Un altro Maurizio Carucci

Uno scambio di lettere tra Milano e gli Appennini, un dialogo sull'idea di noi e degli altri, sulle incomprensioni, sulla necessità di cambiare sempre, su ciò che ci tiene vivi. E un bel po' di annunci sulla nuova musica solista dell'ex-Otago

Tutte le foto di Brendon Lainez, dal set di Silenzio
Tutte le foto di Brendon Lainez, dal set di Silenzio

Milano, 25 gennaio 

ore 15:49

Uno dei primi giorni dell’anno. Sono sveglio da poco e subito pronto ad abiurare la promessa che mi ero fatto di non accendere il pc fino a dopo l’Epifania. Apro le mail e ne vedo una che non promette nulla di buono. Oggetto “Annuncismi”, mittente “Maurizio Carucci”. So perfettamente perché Maurizio Carucci, nato a Genova e residente a Figino nella frazione di Albera Ligure, cantante da ormai vent’anni degli Ex-Otago, mi ha scritto quella mail. Le sue motivazioni sono il motivo per cui io ora farei volentieri a meno di aprire la mail.

Qualche giorno prima me ne sono uscito con il mio pezzo di capodanno – fingo che sia una tradizione di lunga data, in realtà c’è da due anni ma essendo un bello sbattimento mi paiono molti di più – sui 100 nomi della musica italiana dei 12 mesi appena conclusi.

Tra questi nomi ho inserito anche quello di Maurizio, cui “contesto” di aver annunciato il ritiro dalla musica (con questo post) salvo poi cambiare idea (con questo post) pubblicare poche settimane dopo i suoi primi singoli solisti. 

Accompagnato da queste parole: 

Stima per ciò che ha fatto con gli Ex-Otago, band per me sempre considerata un po' meno rispetto al proprio valore, e ammirazione per le sue scelte, il "ritiro" sui suoi Appennini per vivere un'esistenza più semplice e a contatto con la natura. Quando Maurizio Carucci ha annunciato che avrebbe smesso con la musica con un post tormentato ho pensato "peccato" ma anche "ci sta". Cioè, senza conoscerlo mi sembrava che fosse compatibile con il suo personaggio e il suo modo di vivere. Poi c'è tutto il tema della "salute mentale" e delle priorità tra cui scegliere, che finalmente hanno acquisito il loro spazio. Quando poco dopo ha detto che no, non si ritirava, anzi c'erano già un singolo e poi un disco pronto, ci sono rimasto un po' così. Sembrava un altro annuncio di ritiro che non lo era, quello del collega Rocco Hunt di un paio di anni fa. I tempi con cui è uscito il suo progetto solista, insomma, sono un po' sospetti di promo. Se così non fosse, ci scusiamo per il sospetto e consigliamo per lo meno una piccola pausa dai social e dall'annuncismo che inducono: anche quello è un ottimo modo di rimettere sé stessi al primo posto. 

La verità è che per litigare con la gente servono delle specifiche abilità, una propensione. Non sono fatto per discutere, quando qualcuno mi contesta divento subito aggressivo nei toni. Tipo i cinghiali che si sentono attaccati.

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Non ho ancora aperto la mail e già ho l’ansia da scazzo che andrà gestito. Apro la mail. Non è lunga tipo ti racconto tutta la mia vita che tu non hai gli strumenti per comprendere, nemmeno cortissima tipo solo muori. Una ventina di righe scarse in cui Maurizio esprime la sua delusione (forse non è la parola giusta, ma al momento mi viene questa) per le mie parole e mi spiega perché, dal suo punto di vista, sono stato impreciso e anche un po’ stronzo.

In un attimo – e nonostante le motivazioni della mail fossero esattamente quelle che pensavo e temevo – l’ansia scompare. C’è qualcosa nelle parole di Maurizio – la sua gentilezza, anzitutto, ma anche la passione per ciò che fa che traspare dalle sue parole, il bisogno di confrontarsi e l’attenzione verso ciò che ho scritto – che mi rende persino felice di quella sua missiva elettronica. 

Rispondo subito. Gli spiego il mio punto di vista. Perché non ho apprezzato il suo annuncio di smettere con la musica seguito da nuova musica, perché i tempi delle due comunicazioni mi lasciavano perplesso. Gli linko la newsletter che qualche tempo prima avevo scritto su di lui (e su Andrea Laszlo De Simone), in cui empatizzavo (prima dell’annuncio dei nuovi singoli) con lui per la scelta di farsi da parte nella musica e privilegiare la cura di sé e della propria serenità.

Soprattutto gli dicevo – credendoci davvero, e non per mero paraculismo – che se avevo scritto quelle righe oggettivamente abbastanza velenose era perché ho sempre avuto stima di lui. Mi sono sempre piaciuti gli Ex-Otago, a mio avviso tra le poche cose interessanti emerse dal grande succo di nulla dell’itpop italiano, ho sempre subito il fascino per la sua scelta di vivere appartato sugli Appenini (qua il suo meraviglioso "ideale") e dedicarsi, oltre che all’arte, alla natura e al recupero del rapporto con il territorio e le proprie radici. Infine, per motivi biografici, non ho potuto fare a meno di commuovermi ascoltando il suo podcast Vado a trovare mio padre realizzato assieme a Life Gate. 

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Come già detto, non amo incondizionatamente il “conflitto”. Però penso che possa essere utile, di certo più delle emoji con le bombe, il fuoco o i muscoli che rappresentano il tenore medio del confronto attorno alla musica (e a qualsiasi altra cosa) oggi. Anche se caratterialmente mi costa della fatica, non voglio rinunciare a dire quel che penso sulle cose che reputo importanti. Per questo mi sono preso la briga di scrivere quelle cose su Maurizio Carucci. 

Ci siamo scambiati un altro paio di mail, che non leggerete. Ci siamo detti che sarebbe stato figo rendere pubblico questo nostro scambio. Alla fine abbiamo anche trovato il momento di farlo. Ora. In concomitanza con un nuovo annuncio, che questa volta faccio. Si tratta dei nuovi singoli di Maurizio, nuova musica che porta solo il suo nome, di cui ha deciso di non privarci e se avrete pazienza scopriremo il perché. 

Dopo La vita dentro, Sto bene e Fauno, i primi singoli del suo progetto solista, oggi è uscito Silenzio (potete ascoltarlo qua). L'11 febbraio sarà la volta di Paura, il 25 di Origini, altri due pezzi che annunciamo (ricordate l'oggetto della mail?) ora per la prima volta. Poi succederanno altre cose, ve le racconteremo man mano con Maurizio. Con delle mail. 

Ma prima devo chiedere a Maurizio cos'era successo quel giorno di agosto, cosa non avevo capito. 

Dario

Albera Ligure, 26 gennaio

ore 8:02

Raccontiamo la storia dal suo inizio, nella sua interezza.

Sentivo la necessità di scrivere un testo che raccontasse il periodo che ho passato e di conseguenza facesse capire il motivo per cui ho avevo deciso di scrivere un disco da solo, senza gli otaghi. Sentivo la necessità per far emergere la complessità di cui le nostre vite, spesso, sono intrise e perché la complessità se non compresa, si può confondere con la confusione.

Quindi, in un pomeriggio di maggio mi sono messo a scrivere questo testo, che doveva parlare degli ultimi due anni della mia vita, carichi di vita ma anche di morte, di primavere meravigliose e di autunni neri. Dovevo scrivere un testo che facesse capire alle persone che ho scritto un disco per salvarmi, per trovare un poco di pace dopo tutta la merda che ho visto e vissuto. Dopo un certo tempo, forse due settimane, finii di scrivere questo scritto e lo condivisi con la mia etichetta.

Piacque subito e tutti mi dissero che andava bene così come l’avevo scritto, alla prima. Il testo era piuttosto lungo, impossibile da pubblicare integralmente sui social, così il mio staff, ai tempi avevo un social media manager che mi aiutava, ora i social me li curo io, mi ha detto che avrei dovuto dividerlo in tre parti. Io ingenuo e inesperto quale ero (ora lo sono un po’ meno) non ho esitato un secondo e ho diviso il testo in tre parti, rendendo però le parti stesse un po’ meno chiare e soggette ad interpretazione, anche se comunque se lette fino in fondo raccontavano un inizio più che una fine.

Il primo post chiude così “in questo grande casino che è stata la mia vita è la mia mente nell’ultimo periodo, ho percepito qualcosa che nell’immediato non sono riuscito a leggere del tutto, una sorta di creatura senza forma ma con una forza disumana, e spingeva e spintonava, un vento, un oceano, una musica. La mia musica.”

È andata così, poi a mollare la musica c’ho pensato davvero, ma non l’ho mai annunciato pubblicamente, il post raccontava un momento, forse un istante, in cui avrei voluto mollare. Ci tenevo a raccontare alla gente che mi segue e mi sostiene ciò che avevo passato, non si può raccontare solo le cose belle, bisogna trovare il coraggio di raccontare anche l’altro lato della vita, quello più doloroso.

Ti allego anche il testo completo così puoi leggertelo nella versione originaria e integrale e farti quindi un’idea più precisa e corretta della questione. Intanto, ti piace Silenzio?

A presto!

Maurizio

Non ci sto più dentro.
Mollo la musica, ho deciso.
Voglio concentrarmi su meno cose e ritrovare un po’ di serenità. Non riesco più a capire il senso del mio fare musica.
Amo suonare con gli otaghi, amo gli otaghi in generale, ma è da un po’ che non riesco a trovare la luce e la via dentro al progetto.
Lascio e mi dedico solo alla terra.
/
Nell’ultimo anno ho vissuto momenti tra i più potenti della mia vita; la perdita di un caro amico, due viaggi e una crisi d’identità devastante.
La pandemia di sicuro non ha aiutato.
Un tempo morto.
Un’ epoca muta.
Ho passato mesi e mesi con dolori allo stomaco, soprattutto la notte.
Non stavo bene.
Sono una persona troppo emotiva, se non sto bene con la testa, non sto bene neanche con il corpo in maniera chiara e diretta. In questo grande casino che è stata la mia mente nell’ultimo periodo, ho intravisto qualcosa che non sono riuscito a leggere del tutto.
Una sorta di creatura senza forma ma con una forza disumana. E spingeva, e spintonava.
Un vento, un mare, una musica.
La mia musica.
/
Volevo mollare ma finito di lavorare mi mettevo sempre al pianoforte, a suonare guardando fuori dai finestroni della mia sala.
Piogge, stufe accese, lacrime, grappe, abbracci.
Suonavo e cantavo e volavo intorno alle cose della vita.
Alla fine di questo anno nel mio hard disk c’erano quaranta canzoni nuove.
Quaranta canzoni non sono briciole.
Non posso ignorarle.
Silenzio.
Paura.
Cielo coperto, vento, Castagna, uno dei cani con cui vivo è al mio fianco, dentro al momento con me.
Penso ai primi attimi in cui ho incontrato la musica, da bambino con la dance, poi quando ho cominciato a cantare in cameretta sopra i Litfiba.
A mio padre che cantava e che sognava una vita di musica per me, a mia nonna che avrebbe tanto voluto cantare ma le è stato proibito.
Come faccio a stare senza la musica?
Un’insalata senza olio, l’amore senza le carezze.
Un bosco senza alberi, una città senza persone.
Sono carne, ossa e musica.

/
Mi sono perso dentro alla musica a dieci anni senza tornare mai.
Tra alberi e palazzi, odori, ferite e autogrill.
Ho visitato l’amore e l’ho anche solo immaginato.
Ho creduto di essere solo al mondo.
Ho scalato l’everest e vinto battaglie epocali.
Ho vissuto in un altre epoche, per aria, negli abissi.
Sono diventato un re e ho fatto l’amore con migliaia di persone insieme grazie alla musica.
Ho visto un dio che non era una persona, e non era un uomo, era una canzone, anzi centinaia di canzoni alle quali credo. Con lei ho imparato a conoscermi e a volermi bene.
Con lei ho imparato a ridere e a piangere quando è il momento, senza paure.
Grazie a lei, sono ancora vivo.

 

Milano, 26 gennaio 

Ore 14:11

Wow...
Nel senso, wow che casino.
Uno scrive perché pensa di sapere le cose, di capire, di conoscere determinati meccanismi. Solo che poi – per fortuna – siamo esseri umani e non marketing manager (non tutti almeno). A volte i nostri ragionamenti vanno in una direzione che gli altri non hanno modo di seguire, facciamo casini, abbiamo i nostri casini, facciamo dei calcoli e magari li sbagliamo.

Insomma, boh. Non mi pento di aver scritto quelle cose, penso che per fare con dignità questo mestiere sia necessario assumersi il rischio di cascare in quelle incomprensioni e anche di farsi mandare a fanculo. Non da te, che per come ti sto conoscendo non sei il tipo.
Solo che poi, anche quando provo a dissociarmene, la complessità del reale torna sempre. Per chi è disposto a vederla, cosa che ultimamente non va molto di moda.

Posso chiederti cosa c'è nella testa di un musicista che pensa di mollare la musica? Che ricordo hai di quei momenti? E qual è il pensiero, che per fortuna, viene dopo e fa andare avanti?

Dario

Albera Ligure, 27 gennaio

Ore 08:22

Nella testa di un musicista che pensa (ingenuamente) di mollare la musica c’è un’alluvione o un incendio. Una calamità di sicuro. Una pandemia forse, già che è molto in voga questo termine ultimamente. C’è lo smarrimento, il buio, il dolore, le orecchie che ti fanno male, il sangue solido.

Zero lacrime, per piangere devi essere consapevole del momento, del contesto, devi essere lucido. Io per un periodo che è durato qualche mese non ero lucido, non sapevo più riconoscere cosa fosse il bene e il male, avevo perso qualsiasi capacità di critica nei miei confronti e nei confronti della mia vita.

Tutto questo non per caso, sia chiaro. Innanzitutto la vita estremamente regolamentata, e vincolata che abbiamo dovuto affrontare a causa della pandemia e forse di qualche scelta politica discutibile, ha acuito ogni sentimento e situazione. Poi la perdita di un carissimo amico musicista che viveva da me in montagna ormai da due anni e con il quale ho scritto molta musica, infine una crisi progettuale e biologica con gli otaghi mi hanno messo a terra, non ho retto, sono stato male al punto di pensare (per qualche settimana non di più) di mollare la musica e dedicarmi ad una vita più legata al mio lavoro da contadino.

Come dici tu, nel migliore dei casi siamo esseri umani fragili, non sempre in grado di sopportare le catastrofi della vita. E poi allora possiamo sbagliare e lo sbaglio di per se ai nostri occhi, di sicuro ai miei, è un’altra mezza catastrofe. Il rischio di diventare collezionisti di sciagure e molto alto, oggi più che mai, la musica serve proprio ad emanciparci da questo rischio, serve a smarcarci e a farci vedere altre possibilità a volte indescrivibili a volte molto concrete, altre vie, che ci mettono le ali e in molti casi ci valorizzano, ci aiutano, in qualche caso ci salvano proprio.

Più che mollare la musica in sostanza, dovevo fare un passaggio, oltrepassare la frontiera del modo in cui sono stato dentro alla musica negli ultimi tempi. Dovevo diventare ancora una volta un uomo nuovo.

Maurizio

Milano, 27 gennaio 

Ore 18:00

Quest'ultima cosa mi colpisce molto. Sarà che ci provo continuamente, forse addirittura ogni mattina, a diventare un uomo nuovo e mi pare di non riuscirci mai. O forse lo divento ogni giorno. Oppure non lo so, boh.

E però mi chiedo: in che modo si può stare dentro la musica in modi diversi? Qual era il tuo modo di prima, che cosa ti dava prima di cui sentivi di non poter fare a meno e cosa non ti dà più oggi e per cui hai capito che devi farne a meno?

Ora hai un progetto solista. Hai pubblicato prima un pezzo che era un po' il manifesto del tuo podcast – di cui vorrei poi tornare più avanti a parlare con te se ti va –, poi i primi due singoli: Sto bene e Fauno.

Esci con Silenzio. E mentre lo ascolto penso al fatto che ora io sto pretendendo da te parole per spiegare le cose più profonde, inestricabili che ci siano. Mi piace molto, per tornare a un paio di tue mail fa. Mi piace perché è un pezzo di autentico dolore, senza un vestito da lutto addosso.

Ho appena finito di stare bene e male assieme per After Life, la serie su Netflix, ed è un po' quella cosa lì. Cosa ci hai messo dentro (e cosa hai buttato fuori) di tutte le cose che hai raccontato fin qui, nel brano?

Dario

Albera Ligure, 28 gennaio

Ore 12:43

Immagino che si possa stare dentro ad ogni cosa in modi diversi, magari non si può switchare da un modo all’altro a piacimento, almeno nel mio caso, ma possiamo trasformarci, cambiare pelle. Gli unici a non cambiare mai sono i morti, forse. Se cambiamo è possibile che ci siamo innamorati o magari come nel mio caso che siamo stati molto male. Cambiare vuol dire vivere per me. Vuol dire respirare, vuol dire che il mio cuore è un organo ancora vivo, batte.

Forse negli ultimi tempi sono stato troppo assorbito dalle regole del mercato della musica, dalle troppe regole forse a volte anche autoimposte, da troppe aspettative mie e degli altri, da troppi vincoli o consuetudini che girano intorno al mondo della musica mainstream. Forse ero un po’ stufo. Prima di tutto, di me.

Quindi ho lavorato perché avvenisse una metamorfosi, profonda. In realtà la metamorfosi è stata una risposta quasi incontrollata della mia persona. Mi sono detto: o cambio o è finita. E siccome non posso stare senza musica, senza una porta socchiusa sempre intorno a me per alzare i tacchi dalla quotidianità, istintivamente e pure quasi inconsapevolemte mi sono trasformato, magari di un millimetro, di un niente, ma sono un altra persona.

Beh After Life, capolavoro e mi lusinghi se in qualche modo lo citi parlando della mia musica. Silenzio è un pezzo che va da se, è nato da se, ha una luce propria, è solido, è fuori dal tempo. Io lo vedo così: come fosse una creatura indipendente da me, è sorta dalle mie mani ma viene da molto più lontano di me. Parliamo di me, dei miei desideri, delle mie manie forse.

Non sono mai stato tanto per le vie di mezzo, amo stare nel caos, in città, in una sala da concerti piena ed ho allo stesso tempo, un bisogno viscerale di ritirarmi in montagna o al mare, oppure a casa mia in Cascina Barbàn e stare ore e ore senza parlare a potare, a camminare, a leggere. Amo quasi sempre le due polarità delle cose, più che il loro centro. Mi sento tante estremità.

 

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L'articolo Un altro Maurizio Carucci di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2022-01-28 17:16:00

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