Elisabetta Spada: non è mai troppo tardi per accettarti

Ha aperto i concerti a Sinead O'Connor, girato per i teatri d'Europa, si è fatta un nome in Belgio. Poi il black out. 10 anni dopo, in occasione dell'uscita del suo primo vero disco – molto bello – ci racconta perché la musica vale sempre la pena e come si combattono ageism e sindrome dell'impostore

Elisabetta Spada - foto di Laetitia Bica
Elisabetta Spada - foto di Laetitia Bica

È uscito un gran bel disco qualche giorno fa. E siccome non accade in ogni istante vale la pena segnalarlo. Si chiama Home Again, è folk e molto pop assieme, dà energia, c'è Florence + The Machine e altri riferimenti che ci stanno un gran bene. Ci hanno lavorato persone tra l'Italia e il Belgio – Margaret Hermant (membra fondatrice del gruppo Echo Collective), il batterista Franck Baya (Françoiz Breut, Fùgù Mango), il chitarrista e bassista Ruggero Catania (Africa Unite, Romano Nervoso) –, ma la firma è quella di Elisabetta Spada, romana classe 1977.

Se il nome non vi dice molto è perché lei ha fatto di tutto affinché non accadesse. Autrice, compositrice e interprete, dopo la laurea in Psicologia si trasferisce a Bruxelles e lavora per cinque anni al progetto del WebTV del Parlamento Europeo. Ma la musica chiama, sebbene sia un'autodidatta totale, e nel 2010 lascia il suo lavoro nell’istituzione europea per dedicarsi a tempo pieno alla carriera. Inizia a scrivere canzoni e fa il primo demo, chiama il progetto Kiss & Drive. In Belgio, dove è rimasta, vince concorsi, inizia a comporre musica per il teatro, suona in buona parte d'Europa. Nel 2011 produce il suo primo EP di cinque brani, intitolato My Mood Changes. Si esibisce prima di numerosi artisti internazionali come Sined O’Connor, Puggy, Hanne Hukkelberg, Lisa Hannigan, Cali, Tryo, Deluxe, Sergent Garcia. A un certo punto, il silenzio. 

Cos'è successo? A fermarla, e tenerla lontana dalla musica per dieci anni è quella oggi che viene chiamata "sindrome dell'impostore", a tormentare la cantante è un forte "senso di illegittimità". Ora ritorna a 47 anni, con il proprio nome e un'esperienza e autocoscienza ben diversa, per un disco che è indubbiamente un viaggio personale. Home Again racconta con dolcezza storie intime e commoventi. E dimostra che non è mai tardi, anzi a volte potrebbe essere troppo presto.

Artwork del disco
Artwork del disco

Oltre che un bel disco, è un disco "felice". Tu sei felice? 

Be', diciamo che tra musica, meditazione, terapia penso di stare bene, di essere contenta di vedere il frutto di tanto lavoro, dubbi e riflessioni finalmente uscire nel mondo. In fondo è come un parto, sono molto contenta e allo stesso tempo sull'orlo della crisi di nervi, quindi bene dai! 

C'è un'ispirazione in particolare dietro?

Direi che si ispira a tutte le artiste autentiche che ho ascoltato, conosciuto, visto in concerto, e che ho ammirato nella loro libertà di essere se stesse e di esprimersi e di suonare e divertirsi.

Cosa fai oggi? 

Oggi come oggi mi occupo dell'uscita del disco qui in Belgio, domani si vedrà... No scherzo, faccio le prove per la presentazione del disco che avverrà in gennaio al Botanique di Bruxelles e spero anche a Roma e Milano in febbraio. Vivo a Bruxelles, ma torno spesso a Roma, perché "le radici, e gli affetti, sono importanti". Mi occupo della mia musica e di gestire i miei stati emotivi, che già è un lavorone. 

Qual è il ricordo più incredibile della tua "prima vita" musicale? 

Fare da gruppo spalla a Sinead O'Connor, ero così impressionata da lei che mi sono nascosta nei camerini e non ho avuto il coraggio di presentarmi, ora un po' mi dispiace, ma c'est la vie... e la prima volta allo Zenith – uno tra i locali più importanti di tutto il Belgio – sempre come gruppo spalla, di una band chiamata Puggy, suonare davanti 7.000 persone che si prendono bene con la tua musica è stato bellissimo!

Cosa ti manca di allora, e cosa non sopportavi?

Un po' tutto e niente, un po’ la struttura che organizzava le cose: per me era comodo ma anche deresponsabilizzante. È faticoso dover pensare a tutto, ma allo stesso tempo è bello avere un rapporto diretto con gli organizzatori e capire meglio come funziona il mondo musicale. 

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Com’era vivere con la musica, anche "economicamente"?

Qui in Belgio per fortuna c'è un sistema di supporto per i lavoratori dello spettacolo (che qui ora si chiamano Travailleurs des Arts) e quindi non è difficile come in Italia passare per dei periodi di inattività concertistica. Quindi direi bene.

Come funzionava nel tuo caso la "sindrome dell'impostore"? Come si manifestava, e come l'hai sconfitta?

Si manifestava con la sensazione che le mie prime canzoni fossero state come generate da sé stesse per colpo di fortuna, e mi chiedevo veramente se fossi stata capace di farne altre. E non avendo studiato musica all'epoca avevo anche una carenza nel linguaggio necessario per interagire con i musicisti, produttori, che mi metteva a disagio. L'ho sconfitta (anche se mai del tutto) studiando solfeggio, prendendo lezioni di chitarra con Ruggero Catania, del quale ho messo a dura prova la pazienza, e di batteria con Franck Baya (entrambi musicisti e co-produttori del disco) e facendo entrare ed accomodare i complimenti sinceri delle persone di cui ho fiducia. 

Foto di Matteo Lavazza Seranto
Foto di Matteo Lavazza Seranto

Qual è stato il momento più difficile, quello che ti aveva portato a smettere?

Ero andata in ansia totale da prestazione. L’EP d’esordio del mio primo progetto, Kiss & Drive, My Mood Changes, nonostante fosse una demo ha funzionato così bene, in maniera inaspettata, che ero sicura di non riuscire a eguagliare quella leggerezza e semplicità. E questo mi ha provocato tanta ansia da fallimento, e anche da successo, che a volte si mescolano insieme... Poi ho dovuto gestire con mia sorella lo svuotare la casa dei nostri genitori dopo la morte di mio padre, e il tutto ha creato un lungo momento di distonia tra quello che stavo vivendo e quello che pensavo i miei manager dell'epoca e il pubblico potessero volere. C'è voluto molto tempo e delle canzoni tristi per avere di nuovo voglia di comunicare e di andare verso gli altri. 

Esattamente perché hai ricominciato a fare musica?

In realtà per me è come se non avessi mai smesso e mai ricominciato, piuttosto è stato un lungo, lunghissimo processo di trasformazione che mi ha fatto impercettibilmente passare dall'immobilità e dall'ansia alla accettazione della lentezza, dei cambiamenti interni, dell’elaborazione del lutto, dell'accogliere la propria vulnerabilità. Mi sono ritrovata piano piano ad avere voglia di suonare le mie canzoni con dei musicisti, e poi da lì, dolcemente avere voglia di arrangiare meglio le canzoni che avevano preso un'altra vita grazie all'apporto degli altri, e poi ancora da lì avere voglia di registrarle e di renderle fruibili al pubblico. La pazienza e la motivazione di Ruggero Catania e di Franck Baya è stata incredibile, mi hanno portato a completare il disco senza accorgermene, e non finirò mai di ringraziarli per questo, per il percorso, ancora di più che per il risultato. 

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Con questo disco prendi posizione contro l'ageism: cos'è e come si concretizza nella musica?

Nella cultura pop tutto deve essere bello e laccato e ben pimpato, solo che quando una donna invecchia trovalo un modo per restituire questa liscezza, quindi come rappresentare l'età che passa, le rughe, le occhiaie senza finire sotto il bisturi, o dietro maschere o mascheroni di trucco? Un uomo che invecchia e ti guarda fa subito vecchio saggio, osso duro, rocker, una donna con il passare degli anni mette tutta la nostra aspettativa di bellezza femminile inconsciamente integrata, alla prova: vediamo noi stesse nello specchio, ci viene l'ansia e preferiamo guardare da un'altra parte. Per questo mi posiziono in direzione contraria a questa ingiunzione di coprire le tracce del tempo per cercare di rompere o almeno di scalfire per alcune e alcuni questa inconscia schiavitù della giovinezza. Non è facile neanche per me a volte rivedermi così, con gli occhi stanchi e le rughe, ma poi mi dico "eh, be', sono io". Questa la realtà della vita, l'umanità, la vulnerabilità e la sua accettazione. 

Vedere che il disco è fuori che sensazioni ti ha dato?

Più che un ritorno è per me una vera rinascita, anche perché la scelta di uscire con il mio nome di battesimo mi è costata molta fatica, riflessioni e mille conversazioni con Eleonora Tempesta, amica e curatrice di danza e performance, che mi ha aiutata tanto nel processo di individuazione di quello che volevo dire e nell’essere più onesta possibile. Ora che il disco è fuori penso di stare provando il turbinio ormonale di una donna incinta post-parto.... non ci sto capendo niente, rido, piango, rido, ho fame, ho sete, angoscia, gioia, soddisfazione e daccapo di nuovo. 

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L'articolo Elisabetta Spada: non è mai troppo tardi per accettarti di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2023-11-17 14:50:00

Tag: pop folk

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