A Francesco De Gregori non si chiede mai, è lui semmai che chiede

"Buonanotte fiorellino" non è mai stata scritta per il suo amore la vittima di un incidente aereo e "Vecchi amici" non parla male di Venditti. Tutti i segreti delle canzoni del Principe in questo libro

Foto Yuri Colleoni/Kikapress
Foto Yuri Colleoni/Kikapress

Un tomo di 720 pagine, dal peso di un chilo e rotti. Francesco De Gregori. I testi. La storia delle canzoni (Giunti) è un libro massiccio e pressoché esaustivo sul canzoniere del cantautore romano. Enrico Deregibus, uno dei decani del giornalismo musicale nostrano, le ha analizzate una per una (sono 219), mettendone in luce la storia, il percorso seguito durante la stesura dei testi, senza dimenticare la parte più strettamente musicale, con particolare riguardo agli arrangiamenti, e inserendo una serie di piacevoli aneddoti. Un’opera necessaria per tutti gli estimatori della musica del “Principe”. Altrettanto necessaria una chiacchierata con l’autore che, oltre ad anticiparci il contenuto del suo libro, ci ha omaggiato di una playlist.    

Nel 2015 hai pubblicato una biografia di Francesco De Gregori, Mi puoi leggere fino a tardi, ora ecco Francesco De Gregori. I testi. La storia delle canzoni. Quali sono le differenze tra i due libri?

In realtà questo nuovo libro è il completamento dell’altro, che era il racconto della storia artistica di De Gregori e che aggiornava e ampliava considerevolmente un primo libro che avevo fatto su di lui nel 2003. Per il libro del 2015 stavo inserendo nel racconto biografico delle schede sulle canzoni al momento della pubblicazione di ogni disco. Però il tomo stava diventando mastodontico, quindi ho tolto le schede e le ho messe da parte per un lavoro successivo. Ed ecco quindi che sono nati due libri: la biografia di 350 pagine e questo nuovo di 720, che racconta le canzoni da varie prospettive: i testi, la musica, il contesto, la nascita, le storie dopo l’uscita, i cambi di parole e arrangiamenti, aneddoti, analisi.

Qual è stato il più difficile da portare a termine?

Tutto sommato è stato più difficile completare la biografia perché ho voluto essere il più possibile preciso, cercando riscontri su tutto quello che trovavo e datando ogni avvenimento, anche perché il libro è strutturato con un percorso anno per anno. Avere la corretta sequenza temporale era fondamentale per me: grazie a quella si potevano capire meglio gli snodi del percorso artistico. Uno dei problemi è stato proprio questo, soprattutto per gli eventi del primo periodo: non ci sono molte fonti e i testimoni che ho intervistato, per quanto di grande disponibilità, quasi mai sapevano dirmi quand’era successo con precisione questo o quello. In generale il lavoro sulle fonti è stato lungo e complesso, anche se avvincente. E quando ho preso in mano le canzoni per questo nuovo libro una parte del lavoro era già stato fatto. Ho comunque continuato per qualche anno la ricerca delle fonti, che alla fine sono più di 2000, ma il lavoro è stato più agevole.

Mastichi musica da parecchi anni, sei uno dei decani del giornalismo musicale italiano, cosa rappresenta De Gregori per te e per il microcosmo della musica italiana?

In effetti è un ventennio che lavoro nel settore musicale, anzi quasi trenta se consideri che nei Novanta ho gestito un negozio di dischi, ma il giornalista in senso stretto alla fin fine l’ho fatto per un periodo abbastanza ristretto, una decina di anni. Anche se il mio lavoro principale di oggi, cioè occuparmi di rassegne musicali in svariati ruoli, si incrocia spesso con quello giornalistico, come direttore artistico, ufficio stampa o conduttore e intervistatore.

Tornando a De Gregori, devo dire che ho subito una sorta di fascinazione nei suoi confronti sin dall’adolescenza per motivi che è difficile individuare con precisione ma che riguardano il suo modo di scrivere, ma anche, da metà anni Settanta in poi, il suo modo di cantare. Soprattutto nella sua scrittura c’è stato secondo me un cambio di passo enorme nella storia della musica in Italia. Prima di lui nessuno scriveva così, uscendo dai binari, facendo saltare nessi logici, temporali, spaziali, moltiplicando le chiavi di lettura, pescando dall’inconscio, lasciando praterie libere per l’immaginazione dell’ascoltatore. Che poi è quello che avveniva già in altri Paesi oppure in altre arti.

 

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La scrittura di De Gregori è stata sin da subito accostata a quella di Bob Dylan, è un paragone che può reggere anche nei confronti della sua produzione più recente?

L’impatto di Dylan su una parte della produzione di De Gregori è evidente, ma in misura minore anche quella di Cohen, Simon e Garfunkel, in seguito di James Taylor e altri. Quando ha cominciato, certi moduli della canzone d’autore nordamericana erano una cosa nuova in Italia, anche se non è stato il solo e neanche il primo a scrivere canzoni su quell’impronta, c’era già stato Guccini e per certi aspetti Tenco. L’influsso di Dylan ha continuato a essere presente in tutta la sua carriera, in alcuni dischi di più, in altri di meno, ed è vivo e vegeto, tanto che pochi anni fa ha fatto un disco di traduzioni, che ha certificato l’amore e il furto nei suoi confronti, per dirla con il titolo del disco.

Secondo te la scrittura di De Gregori è stata in qualche modo influenzata dal cosiddetto “processo” del Palalido di Milano del 2 aprile 1976?

Mah, la scrittura molto parzialmente, anche se in Generale, che è il ritorno di un soldato da una guerra che è anche metaforica, ci sono degli echi, così come in altre canzoni di fine anni Settanta. Però quell’episodio traumatico, e visto con gli occhi di oggi ancora più assurdo, ha influenzato fortemente il suo approccio con quella parte del suo mestiere che non è scrivere o cantare. Intendo il rapporto con il pubblico, con i live, con la promozione, con la discografia. La sua vera o presunta spigolosità in certe occasioni arriva forse anche da lì. Ma pensiamo che quella contestazione era arrivata violentemente addosso a un ragazzo di 25 anni che era appena stato travolto da un successo inaspettato e da pressioni di ogni tipo, commerciali, politiche, sociali. Non è stato facile gestire tutto questo. In Mi puoi leggere fino a tardi ne parlo parecchio. 

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Ci sono diverse leggende metropolitane riguardo alcune canzoni del “Principe”, mi vengono in mente Buonanotte fiorellino e Quattro cani. Hai idea di come siano nate e diffuse?

Sì, ce ne sono di storie inventate di sana pianta su alcune canzoni. Probabilmente nascono dal fatto che la sua scrittura ha una certa ambiguità di significati e quindi si presta a ricostruzioni fantasiose. Sinceramente non so dirti quella di Buonanotte fiorellino o quella su Quattro cani da cosa siano nate, anche De Gregori stesso non lo sa. Quella su Buonanotte fiorellino da un certo punto di vista è strepitosa, dice che la canzone è dedicata a una presunta moglie, per alcuni a una fidanzata, di De Gregori morta in un incidente aereo, in rete ci sono anche alcune versioni particolareggiate che spiegano persino su quale volo sarebbe successa la tragedia e in che data. Data che peraltro risale a diversi anni prima del matrimonio di De Gregori, senza contare che sua moglie è viva e vegeta. La canzone, che fra l’altro è stata scritta in Sardegna a casa di De André, parla semplicemente, o forse non semplicemente, di una storia d’amore in chiusura.

Ci sono altre leggende urbane sulle sue canzoni?

Negli ultimi anni sta girando una versione notevole su Generale, secondo cui sarebbe stata scritta durante il servizio militare in Trentino e parlerebbe di indipendentisti altoatesini. Anche qui è tutto assolutamente inventato e anche qui ci sono ricostruzioni dettagliate, ad esempio lui che vedeva il colle su cui era successo un certo episodio storico da una finestra dei bagni di una caserma, e da lì sarebbe scattata l’ispirazione. Poi mi viene in mente Pianobar, che come si sa è una canzone che sta all’interno di Rimmel ed è dedicata a un pianista poco attento alle motivazioni artistiche, diciamo così. Si diceva e si dice ancora che sia dedicata ad Antonello Venditti ma credo di aver capito perché. Era successo che De Gregori aveva fatto sentire il disco appena finito a Venditti chiedendogli un parere. E lui gli ha risposto “Bello però Pianobar non mi piace”.  Allora scherzando De Gregori gli ha detto “quella è dedicata a te”. Era soltanto una battuta che è stata poi detta a qualche giornalista che l’ha fatta diventare verità. Fra l’altro anche Vecchi amici, una canzone piuttosto piccata degli anni Novanta, è stata riferita al povero Venditti, che anche in questo caso non c’entra niente.

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Qual è stata la canzone che ti ha sorpreso, che pensavi parlasse di altro e invece…

Mimì sarà. È una canzone che sin dall’uscita, nel 1987, si è detto che fosse dedicata a Mia Martini. De Gregori ha smentito per parecchio tempo. Però quasi una ventina di anni dopo ha spiegato che in qualche modo Mimì c’entrava. Tutto nasce da un giorno in cui De Gregori era per strada a Roma vicino a Ponte Milvio e ha visto sul ponte una donna che teneva per mano una bambina, presumibilmente sua figlia, che assomigliava a Mia Martini. Questa visione gli ha fatto scattare la molla per la canzone insieme ad un altro episodio: in una cena aziendale della RCA lui era arrivato un po’ in ritardo e ha visto che i posti a fianco a Mia Martini sia a destra che a sinistra erano liberi, questo presumibilmente per via della delle dicerie atroci sul fatto che portasse sfortuna. Lui si è seduto a fianco a lei ed è rimasto colpito dal suo sguardo, perso, pieno di sofferenza. Questa cosa probabilmente gli ha fatto scrivere i versi “ti affacci da dietro quei vetri che sono i tuoi occhi” che sono nella canzone. Lui inizialmente negava il riferimento a Mimì per rispetto di Mia Martini stessa, che era una artista e una donna che stimava molto. In realtà però la canzone, come spesso accade con De Gregori, parla di una donna immaginaria e di sua figlia, e Mia Martini fra l’altro non aveva figli.

E invece la canzone con la quale hai avuto più difficoltà?

In generale non ci sono state canzoni su cui ho avuto particolari difficoltà. Diciamo che il lavoro di ricerca generale che ho fatto negli anni mi aveva portato ad avere un buon numero di informazioni su tutte o quasi le canzoni, tranne forse i brani meno conosciuti dei primi dischi perché su quelli si trovano meno fonti e testimonianze, ma devo dire che poi anche su quelle ho trovato materiale a sufficienza. Una canzone su cui ho impiegato parecchio per reperire informazioni è stata Piccola mela. Sapevo che il testo riprendeva alcuni passaggi di una canzone popolare sarda, ma non riuscivo a trovare quale fosse, anche chiedendo a studiosi ed esperti di quel mondo. Finché dopo anni son riuscito a trovare quello giusto, Gianluca Dessì, che è fra l’altro anche un signor chitarrista. È stato lui a darmi la soluzione, anche con abbondanza di fonti: è un canto scritto dal poeta Peppino Marotto, intitolato Muros a tenore

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Per la stesura del libro, ti sei fatto aiutare dallo stesso De Gregori?

Il libro in pratica è autorizzato, anzi è un libro a tutti gli effetti pure di De Gregori, anche se non ci sono suoi virgolettati fatti apposta per il libro. C’è però un numero notevole di dichiarazioni sue prese da centinaia di interviste rilasciate negli anni, a cui sono risalito in vari modi. E che credo siano interessanti perché fanno capire anche come si è modificata negli anni la sua visione di alcune sue canzoni. Ad esempio La leva calcistica della classe ’68, che in certi periodi ha criticato, e con cui poi si è riappacificato.

Riguardo al suo apporto diretto al libro, le cose sono andate così: io, come per i lavori precedenti gli ho chiesto se voleva dare una mano, anche solo vedere le bozze e dirmi se c’erano errori. Era una cosa a cui tenevo molto, ma lui, come per le volte precedenti, mi ha detto che preferiva lasciarmi libertà nello scrivere. D’altro canto, come ha detto una volta Giovanna Marini, che con lui ha collaborato varie volte, “a De Gregori non si chiede mai, è lui semmai che chiede”. E infatti è successo così, perché nel frattempo aveva acquisito i diritti di stampa di una serie di testi delle sue canzoni e aveva intenzione di pubblicarli. Quindi a quel punto mi ha chiesto se volevamo unire le forze, diciamo così, e se mi andava di mettere nel libro i testi. Ovviamente ho accettato subito, era un onore. A quel punto gli ho mandato le schede da vedere ma lui mi ha dato pochissime indicazioni, sostanzialmente il libro l’ha letto dopo l’uscita. Tranne i testi, che ha controllato parola per parola. Posso testimoniare l’accuratezza della revisione perché per gli ultimi dischi il lavoro lo abbiamo fatto insieme nella sua casa in Umbria. Lui comunque considera il libro una cosa sua come io lo considero una cosa mia, quindi diciamo che è un libro di tutti e due. Però devo aggiungere che se è stato possibile fare un libro di 720 pagine, decisamente fuori dai limiti editoriali per libri di questo tipo, è stato grazie alla sua presenza. 

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Come mai non hai preso in considerazione i testi che De Gregori ha scritto per altri colleghi, i primi che mi vengono in mente sono i Capitolo 6 e Amedeo Minghi.

Inizialmente la mia intenzione era di inserire anche quelle canzoni, però il libro sarebbe diventato gigantesco. Non sembra, ma lui ha scritto molto anche per altri. Già così è un libro di 720 pagine, diventava irrealistico aggiungere anche i testi e le schede di decine di altre canzoni. Però non è detto che in futuro non faccia anche questo lavoro, vediamo. L’assenza di quelle canzoni un po’ mi pesa.

Secondo te ci sono in circolazione dei testi che De Gregori, per un motivo o per un altro, ha preferito non firmare e regalare a qualche collega?

C’è un caso strano agli inizi della sua carriera, quando era alla It e, appunto, scriveva anche per altri. Si tratta di una traduzione che aveva fatto di Vincent di Don McLean e che è finita per giri strani a Little Tony, a sua insaputa. Il titolo era Come un anno fa e stava nella colonna sonora di uno sceneggiato dell’epoca, Lungo il fiume e sull'acqua, del 1973. Per pura casualità ho il 45 giri e come autore risulta “De Gregorio”. Ma è solo un refuso. Fra l’altro la storia di quella traduzione è stato lo spunto per la scrittura di Informazioni di Vincent, un pezzo che parla di come le cose vengono stravolte e in cui Vincent diventa emblema di qualcosa di cui non bisogna fidarsi. È riferito soprattutto all’informazione, ai media. All’epoca, siamo a metà anni Settanta, De Gregori una volta aveva detto che Vincent era la Rai, un’altra che era Montanelli. Però, insomma, ci siamo capiti.

La solita, annosa questione: i testi dei nostri cantautori sono spesso considerati alla stregua di vere e proprie poesie. Anche De Gregori ha scritto poesie?

No, assolutamente no. Le canzoni sono una cosa e le poesie sono un’altra cosa. Le canzoni vivono di tre elementi, che sono il testo, la musica e l’interpretazione e quindi nascono proprio con un’altra identità, un’altra struttura.  Le poesie hanno già, o dovrebbero avere già, una musicalità interna. Devo dire che ho sempre un po’ di fastidio quando sento definire un cantautore poeta o le canzoni poesie perché mi sembra che sia un modo per nobilitare le canzoni quando le canzoni non hanno nessun bisogno di essere nobilitate. È come se si stabilisse a priori che la poesia è qualcosa di migliore, di più alto, di più bello della canzone, mentre ci sono poesie belle e brutte come ci sono canzoni belle e brutte. La canzone non ha nulla da invidiare alla poesia. Dire a un cantautore che è un poeta per complimentarsi con lui è come dire a un bravo elettricista che è un idraulico. Questo ovviamente vale per De Gregori, che fra l’altro la pensa come me, ma anche per qualunque altro autore di canzoni.

Non hai parlato solo di testi, ma anche di interpretazioni, arrangiamenti. La discografia di De Gregori, da un punto di vista strettamente musicale, non è uniforme. Qual è il De Gregori che preferisci?

È vero che De Gregori musicalmente ha uno spettro molto ampio, è una cosa che non si dice spesso. È uno che può fare canzoni sul ciglio della melodia italiana senza cascarci dentro e diventare melenso, così come all’opposto può fare rock anche piuttosto tirato. Poi c’è il country, c’è il folk americano, c’è la tradizione popolare italiana. Quest’ultima influenza per me è molto importante, perché in Italia fra gli artisti molto noti è stato il primo ed è rimasto uno dei pochi a scrivere canzoni che abbiano legami forti con quel mondo, che poi è il mondo in cui ha mosso un po’ i primi passi, al Folkstudio di Roma. Diciamo che non ho preferenze riguardo ai generi musicali che ha toccato, però certamente lo stimo in modo particolare proprio per avere pescato molto dalla tradizione del canto popolare italiano in tutta la sua carriera. Oltretutto quel mondo musicale in Italia è misconosciuto, mentre in molti altri paesi la tradizione è alla base della musica anche di oggi. Pensa al blues in America o alla musica celtica in Inghilterra. In Italia purtroppo questa cosa non c’è, se non in pochissimi casi, certe cose di Carmen Consoli o Ivano Fossati e poco altro. Non c’è ad esempio per nulla in Fabrizio De André che ha pescato molto dal mondo popolare del Mediterraneo ma praticamente nulla da quello italiano. Invece in De Gregori questa presenza è forte e chiara.

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Un disco che hai particolarmente amato?

Sicuramente Titanic. Un po’ perché è uscito quando io avevo 15 anni, nel 1982, ed è quindi il primo disco suo che ho potuto ascoltare con una certa consapevolezza, rendendomi conto di cosa c’era veramente dentro, anche se in modo ancora un po’ acerbo da parte mia. E un po’ perché anche se lo guardo con distacco credo sia davvero un disco bellissimo. Penso che l’opinione sia abbastanza diffusa, fra l’altro. Mi viene in mente che Repubblica nel 2005, per festeggiare il suo trentennale, aveva lanciato un referendum fra i suoi lettori per stabilire quale fosse il più bel disco italiano dal 1976 al 2005. Ha vinto proprio Titanic.

E quello che, secondo te, è stato sottovalutato?

Due degli ultimi, che testimoniano il fatto che lui secondo me anche nel nuovo secolo è sempre stato a livelli molto alti. I dischi sono Pezzi del 2005, che è un disco molto rock, con un forte ascendente di Dylan e di altre cose americane, e Sulla strada, del 2012 che anche l’ultimo suo disco di inediti e che contiene secondo me molti gioielli. Sono dischi purtroppo che hanno avuto meno attenzione rispetto a quelli storici, ma è un po’ inevitabile questo. Però invito chi non li conosce a ad ascoltarli, penso che troverà molte belle sorprese.

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Secondo te c’è qualche cantautore della nuova generazione che deve qualcosa a De Gregori?

Penso di sì. Alcuni lo hanno dichiarato, da Vasco Brondi a Fulminacci. Penso che in alcuni casi ci sia magari un’influenza indiretta, perché comunque De Gregori ha portato un vento nuovo nella canzone italiana all’inizio degli anni Settanta per le cose che dicevano prima, dai testi immaginifici all’aver assorbito i cantautori americani ed aver mediato la loro lezione con quella della canzone italiana. Ha voltato pagina nel modo di scrivere canzoni in Italia e quindi questo inevitabilmente anche a distanza di decenni va a finire nella scrittura dei cantautori nuovi. Ma testimonianze di stima, quasi venerazione, nei suoi confronti arrivano anche da chi musicalmente è lontano, personaggi come Franco126 o ancora più giovani come gli Psicologi o Ariete. I Coma_cose stravedono per lui. O, nella generazione precedente, Iosonouncane

Nel libro nuovo documento le cover che sono state fatte dei suoi vari pezzi e si vede anche lì che c’è attenzione per lui da parte di chi ha parecchi anni di meno. Pensa che una decina di anni fa mi era venuto in mente di far rifare un suo disco, il disco detto della “Pecora” (Francesco De Gregori, nda), del 1974, a vari artisti della scena indie, che so che lo amavano molto, da Vasco Brondi a Iosonouncane, ed erano interessati alla cosa. Peccato che non sia andata in porto. Ricordo che un pezzo che mi pareva difficile da affidare era il più famoso di quel disco, cioè Niente da capire. Finché non ho avuto una illuminazione, quella di proporlo ai Massimo Volume. L’ho detto a Mimì Clementi, eravamo all’aeroporto di Bari, spiegandogli che nella mia testa avrebbero dovuto farla come fosse un pezzo loro, con il recitativo, le chitarre dure e tutto il resto. Secondo me ci sarebbe stata benissimo. Lui mi ha guardato incuriosito ma mi pareva forse poco convinto. Invece qualche mese fa l’ho risentito dopo anni per una intervista e mi ha detto che stimava De Gregori e che all’epoca aveva preso la cosa sul serio, si era andato a comprare il disco e ci aveva pensato. Chissà che in futuro non si possa riprendere quel progetto.

 

Hai preparato per i lettori di Rockit una playlist su Spotify. Ce ne vuoi parlare?

Mi è venuto in mente che poteva essere interessante raggruppare alcune delle cover che sono state fatte di sue canzoni. Ho scelto quelle per me più belle, più particolari o più significative, per vari motivi, a partire da una incalzante versione de La donna cannone fatta dai Folkabbestia. Purtroppo su Spotify mancano alcune cose interessanti, come un disco tributo che era uscito allegato a MucchioExtra, intitolato Con quali occhi…, con dentro da Bugo a Basile, da Canali a Benvegnù. Mi sono divertito molto a fare la playlist, mettendo vicine cose con stili lontanissimi. Spero che anche i lettori di Rockit si divertano.

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L'articolo A Francesco De Gregori non si chiede mai, è lui semmai che chiede di Giuseppe Catani è apparso su Rockit.it il 2021-03-26 14:51:00

Tag: libro

COMMENTI (1)

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  • Maurizio62 3 anni fa Rispondi

    Stimo ed ammiro Francesco De Gregori anche se il mio apprezzamento pieno e convinto è arrivato in tarda età matura. Da ragazzo preferivo altro e lo ascoltavo pochissimo, quasi niente. Anzi a dirla tutta mi stava anche un po' antipatico. La cosa strana o buffa però è che quando ho cominciato a seguirlo in maniera decisa e ad apprezzarne la produzione artistica e anche la personalità umana, mi sono accorto che praticamente conoscevo a memoria quasi tutta la sua produzione, come se anche non frequentandolo nell'ascolto la sua musica ed i suoi testi mi siano inconsciamente penetrati ed assorbiti nella mia vasta ed eclettica esperienza di audiofilo. Come ciò sia avvenuto non saprei dirlo, ma ne sono felice. Ovviamente comprerò il libro. Ciao e grazie per il bell'articolo.