Come rischiare la vita per fotografare un festival hardcore ed essere felice

Luca Secchi è uno dei più importanti fotografi della scena, e come ogni anno non poteva mancare al Venezia Hardcore. Non è nel pogo, ma su un'inedita cumbia, che quest'anno rischia di combinarla grossa. Ecco cos'è successo, e perché ora c'è parecchio titanio nel suo corpo

Luca in volo
Luca in volo

Questa storia inizia alVenezia Hardcore 2025. È da poco scoccata la mezzanotte. Tra qualche minuto verrò sfiorato dalla fredda mano della morte. Mi chiamo Luca e di lavoro faccio il fotografo (compreso molti lavori per Rockit, qua il suo primo libro). Adoro fotografare i concerti: più c’è casino, più mi sento a casa. Per me fare delle belle foto ai concerti vuol dire stare in mezzo alla gente. Il pogo e il suo calore sono cose in cui ho imparato a sciogliermi. Solo nel pogo si trovano punti di vista inediti. Già in un’altra sede ho detto che il caos siamo noi.

Ai concerti la prima volta che ho visto fare crowd dive sono impazzito. È una cosa bellissima sia fisicamente - galleggiare su decine di mani - sia metaforicamente - la collettività sostiene l'individuo per qualche manciata di secondi di pura gloria. Vedendo tutti questi corpi in aria a una certa mi sono fatto prendere anche io e cosi ho sviluppato la mia personale fotografia “dasoprailpogo" come quella che vedete in copertina.

Luca, a dx, con camera in mano. Foto di Simone Cabrio
Luca, a dx, con camera in mano. Foto di Simone Cabrio

Torniamo al Venezia Hardcore. Sono stanco, potrei aver fotografato qualcosa come 30 band in due giorni. Il livello medio della musica e del relativo pogo riassumibile in questa canzone. È appena scoccata la mezzanotte. Penso a tutte le botte che ho preso. "Dai, è finita" mi dico. L'ultima band ha l'icastico nome di Los Muchos Gramos e fanno quella che essenzialmente si è CUMBIA IN VENEZIANO. Sono acchittati di tutto punto con le camicette, i bonghi, le maracas e gli occhiali da sole. Un bello scherzone alla fine del festival hardcore più forte in Italia. Sento la tensione che si scioglie. Faccio due foto e inizio a ballare. "Niente rischio di pugni in bocca" mi dico. Faccio quello che non faccio mai: abbasso la guardia, commettendo l'errore madornale. Mi faccio alzare in aria dal pubblico tutto sfatto e tutto sfinito da due giorni di festival, durante la cumbia in veneziano. 

Sto in aria una manciata di secondi. Poi sento come un’esplosione seguita da un fischio. È tutto nero. Picchio la testa. poi la schiena. Non sento più le gambe. Sento il sangue. Non mi riesco a rialzare. Mi portano fuori di peso e mi stendono sull’asfalto con la tasta aperta, grido di chiamare un’ambulanza. La cumbia continua. 

Inizio a piangere, perché non sento più le gambe. Penso che sta volta l'ho fatta veramente grossa. Arriva Simone, un fotografo che ho conosciuto proprio al festival e che mi rimarrà estremamente vicino nei giorni successivi. Simone mi dice di stare tranquillo.Io piango. Piango perché non camminerò più. Piango perché la mia carriera di fotografo è finita. Piango perché ho dato un dispiacere enorme ai miei genitori. Piango perché ho paura. I paramedici intanto mi caricano sulla barella. La cumbia continua. 

Il momento della caduta
Il momento della caduta

Dentro l'ambulanza si svolge un'inaspettata comica: i paramedici non sapevamo come mettermi il ragno - l'imbracatura che tiene il corpo costretto alla barella - e inveiscono in veneziano strettissimo. Mi viene quasi da ridere. E non so come, sarà l'aria della laguna, sarà la musicalità dell'idioma veneto, sarà la cumbia, marisento le gambe. Sono lì. Sono tornate. Ricordo che mentre fissavo il soffitto dell'ambulanza pensavo: “Ma io sono vivo, e non solo, sono anche tutto intero. Che cazzo piango a fare?”.

La paramedica intanto guarda la ferita e mi dice con molta tranquillità che se avessi picchiato la testa leggermente più a destra ero bello che morto, mentre se avessi picchiato la schiena più in basso potevo rimanere paralizzato. Mentre la paramedica parla, mi passano davanti agli occhi i miei quasi 10 anni di psicoterapia e mi rendo conto che tutte queste le grandi pare che da sempre mi sono fatto su lavoro, ambizioni, amori e rapporti umani diventano immani stronzate davanti alla mano lunga della morte che mi aveva sfiorato

Sangue, foto di Simone Cabrio
Sangue, foto di Simone Cabrio

Questa storia finisce con 2 punti in testa e radiografia alla schiena. Responso:frattura vertebra D9, operata il giorno dopo con 8 belle viti di titanio nella schiena + 28 punti di sutura. Forse è solo quando fissiamo negli occhi la fine che capiamo cosa è veramente importante nella sua disarmante semplicità: essere vivi qui e adesso. 

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L'articolo Come rischiare la vita per fotografare un festival hardcore ed essere felice di Luca Secchi è apparso su Rockit.it il 2025-06-04 11:21:00

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