Diamo a Sanremo quel che è di Sanremo: il Festival ha rimesso le canzoni al centro

Fino a qualche anno fa l'Ariston era terra di conquista di Marco Carta e Valerio Scanu. Oggi uscire da Amici non basta più e non è solo una questione di elite: la gente premia la musica, è una rivoluzione

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Basta, è finita, pietà. Pensavamo che non ne saremmo usciti sulle nostre gambe, e invece siamo qua a raccontarla anche questa volta. E allora perché tornare a parlare di Festival il lunedì mattina, dopo la settimana più logorante della nostra vita da telespettatori? Perché oggi, mentre la vita e la normale attività cerebrale riprendono faticosamente il loro corso, ci pare giusto e doveroso rendere un tributo al Festival della Canzone Italiana

Già, quello delle scalette scritte dal genio di Mattia Torre, delle esibizioni alle 2 di notte, quello degli strazianti sketch di Amadeus e Cristiano Ronaldo, dei tributi al Bagaglino da parte del più grande showman italiano, delle battaglie civili giuste ma raffazzonate, di Diletta Leotta e della ridefinizione della nozione di imbarazzo, di Bugo e Morgan a ritoccarla ulteriormente. La lista potrebbe essere parecchio più lunga: è stato, come da dichiarazione d'intenti, un Festival parecchio nazionalpopolare. Avessimo tanto così di coraggio in più e le spalle abbastanza forti da reggere lo shitstorm anti-radicalchic, useremmo un'altra parole: mediocre.

Però c'è un però, ed è parecchio grande. Al netto di ogni triccheballacche, Sanremo è stato vinto da un'ottima canzone, probabilmente la migliore in gara. E questo è un punto, e qualcosa deve pur dire. Quindi – e ve lo dice chi per tutta la settimana non ha lesinato prese per il culo e giudizi affilati come i coltelli dello chef Tony – per una volta vogliamo levarci il cappello davanti agli amici della Riviera.

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Partiamo dalla base dei 24 brani in gara. Certo, sarebbe stato bello sentire un inedito di Morricone sfidare la reunion dei Sangue Misto, invece avevamo Rita Pavone e Riki. E di loro dunque parleremo. Le canzoni hanno fatto il loro percorso, si sono concesse al primo ascolto tra martedì e mercoledì, sono state metabolizzate durante i vari passaggi radiofonici (chi li ha avuti) e online, sono stati riproposte venerdì e poi sabato. Quelle che dovevano crescere – non per forza l'accezione è positiva –, lo hanno fatto.

A conti fatti sono arrivati in fondo i brani più di sostanza. Diodato, lo abbiamo scritto sin dall'inizio, aveva un gran bel pezzo, molto sanremese. Gabbani per la seconda volta ha portato su quel palco una produzione efficace, un pop paraculo e ben fatto. Stesso discorso – più giovani, più indie, più energetici e quello che si vuole, ma sempre di pop parliamo – per i Pinguini Tattici Nucleari. 

Non sono stati premiati del tutto i brani più contemporanei e le produzioni più complesse, da Elodie a Rancore fino a Levante, ma nessuno di questi pezzi  – e nemmeno Achille Lauro, con il suo ottavo posto – non è stato "capito": tutti quanti stanno nella prima metà della classifica, dove invece non figurano pezzi "impresentabili". E ce n'erano.

Qual è il segreto? Sicuramente c'entra il metodo usato per stilare la classifica finale. Come l'anno scorso – quando la qualità media e la contemporaneità del roster era stata infinitamente superiore, con il super duello in finale tra Mahmood e Ultimo, futuri dominatori della stagione musicale – il "volere popolare" è stato ribaltato. Dodici mesi fa nel mirino era finita la famigerata giuria di qualità, quest'anno a spostare gli equilibri è stata la sala stampa (almeno, vista l'autarchia dei cognomi in gara, ci siamo risparmiati il codazzo di polemiche). 

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Il meccanismo poco democratico aiuta di certo (dopo il televoto Alberto Urso era secondo...), ma non è solo una questione di elite. In molti casi il primo "filtro" viene messo già dagli ascoltatori, che premiano le canzoni vere. Non più di dieci anni fa il Festival era terra di conquista dei Marco Carta e Valerio Scanu e Povia si piazzava ogni volta che apriva il becco, Il Volo era culturalmente egemone (questo ancora oggi, a dire il vero). Oggi non è più così: non basta avere una larga fanbase, un esercito di televotanti da muovere attraverso i social. Non basta più uscire da Amici, avere il "personaggio". La musica – magari non la nostra, né la vostra preferita – è tornata al centro. Non è stato un processo semplice, nè scontato. Ma è successo: la gente ascolta, valuta, dà dei giudizi. Che gioia. 

Diamo a Sanremo quel che è di Sanremo. Mentre sempre più autori stilano pezzi consultando le istruzioni di Tik Tok e i programmi di cover provano a blandire il sogno di ciascuno di noi di diventare Elvis dalla nostra cameretta, fino a snaturarsi, il tempio del conservatorismo musicale, tra mille difficolà e "passi indietro" per poterne fare qualcuno in avanti, ci dice che la musica parla ancora un linguaggio comune a tutti

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L'articolo Diamo a Sanremo quel che è di Sanremo: il Festival ha rimesso le canzoni al centro di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2020-02-10 10:27:00

Tag: opinione

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