Epistolario Appenninico n. 2: incomprensioni

Nel nuovo scambio di mail con il cantante contadino degli Ex-Otago si discorre di musica e competizione, di Paura, di primavera, di animali e di compagnia, di tachicardie, di capire gli altri o per lo meno provarci

Foto per concessione di Maurizio
Foto per concessione di Maurizio

Due settimane fa – prima che Sanremo ci fagocitasse e restituisse più stanchi e rimbambiti dalle canzoni – ci eravamo scambiati alcune lettere digitali con Maurizio Carucci, frontman degli Ex-Otago che negli scorsi mesi ha lanciato la sua carriera solista con i suoi primi singoli. 

In quell'occasione vi avevamo annunciato anche quali sarebbero stati i seguenti, a cominciare da Paura, che esce l'11 febbraio. Per questo motivo abbiamo ripreso in mano il calamaio e ci siamo riscritti, partendo da dove ci eravamo lasciati.

Milano, 9 febbraio

Ore 09:12

Ciao Mauri,
come stai? Com'è andata con Silenzio? Cioè, più in generale, come va dopo un pezzo? Tu che fai, vai a vedere tutti quelli che ti scrivono? Ti viene l'ansia se non lo fanno? Da cosa misuri il "successo" delle tue cose?
L'altro giorno sono passato dalle tue parti. Più o meno. Nel senso che sono andato a Sanremo, in treno. Ti ho pensato, vicino eppure lontanissimo a quello che stavo andando a fare io. Che poi, intendiamoci, era una cosa bellissima. Lo è sempre quando c'è di mezzo la musica e soprattutto, e a Sanremo da qualche anno riesce molto bene, quando riesci a muovere le persone, suscitare la loro curiosità, farli confrontare, appassionarsi, cantare. Noi poi abbiamo portato lì a suonare 25 artisti emergenti, e vedere la loro gioia di riattaccare dei cavi e tornare a fare un po' di musica dal vivo è stato davvero gratificante.
Mentre ero lì, con pure sto cazzo di Covid di mezzo, però un po' di pensieri me li sono fatti. Su ciò che attorno alla musica erigiamo, sulle aspettative che tutti inevitabilmente ci facciamo (tornando a quella raffica di domande iniziali) e sul peso di quelle che gli altri mettono su di noi. Sui numeri, sulle relazioni, sulle rosicate, sulla coerenza. Un sacco di pensieri, in effetti.
Che ricordo si è depositato del tuo Sanremo? Sono più le domande a cui ha risposto o più quelle che ti ha lasciato in sospeso?
Ma soprattutto, come funziona quando arriva la primavera a Cascina Barban? Che giornate sono queste? Hai qualche foto?
Abbraccio.
Dario

Albera Ligure, 9 febbraio

ore 18.07

Ciao Dario sto bene, dentro alla campagna e alla musica.
Ho finito di fare la legna che mi scalderà il prossimo anno e sono in mezzo alla potatura delle vigne vecchie, ore e ore insieme al vento, alle Felco e a Grigio che più che altro dorme..
Silenzio sta andando bene, mi ha scritto tantissima gente, sono contento.
Beh una volta che fai uscire un brano è come se si chiudesse un capitolo, paradossalmente si chiude proprio quando esce perché diventa di tutti e fa un po' quello che vuole come quando un ragazzino diventa maggiorenne..
Sicuramente sono molto curioso di conoscere la reazione della gente, come interpreta la canzone, quali frasi o concetti riprende maggiormente. L'uscita di un brano ha un che di liberatorio, da una bella sensazione, di leggerezza.
Un po' di ansia c'è sempre, tengo molto a quello che faccio, ci metto l'anima, penso sia normale essere un po' in apprensione nei giorni della release.
Sanremo è un momento importante per la musica italiana ma non è l'unico.
È un festival molto bello ma porta con se un errore; la competizione.
Non c'è niente di più sbagliato secondo me che inserire la competizione nell'arte.
Chi ha il coraggio di esprimersi, di investire tempo nell'arte non dovrebbe mai arrivare secondo, così anche per la musica, soprattutto se a farla e a scriverla è l'artista stesso che la suona e la canta.
Comunque ho un bellissimo ricordo di Sanremo, l'energia che si respira, la vicinanza che si crea con gli arti artisti, il contatto viscerale che si crea con la canzone che canti sul palco.
Tutto molto bello.
La primavera a Cascina Bàrbàn è una sorta di orgasmo, profumi, suoni, colori, tutto insieme. Tutte le stagioni sono potentissime a Cascina Barbàn forse anche e di conseguenza i sentimenti, i dolori, le gioie, chissà forse l'ambiente che ci circonda ha davvero il potere di amplificare o attenuare le sensazioni, gli stati d'animo, le emozioni.
Questi giorni come ti scrivevo sono molto concentrato sulla potatura delle vigne, ho circa quindicimila piante da potare e siamo solo io e la marti.. Passo intere giornate senza proferire parola, poi verso sera, mi metto al pianoforte e studio un po' o provo i miei pezzo nuovi.
Una bella vita, di contrasti, forse un po' incompresa, ma molto densa.
Ti mando qualche foto

Ti abbraccio

Milano, 10 febbraio

Ore 11:33

Le foto sono bellissime.
Ci presenti tutti quei bei animali? Come si chiamano? Da quanto sono con te?
Mi piace, tra tutte le cose che scrivi, soprattutto una parola: incompresa. Mi fa riflettere. La parola stessa "incompresa" è come se fosse un po' una parola incompresa. Cosa significa realmente comprendere? Capire gli altri, le loro vite? Accettarli? Fare proprio qualcosa che è di altri, e proiettarlo su di sé?
Mi ha fatto tornare a come questo nostro scambio di lettere è cominciato. Anche quella era stata un'incomprensione. Una delle mille con cui ogni giorno disseminiamo il nostro rapporto con gli altri.
E poi il verbo comprendere, e il suo contrario, sono anche le fondamenta di ciò che affronti con il tuo nuovo pezzo, che esce oggi. Quello che mi piace di Paura è come tu abbia reso doloroso un divertissement. E mi sono piaciuti un sacco i messaggi audio che hai inserito nel pezzo. Alcuni sono cazzoni, ed è interessante che alcuni quando pensano alla paura pensano sempre anche al modo di esorcizzarla. Di chi sono le voci? Sono sinceri secondo te nelle risposte? Cioè, quanto sappiamo davvero delle nostre paure e quando siamo disposti a condividerle?
Mentre ascoltavo pensavo alle mie. A come sono cambiate negli anni. Al fatto che probabilmente ora sono di meno rispetto a qualche tempo fa, perché nel frattempo sono successe delle cose brutte e quindi quelle non mi fanno più paura. O, per lo meno, credo di sapere come affrontarle.
Tu hai perso un amico che era un fratello, stavi per perdere la musica, ci hai raccontato nelle scorse mail che a lungo hai perso la serenità. Ti viene paura di non aver più paura a un certo punto?
Dario

Albera Ligure, 11 febbraio

Ore 15:11

Allora, l’asina si chiama Nina, il cavallo Nicola, il cane Grigio.
Nina vive con me da circa 6 anni, Grigio da tre e Nicola anche da tre.
Beh, comprendere in qualche misura vuol dire sposare.
Vuol dire anche stare vicini.
Per comprendere devi anche riconoscere, altro passaggio importante, per riconoscere bisogna avere coraggio e voglia.
Perché quando veniamo riconosciuti esistiamo, difficile portare avanti una qualsiasi esperienza o progetto senza un qualsivoglia riconoscimento.
Siamo perché qualcuno ce lo conferma, da soli non possiamo essere niente, penso.
Solo un ammasso di carne e ossa e tachicardie.
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Mah sai la sincerità prima di tutto è richiesta a chi riceve, a chi accoglie, io quando ho chiesto a questi amici attraverso un vocale di raccontarmi qualche loro paura ero sincero, quindi credo che lo siano stati anche loro.
Certo alcuni mi avranno raccontato delle loro paure marginali o non cosi importanti forse, o magari non esistono paure paurose ma solo paure che sono un gioco, un vizio o un desiderio quasi.
Chi lo può sapere..
Comunque mi hanno fatto ridere e pensare e mi sembravano perfette per il mio pezzo.
Amo mischiare la realtà con la mia musica, amo far entrare l’intimità dentro alla mia musica.
Mi sembra che la valorizzi, che la renda più seria e autorevole.
Per me l’arte è anche questo, una realtà trasformata, mancata forse, ma sempre vissuta.
E la realtà devo poterla toccare e ascoltare, cosa che spero si possa fare anche con le mie canzoni.
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Mi piace il fatto che hai meno paura di prima perché te ne sono capitate un po' e quindi di quelle sciagure non hai più paura, interessante, quindi, forse, non avremo più paura alla fine del nostro viaggio?
Sarebbe auspicabile, meraviglioso e terribile allo stesso tempo.
Mi piacerebbe non avere paura, ma forse è anche la paura che mi tiene in gioco.
Oppure, ancora meglio, mi piacerebbe continuare ad avere paura ma imparare anche a conviverci come si fa con un vicino rompicoglioni o con un cane che fa la pipì in casa o ancora, come si convive con le proprie occhiaie, con la cellulite o con il proprio carattere di merda.
Spero di avere sempre un po’ paura.

Ti abbraccio

Maurizio

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L'articolo Epistolario Appenninico n. 2: incomprensioni di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2022-02-11 09:41:00

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