile dire, però, perché sto poco dietro i social e la scena la seguo solo dal vivo con i live. Lorenzo (Senni, ndr) non lo conosco bene come Andrea (Populous, ndr), ma ci sono anche altri nomi, come DJ Khalab, che meritano tantissimo. Essendo tanto tempo che suoniamo siamo anche molto amici, sono dieci anni che ci conosciamo. Sentendo personalmente queste persone noto una forte spinta, la stessa che c’era dieci anni fa, questa cosa mi fa molto piacere. I nomi che mi hai detto sono molto diversi tra loro, ma le cose che fanno mi fanno impazzire: Lorenzo sta facendo una ricerca geniale, è fantastico, di Populous avevo sentito il disco mesi fa quando me l’ha mandato, l’ho sparato in casa a tutto volume. Sono felice della qualità, non so come funzioni a livello di scena e quanto questo sia percepito dalle persone, mi auguro al meglio.

E all'estero come ci vedono?

Prima ho citato Khalab perché ha vinto il Worldwide Award due anni fa, tra i concorrenti c’era gente come Kendrick Lamar, per dire. È stato premiato da Tom Ravenscroft per la miglior traccia dell’anno. Ma anche in altri generi molto diversi abbiamo dei nomi grossi, penso a Paolo Baldini che ha fatto un documentario a Kingston. Ci sono tante persone rispettate nel mondo, ma magari sono meno conosciute in quella che può essere la scena.

Clap! Clap! (credits: RUFFMERCY).
Clap! Clap! (credits: RUFFMERCY).

Vedi delle differenze tra quando suoni in Italia e gli altri Paesi?

La differenza non è tanto con l’Italia, il mondo è parecchio vario. Ci sono posti che hanno un determinato tipo di risposta del pubblico e anche un tipo di organizzazione. Ovunque vai puoi trovare una figata pazzesca come un flop. Sicuramente il filone culturale fa tanto, per esempio ogni volta che vado in Giappone o in India a suonare ho una gran risposta, però quando si suona in altri continenti è diverso perché sei ospite, quindi magari c’è molta più attesa. In Italia ci sono un sacco di festival in cui mi sono sempre trovato molto bene e tanti club molto belli e ben organizzati, in tantissimi posti ho ricevuto delle reazioni dal pubblico fantastiche, si sente che c’è un bel dialogo con il dancefloor. Una volta negli Stati Uniti mi aspettavo un pubblico molto caloroso e invece ho fatto fatica, al contrario in Russia pensavo fossero molto più freddi e invece dopo 5 minuti c’era già il delirio, quindi dipende da caso a caso.

Come vedi il futuro dei concerti?

Io ho sempre pensato che prima o poi arriverà il vaccino e a quel punto potremo davvero stare tranquilli. Nel mentre è inutile fare le discoteche con le gabbie, tanto vale stringere i denti finché la cosa non si risolve del tutto. Le conseguenze economiche saranno drastiche, lo sappiamo, noi musicisti prenderemo sempre meno. Spero che trovino al più presto una cura per poi tornare a riempire i club, io non vedo l’ora. È più di vent’anni che faccio questo, mi manca l’aria a non suonare.

Abituato a girare per il mondo come sei, ti ha pesato stare a casa?

Il lockdown mi ha cambiato poco. Sto chiuso in studio e poi parto un mese, quando sto qui sono una sorta di ratto di laboratorio, se non produco faccio ricerca, sono un lockdown vivente io. Si è trattato di fare due tre mesi senza uscire, non mi ha pesato ma spero che ora si possa tornare a girare e a viaggiare.

Com'è stato come periodo?

Ho mille progetti e ho fatto tanto in questi mesi, di questo sono contento. Quei periodi in cui manca l’ispirazione arrivano sempre inevitabilmente, spero che il buco nero per gli artisti tardi ad arrivare sta volta. Ora l’ho gufata, però (ride, ndr). Detto questo, il mio tributo in questo lockdown è stato non suonare in diretta, vi ho graziati!

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L'articolo Clap! Clap!: "Oggi sono un ibrido tra analogico e digitale" di Vittorio Comand è apparso su Rockit.it il 2020-06-11 15:22:00

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